I Ducati

  

Se le decorazioni e i segni militari d’onore non poterono avere nel Lombardo-Veneto una loro caratteristica impronta per il succedersi delle dominazioni francese e austriaca, la cosa cambia aspetto per i ducati dell’Italia centrale, per il Granducato di Toscana, per lo Stato Pontificio per il Regno delle Due Sicilie. Questi stati non subirono una intera incorporazione da parte dell’uno o dell’altro dei due stati in lotta, cioè della Francia e dell’Austria, ma continuarono, salvo brevi parentesi di tempo, a vivere la loro vita di stati vassalli, tutt’al più cambiando la casa regnante. Forse lo stato che andò soggetto a più radicali trasformazioni fu quello di Lucca, che, da repubblica indipendente fino al 15 giugno 1799, entrò in quel momento nell’orbita francese, ma per risentire subito l’influenza della reazione austro-russa, e poi ancora l’influenza francese, finché eretto in principato nel 1805, Napoleone Bonaparte vi mise la sorella Elisa sposa del principe Pasquale Baciocchi. Dopo la caduta di Napoleone I, il Principato di Lucca passò a Carlo Lodovico di Parma, in compenso del Regno d’Etruria ricevuto dal granduca di Toscana. Carlo Lodovico a sua volta cedette Lucca alla Toscana, nell’ottobre 1847 per assumere col nome di Carlo III il governo di Parma, Piacenza e Guastalla, succedendo così a Maria Luisa vedova di Napoleone I..

E’ appunto la condizione di stati vassalli, ciò che conferisce alle decorazioni militari di questa plaga d’Italia una caratteristica speciale, quella cioè di rispecchiare le vicende e le trasformazioni politiche, alle quali gli stati stessi andarono soggetti. Superiore all’interesse di queste vicende è però quello che deriva dallo studio che, attraverso tali decorazioni, si può fare dei due principi antitetici del Risorgimento, cioè dell’unitarismo e dell’antiunitarismo. Per tal modo queste decorazioni e queste medaglie – tutte per verità molto modeste e quasi povere, quasi di secondo o terzo rango, come appunto erano di secondaria importanza gli stati cui appartenevano – sono per sé stesse un indice di quella filosofia della storia che si rifonde poi nella esperienza della vita. Si pensi, ad esempio, all’ironia delle decorazioni di Lucca, la cui serie è aperta dalla medaglia fieramente conferita dalla Repubblica ai suoi difensori contro le truppe francesi capitanate da Napoleone Bonaparte. Pochi anni dopo è Elisa Bonaparte Baciocchi che istituisce decorazioni sue proprie (purtroppo non rappresentate in questo studio); poi un’altra sovrana, Maria Luisa, ma questa, imposta dall’Austria, arbitra a sua volta del Congresso di Vienna, conferisce medaglie d’oro al merito, aprendo così la strada al figlio Carlo Lodovico che, perfettamente ligio a Casa d’Austria, che crea la croce dell’Ordine di S. Giorgio per merito militare. Finalmente le decorazioni lucchesi sono nel 1847 soppiantate da quelle di Toscana, giusto in tempo per vedere il Granduca Leopoldo II mandare truppe alla guerra contro l’Austria e riconpensarle perciò con speciali medaglie di benemerenza dal nastro tricolore. Ma un anno dopo, soffocata o esauritasi – anzi, appunto esauritasi – la rivoluzione, ecco Leopoldo II coniare una decorazione celebrante il suo ritorno sul trono, ben inteso avvenuto in odio ai sentimenti liberali che avevano provocato la fiammata del 1848…

Filosofia della storia!

Ma si può obiettare, e giustamente, che i principi e le loro decorazioni passano, e gli uomini restano; questi restano non solo con i loro difetti, ma anche col loro tesoro di qualità buone e con le loro virtù. Si vuol dire cioè che i sentimenti e le azioni onorevoli premiate dai diversi sovrani nel loro succedersi alla testa degli stati dell’Italia centrale sono sempre giustificabili ed onorevoli, qualunque sia la mano che appunta sul loro petto il segno d’onore, specialmente poi quando si tratti dell’onore militare, cioè del valore sul campo di battaglia, della fedeltà dimostrata al sovrano e al giuramento militare.

