RELAZIONE MESSE. IL CSIR IN RUSSIA ALLEGATO 38

  

Da Archivio Aldo Resta

 

Il C.S.I.R. giunse alla zona dello schieramento, sul Dnjepr, piuttosto stanco ma con lo spirito intatto, come risulta dal suo brillante intervento nella battaglia di Dnjepropetrowsk. Ma conviene qui domandarci: sarebbe stato possibile, nonostante tutte le deficienze di organizzazione, raggiungere questo primo obiettivo con minor sforzo e, soprattutto con minor contributo di sacrifici?

Indubbiamente si, qualora i tedeschi avessero osservato gli impegni relativi alle derrate che, per convenzione, erano tenuti a fornirci, non si fossero riservata l’esclusività dello sfruttamento delle risorse locali e ci avessero consentito di valerci, nell’ambito del nostro settore di azione, delle inesauribili scorte, specialmente di cereali, di carne e di foraggi.

Praticamente avvenne che i rifornimenti tedeschi, sufficientemente regolari nel mese luglio e nella prima decade di agosto, andarono successivamente inaridendosi, risultando sempre più inadeguati alle esigenze, fino a porre talvolta le unità in grave stato di crisi, in particolar modo per i carburanti.

Alle nostre rimostranze l’Intendenza tedesca rispondeva che il soldato dei Reich “non ha diritto ad una razione fissa, ma consuma ciò che la Patria (sotto la specie dell’Intendenza) è in grado di procurargli di volta in volta”. Ornato concetto retorico, questo, cui non rispondeva certamente la prassi di una reale applicazione e si risolveva anzi, generalmente, con riprovevole parzialità, ai danni della parte italiana. Amor di verità vuole si riconosca che anche i tedeschi si dibattevano allora in serissime difficoltà, per l’insufficienza dei trasporti, ma bisogna pur dire che delle loro disponibilità soltanto il superfluo veniva assegnato agli alleati dopo soddisfatta ogni loro esigenza.

Quanto poi allo sfruttamento delle risorse locali possiamo rilevare il concetto informativo tedesco dalle seguenti “direttive sulla potestà militare, sulla sicurezza e sull’amministrazione dei territori conquistati ad est del Dnjestr” emanate dal comando della 11a Armata:

  1. a) – lo sfruttamento del paese per i bisogni delle truppe e l’alleviamento dei rifornimenti è di importanza decisiva per le operazioni;
  2. b) – è importante che tutte le forze dell’esercito tedesco, romeno e italiano impiegate nel territorio retrostante si regolino in modo unitario per conseguire tale scopo;
  3. c) – la preda bellica è a disposizione dei reparti che l’hanno catturata soltanto per le armi, i materiali e i beni di approvvigionamento che possono essere sfruttati per i propri rifornimenti ed equipaggiamenti. All’infuori di ciò, tutto quanto può servire per il comune proseguimento delle operazioni, è a disposizione del comando dell’11a

Le grandi riserve, non utilizzabili ai fini delle operazioni devono essere consegnate alle organizzazioni tedesche di retrovia per l’invio in Germania. È proibito l’invio di preda bellica ai Paesi amici.”

L’intransigenza tedesca al riguardo era così assoluta da considerare come sabotaggio ogni sfruttamento delle risorse volto a migliorare le condizioni dell’economia dei paesi alleati. Eravamo di fronte all’applicazione di un concetto totalitario in fatto di accaparramento delle risorse e dei beni economici di ogni genere, che non ammetteva eccezioni, neppure di fronte alle imperiose esigenze delle operazioni.

La logica e lo stesso comune interesse delle operazioni avrebbe suggerito che criteri meno esclusivisti fossero almeno applicati per i viveri in genere per le derrate necessarie alla vita delle unità, tenendo conto che un simile apporto si sarebbe risolto in un alleggerimento del carico dei trasporti, che appunto lamentavano uno stato permanente di crisi, Invece, ci si imbatteva continuamente negli organi dell’occupazione economica tedesca, incredibilmente solleciti ad installarsi immediatamente nelle località conquistate per mettere le mani su tutte le risorse economiche disponibili.

