Ettore Viola Combattenti e Mussolini dopo il Congresso di Assisi Pag. 19 – 24

  

Da Pag. 19  -24

In un primo tempo sembrò che Mussolini accettasse il nostro ordine del giorno, ma cambiò idea, allorché si accorse che i giornali  dell’opposizione avevano considerato il  nostro documento di netta opposizione; per cui,

illudendosi di poter ancora parare il colpo, convocò per direttissima, a Palazzo Venezia, il Consiglio Nazionale Fascista; ma praticamente convocò a « redde rationem » il sottoscritto come fu dimostrato nella seduta del 2 agosto 1924 con un rabbioso coacervo di critiche ed accuse al suo indirizzo, senza che alcuno tentasse di prenderne la benché minima difesa.

Iniziò la sparatoria verbale il Forges Davanzati. Ci fu tuttavia una pausa concertata « ad hoc ».

Infatti Giunta, allora Segretario del Partito, Corradini, capo dei nazionalisti, ed Arnaldo Mussolini, dopo aver confabulato tra loro, si avvicinarono cautamente al « colpevole » per fargli questo discorso: « Se attenui il significato antifascista  dell’ordine del giorno, Mussolini ti premierà nominandoti Sottosegretario al Ministero della Guerra ».

La risposta  del « reprobo », data in piena Assemblea fu questa:

« Ho l’onore di dichiarare che presentando l’ordine del giorno al Congresso Nazionale di Assisi ho ritenuto – come tutt’ora ritengo – di aver servito il mio Paese. Detto ordine del giorno chiaro, preciso, conciso, non ha bisogno di spiegazioni».

Mussolini si alzò di scatto e, con il viso sconvolto, disse: « L’Assemblea ha sentito le dichiarazioni dell’On. Viola. Non è il caso di aprire una discussione su queste dichiarazioni, ma io tengo a fare alcune osservazioni e a dire molto esplicitamente che l’ordine del giorno di Assisi non mi piace.

« Per il prossimo giovedì o venerdì Viola mi ha annunciato una visita del Consiglio Centrale dei Combattenti. Avremo una discussione che sarà molto precisa. È bene non mistificarsi a vicenda ».

Continuò, il Duce, a parlare delle sue benemerenze nei confronti dei combattenti; dei suoi meriti per aver restituito la pace sociale al Paese; e disse anche:

« Quando la vittoria veniva mutilata, quando gli ufficiali venivano insultati, Voi non avete avuto mai qualche cosa che vi ricordasse l’esistenza dell’Associazione  Nazionale  Combattenti ».

Alcuni giorni dopo, come previsto, l’intero Comitato Centrale dell’Associazione si presentò nel, l’ufficio del Duce, a Palazzo Chigi.

Per farla breve, Mussolini non ottenne nulla da noi, e noi rifiutammo di prendere il benché minimo contatto con Farinacci il quale, nel frattempo, era succeduto a Giunta nella direzione del Partito.

 

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I Mutilati da quel momento, e fino a novembre del 1924, furono fraternamente solidali con noi.

Signori, bisogna convenire: Assisi ha dato luce all’Associazione, ma in gran parte soltanto perché il dopo Assisi, pieno di scontri cruenti e di resistenze tenaci, fu all’altezza delle aspettative dei Combattenti e del Paese.

Chi ricorda il nostro raduno del 2 novembre 1924 a Vercelli; chi ha visto nella grande piazza di Alessandria, il 10 novembre- cioè otto giorni dopo – 15.000 combattenti trasformati in leoni pronti a marciare su Roma per restituire all’Italia il suo onore e il suo prestigio, non può smentire questa affermazione. La Camera dei Deputati in quel periodo era chiusa, ma l’attività politica non ammetteva tregue. I combattenti erano infaticabili.

Un’idea  può  darvela  chi  scrisse,  43  anni  dopo, in un suo voluminoso libro, lo storico Renzo De Felice. Ecco qui:

« La chiave di volta erano soprattutto i deputati combattenti e mutilati attorno ai quali il lavoro era intensissimo e assumeva il carattere di un vero e proprio tiro alla fune. Se i liberali fossero riusciti ad averli con loro, il colpo per Mussolini sarebbe stato gravissimo e altri passaggi di campo sarebbero seguiti a più o meno breve scadenza ».

Purtroppo Carlo Delcroix,  che aveva preso  con noi validi e irrevocabili impegni, il 15  novembre 1924, durante la discussione sul bilancio degli Esteri, annunciò inopinatamente che avrebbe votato a favore del Governo, dolendosi finanche di non poter in quella sede trattare ampiamente, come avrebbe voluto, tutta la  politica del Governo; ed il 21 novembre, sei giorni dopo, in sede di discussione sul bilancio dell’Interno, fu addirittura sfrenato, implacabile. In un crescendo  rossiniano  fatto di lodi e riconoscimenti all’indirizzo di Mussolini, senza preoccuparsi di coloro che fino a una settimana prima avevano avuto il torto di confidare nella sua buona fede, riuscì a determinare una spettacolare manifestazione fascista.  Vivissimi e prolungati applausi accolsero la fine del suo discorso;  si chiese a gran voce l’affissione dello stesso, che fu approvata. Le grida di « Viva il Duce! » furono assordanti e per un buon quarto d’ora si sospese la seduta in segno di giubilo e di trionfo.

Chi nell’Aula sedeva vicino a Vittorio Emanuele Orlando, ricorda di averlo sentito dire, dopo quel discorso, che uno spettacolo simile di incoerenza e strafottenza non si era mai visto nella Camera italiana.

Risultò purtroppo evidente, dopo il voltafaccia di Delcroix, che la nostra posizione di oppositori sarebbe stata compromessa, essendoci venuta a mancare la solidarietà dei mutilati.

Il giorno dopo – 22 novembre – anche Sem Benelli, fondatore della Lega italica,  disse alla Camera di accettare pienamente le dichiarazioni di Mussolini, e fu applaudito dalla maggioranza. Dall’assassinio di Matteotti a quel giorno era stato, invece, un tenace oppositore.

Ciononostante noi potevamo ancora contare su coloro i quali pensavano che con poche centinaia di combattenti avremmo potuto impossessarci di Palazzo Chigi e di Mussolini; e ciò avremmo potuto fare effettivamente se fossimo stati capaci di prevedere  che i consigli  di Giolitti non  erano validi.

« Aspettate – egli ci diceva – vedrete che il Parlamento metterà il Re nelle condizioni di dover intervenire ».

Illusione o malizia di uomo scaltro  e navigato. Fu in seguito pressoché accertato che Giolitti non voleva correre il rischio di vedere i combattenti al posto dei fascisti cadendo  così, secondo lui, dalla padella nella brace.