Le parentesi rivoluzionarie attraversate dai ducati d’Italia centrale e i cambiamenti di dinastie regnanti hanno certamente creato più e più volte dei casi di coscienza nei prodi ufficiali dei loro eserciti. Seguire i capi della rivoluzione, servire le manifestazioni della coscienza nazionale, portare nel campo avversario l’esperienza acquisita in tanti anni di servizio militare; oppure restare fedeli al principe, sia pure straniero, sia pure contrario ad ogni sentimento liberale ? Questo dilemma potrebbe introdurre una discussione molto interessante sulla validità o meno del giuramento da parte degli ufficiali e dei soldati di quegli stati, i cui prìncipi erano fuori dell’orbita nazionale. Gli ufficiali che abbandonarono il sovrano di Modena, ad esempio, ed entrarono al servizio dell’esercito sardo per la guerra del 1859, mancarono al loro onore di soldato? In verità il quesito, esaminato superficialmente, potrebbe portare a conseguenze catastrofiche, ma studiato profondamente si risolve con la massima tranquillità e sotto l’impero della coerenza. Amicus cicero, sed magis amica veritas, è il caso di ripetere. E cioè, il giuramento degli ufficiali italiani e dei soldati militanti negli eserciti di Francesco IV, di Maria Luisa, di Leopoldo II, ecc. aveva il massimo valore e il massimo imperio in condizioni normali. Ma quando, al di sopra della legge umana, al di sopra dei rapporti normali fra sudditi e governanti, si rivelò la volontà divina (“Italia libera, Dio lo vuole”), o meglio, quando molti sentirono l’imperativo categorico della coscienza nazionale, cioè la necessità di lottare per l’indipendenza e per l’unità d’Italia, e per mille segni fu manifesto che Dio si rivelava in questa grande necessità storica e nazionale (“quando un popolo si desta Iddio si mette alla sua testa”), allora si determinò nell’animo di ogni soldato un contrasto. Quando il contrasto fu risolto con lo strappo coraggioso e violento, cioè col passaggio alla causa nazionale, allora vennero ripudiate le decorazioni dei sovrani stranieri e comparvero sul petto di quei valorosi le decorazioni dei governi provvisori e dei governi liberali. Quando invece l’individuo fu vinto dal suo stesso contrasto e credette di risolverlo a norma del quieto vivere, preferendo i cento giorni da pecora al giorno da leone, o quando in molti casi pur degni di grande rispetto, lo scrupolo della parola data fu sentito con esasperata coerenza d’animo e di opere, inducendo l’ufficiale a conservarsi fedele al principe straniero solo perché aveva a lui giurato, e a mettere a repentaglio per lui la propria vita sul campo di battaglia, allora si determinò il fatto opposto, ma quasi paradossale, di soldati italiani che si fregiarono di decorazioni create dai sovrani di Parma, di Modena, di Toscana ecc ., per ricompensare la fedeltà di chi aveva lottato per combattere le manifestazioni del sentimento nazionale, i tentativi di libertà, di indipendenza e di unità.

Valga tutto questo come di introduzione al presente studio delle decorazioni di Parma, di Modena, di Lucca e della Toscana, le quali sono in generale di una straordinaria semplicità, perché coniate con molta economia di mezzi, con povertà di disegni e limitatamente diffuse, non hanno subìto le complicazioni delle decorazioni napoleoniche, sarde ed austriache, e non hanno avuto perciò né imitazioni, né falsificazioni. Le più belle e le più dignitose sono quelle di Toscana.

 

[1]Erroneamente il Crespellani (pag. 94) classifica questa medaglia fra le medaglie di fedeltà

[2]Il von Heyden vi attribuisce erroneamente il nastro tricolore