Naturalmente sarebbe ingenuo credere che in determinate circostanze di emergenza anche gli italiani non abbiano ricorso allo sfruttamento diretto delle risorse locali, ma ciò fu fatto sempre con quel senso di onestà e di giustizia che gli stessi russi ripetutamente ebbero a riconoscere.

 

 

Abbiamo parlato di concentramento del C.S.I.R sulla linea del Dnjepr. Ma in realtà se le divisioni si erano attestate al fiume con la parte combattente in tempo per partecipare attivamente alla battaglia di sfondamento, la maggior parte delle truppe di corpo d’armata e soprattutto gli organi dei servizi erano ancora disseminati su una profondità di circa 800 km. Ospedali, forni, depositi di munizioni, materiali del genio, magazzini vestiario ed equipaggiamento, delegazioni d’intendenza, parchi, officine sostavano lungo la interminabile linea di comunicazione, privi di ogni possibilità di spostamento per insufficienza di mezzi.

La stazione di testa ferroviaria era Belzy, a 878 km. dalla delegazione d’Intendenza più prossima alle truppe operanti e soltanto per i primi di settembre si prevedeva di rimettere in esercizio qualche tronco ferroviario più avanzato.

Gli automezzi incominciavano ad accusare lo sforzo eccessivo cui necessariamente dovevano essere sottoposti; il servizio delle riparazioni procedeva con ritmo inadeguato per insufficiente numero di autofficine e, soprattutto, per mancanza di parti di ricambio (deficienza, quest’ultima che ha fortemente inciso dovunque sul rendimento della nostra motorizzazione, già tanto scarsa quantitativamente e qualitativamente tanto inadeguata). La conseguenza era la progressiva diminuzione di portata dei nostri autotrasporti, materialmente espressa dal sorgere dei primi “campi autoguasti”, veri cimiteri di macchine, destinati a moltiplicarsi col procedere dell’avanzata.

Situazione nel complesso preoccupante, suscettibile di miglioramento soltanto attraverso un periodo di raccoglimento che, consentendo al corpo d’armata di riunire le sue sparse membra, avrebbe potuto conferire alle unità maggior vitalità operativa. Viceversa occorreva riprendere senza indugio il movimento verso oriente, per affermarsi nel bacino industriale del Donetz e nella zona di Rostow: un nuovo sbalzo di 300 km. alle cui incognite operative venivano pertanto a sovrapporsi quelle, già tragiche, dei rifornimenti.

Avrebbe potuto il Corpo di Spedizione superare la prova? O non si sarebbe corso il pericolo di vedere le nostre truppe disperse su fronti e profondità smisurate, senza viveri, senza munizioni, senza carburante, paralizzate ed inerti alla mercè della reazione nemica?

Prudenza avrebbe voluto che noi avessimo denunciato, fino da quel momento, la necessità di una sosta, prima di riprendere a seguire gli alleati, tanto meglio attrezzati per quel genere di operazioni e, soprattutto, assai meglio alimentati dai loro organi di rifornimento. Ma ciò avrebbe significato la fine del C.S.I.R. come unità combattente e la sua definitiva condanna alle retrovie per servizi territoriali.

Suprema responsabilità di comando di cui ricordo ancora oggi l’angoscia del travaglio! Nel tormento della decisione io “sentii” che il soldato era pronto ad affrontare qualunque sacrificio per difendere la sua dignità e il suo buon nome d’italiano.

Bisogna aver combattuto fianco a fianco con eserciti stranieri per comprendere tutto ciò. L’onore della Bandiera della Patria, la tutela del nostro prestigio, la fiducia che riponevo nelle mie truppe ispirarono la mia linea di condotta e la mia decisione fu quella di “osare per affermarsi”.

Riporto alcuni brani di una lettera che l’attivissimo e bravo Intendente del C.S.I.R., generale Biglino, mi diresse in occasione del passaggio dell’Intendenza alle dipendenze dell’8a Armata nel luglio 1942:

“…Ricordo, a mezzo ottobre, l’arresto oltre il Dnjepr a causa del cattivo tempo. Tutti i trasporti erano fermi e le truppe invece marciavano. Pensavo al distacco inesorabile delle truppe dai servizi, alla assoluta impossibilità dei rifornimenti, al sopraggiungere di nuove piogge e all’inverno, che i primi freddi preannunciavano.

Se richiesto di un parere, la mia prudenza logistica avrebbe consigliato l’arresto, Ma Voi interrogaste qualche cosa di diverso e di più alto della logistica. Sono questi, io penso, i momenti supremi del comando, quando il comandante decide sulla base di elementi che egli solo vede, sente e giudica.

Giunsero giorni angosciosi: il distacco completo dell’Intendenza dalle divisioni, i rifornimenti per via aerea, goccia nel mare.

Per colmare in qualche modo quel senso di doloroso isolamento che mi ossessionava mi recavo ad interrogare, presso gli ospedali, i feriti sgomberati per via aerea ed avevo attraverso ad essi un tenue contatto con le truppe che a 300 km. di distanza combattevano in condizioni estremamente difficili. Voi, in quei gravi momenti, raccoglievate quanto avevate seminato…”.

 

 

Il periodo delle operazioni per la conquista del bacino del Donetz rappresentò effettivamente la maggior punta di crisi logistica di tutta la campagna, il limite massimo tra l’osare ed il potere, il trionfo delle forze dello spirito.

Gli elementi essenziali per incidere su questo stato di fatto furono i seguenti:

= la situazione preesistente, precedentemente accennata;

= la nostra ormai nota insufficienza quantitativa e qualitativa di mezzi di trasporto;

= le inadempienze tedesche in fatto di rifornimenti e di convogli ferroviari;

= il peggioramento delle condizioni atmosferiche.

Circa i rifornimenti da parte germanica si può dire che essi si effettuarono regolarmente fino al Bug, divennero incompleti dal Bug al Dnjepr, furono assolutamente insufficienti ed oltremodo intricati dal Dnjepr al bacino del Donetz. Questa schematizzazione acquista particolare valore ove si pensi che il periodo di massima crisi logistica, tra Dnjepr e Donetz, doveva coincidere con una fase di intensissima attività operativa e di irreparabile stasi dei trasporti per via ordinaria.

Mentre infatti le truppe, superando sforzi durissimi e marciando quasi sempre a piedi, riuscivano a procedere verso gli obiettivi, le autocolonne di rifornimento restavano inesorabilmente bloccate dalla impraticabilità delle piste: di giorno per il mare di mota che sommergeva, di notte per l’inimmaginabile sconvolgimento del terreno solidificato dal gelo, arato profondamente in ogni senso dai solchi delle ruote, tale da rendere inefficiente ogni nostro automezzo dopo appena qualche chilometro di percorso.

Unico mezzo di trasporto in grado di funzionare era quello aereo ed a questo si ricorse per i rifornimenti più urgenti di viveri e di munizioni e per lo sgombero dei feriti gravi dalla zona di Stalino a quella di Dnjepropetrowsk, ma gli apparecchi disponibili erano pochissimi e il loro contributo non rappresentava che un palliativo.

Nonostante tutto, le truppe non si arrestarono e conquistarono in breve tempo tutti gli obiettivi fissati. Ma giunsero stanche dalle marce e dai combattimenti, abbisognevoli di tutto, scarpe, uniformi, viveri, munizioni, carburante. E l’inverno era alle porte!

 

Per sopperire alle esigenze delle unità non bastava più spostare in avanti le basi, ma occorreva alimentare abbondantemente le basi stesse, per evitarne il rapido esaurimento. Era questo un problema essenzialmente ferroviario e le ferrovie erano ipotecate dai tedeschi, come al solito larghi di promesse e di convenzioni, ma terribilmente egoisti nel concedere e instabili nel mantenere.

L’Intendenza del C.S.I.R. aveva elaborato progetti sommari di rifornimenti ferroviari, richiedendo alle autorità germaniche un determinato contingente di convogli mensili ma, a causa della insufficiente potenzialità delle linee in rapporto alle numerose esigenze, il programma dovette essere notevolmente ridotto.

Riporto qui di seguito un brano di lettera diretta il 15 novembre 1941 dall’Intendenza del C.S.I.R. allo Stato Maggiore dell’Esercito, nel quale risulta chiaramente lumeggiata la contrastata questione:

“…Non conosco le cause che hanno indotto il comando tedesco a ridurre da 25 a 15 i treni che mensilmente potranno essere avviati al C.S.I.R., come pure non conosco i motivi che hanno indotto codesto S.M. all’accettazione pura e semplice di tale fatto.

Il problema dei trasporti ferroviari, affrontato da mesi, non ha ancora trovato una soluzione ed anzi oggi è ricondotto all’origine, senza che i successivi insistenti interventi abbiano dato un frutto qualsiasi. Infatti l’Intendenza il 18 settembre chiese l’inoltro di un treno al giorno oltre il Dnjepr; gliene fu garantito prima uno ogni due giorni da Q.U.S del comando sud, poi 25 al mese dal comando Supremo tedesco, peraltro ridotti subito a 20 dallo stesso Q.U.S, infine ridotti ancora a 15 dal comando Supremo tedesco. Ad onta delle riduzioni le promesse non furono mantenute. Infatti nel periodo 15 settembre-15 novembre sono giunti 25 treni, mentre secondo gli impegni di Uman del Q.U.S (18 settembre) e quelli successivi del Comando Supremo tedesco, nello stesso periodo di due mesi ne avrebbero dovuto giungere 40. Oggi, coi 15 treni al mese, si è tornati esattamente al punto di partenza di due mesi fa.

Ovvio che queste continue variazioni impediscono l’attuazione di qualsiasi piano organico di preparazione e di trasporto e tutte le previsioni sono annullate.

Il ritardo nell’arrivo dei treni ha portato alla conseguenza che materiali che occorreva distribuire alle truppe fin dall’ottobre, si sono accumulati a Dnjepropetrowsk e non è possibile farli proseguire causa l’arresto dei trasporti automobilistici, dovuto al maltempo. Ed altri materiali necessari al C.S.I.R. per lo svernamento sono ancora in Italia e giungeranno, quando non ce ne sarà più bisogno…-

…In conclusione chiedo allo S.M. Esercito che interessi d’urgenza il comando supremo perché ottenga da quello tedesco l’impegno definitivo a far affluire al C.S.I.R. 25 treni al mese, con attuazione immediata ad eccezione dei treni ospedale, trasporto truppe e di quelli previsti per lo sgombero delle basi logistiche arretrate.

…Contemporaneamente insisto presso la parte germanica in loco perché assegni al C.S.I.R., non appena riattata la ferrovia Dnjepropetrowsk – Stalino, una media di 20 vagoni al giorno, per lo spostamento in avanti dei magazzini”.

È da tener conto che sui rifornimenti ferroviari incidevano anche le necessità di trasbordo (di cui i tedeschi profittavano per realizzare furti in grande stile, facendo sparire talvolta interi vagoni) ed i continui rimaneggiamenti dei treni che per strada dovevano alterare più volte la loro composizione originaria. Cito, ad esempio, un treno munizioni, giunto a Kriveirog incompleto ed inutilizzabile perché erano stati avviati altrove i vagoni che portavano gli elementi del colpo.

 

 

Abbiamo così gettato un rapido sguardo sulle principali questioni logistiche che di giorno in giorno angustiavano la vita del Corpo di Spedizione. Esse dettero luogo a lunghi dibattiti con l’alleato e le inadempienze tedesche aprirono a volte aspri e violenti contrasti col comando italiano; riunioni, accordi, convenzioni si moltiplicavano, si aggiornavano e davano luogo a nuove promesse e a nuovi impegni che invariabilmente venivano ben presto dimenticati.

In complesso ci veniva concesso ben poco. Esistevano certamente gravi difficoltà anche per i tedeschi, ma ciò che indisponeva soprattutto era il fatto che essi sembravano non rilevare e non apprezzare al loro giusto valore le preoccupanti condizioni logistiche del C.S.I.R. e, mentre chiedevano sempre nuovi sforzi operativi, concedevano in proporzione sempre meno e, di regola, con precedenza alle proprie esigenze.

Fortunatamente la riattivazione della ferrovia di Dnjepropetrowsk-Stalino, in novembre, migliorò sensibilmente la situazione e ci consentì di far giungere gradatamente alle truppe almeno l’indispensabile.

Ma a questo indispensabile il nostro soldato aveva dovuto rinunciare per qualche tempo, naturalmente non senza grave disagio e non senza seri sacrifici che soltanto la forte volontà, l’eccezionale spirito di adattamento e l’estrema frugalità dei nostri uomini avevano potuto rendere sopportabili.