STEFANO CHIARLE L’Ucraina ed il cammino verso la democrazia

  

L’Ucraina ed il cammino verso la democrazia

 Stefano Chiarle*

INTRODUZIONE

Le pacifiche manifestazioni di piazza che hanno scosso l’Ucraina nell’autunno del 2004, e che grazie anche alla mobilitazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, hanno determinato lo spodestamento di un’affermata quanto corrotta oligarchia (la quale cercava di mantenersi al potere attraverso elezioni truccate) ha costituito un evento di particolare rilevanza storica, ribattezzato « rivoluzione arancione ». L’importanza é data dall’influenza che questo evento ha avuto, sul processo di democratizzazione delle repubbliche ex-sovietiche, Russia compresa; nonché dalla particolare posizione del paese.

Per meglio comprendere il contesto e le origini dello stesso, ho considerato la Storia generale dell’Ucraina, cercando di approfondirne la parte successiva all’indipendenza post-sovietica, per poi prenderne in esame il periodo della rivoluzione arancione, durata solamente diciassette giorni, ovverossia dal contestato ballottaggio presidenziale del 21 novembre 2004 all’8 dicembre dello stesso anno, data d’approvazione della riforma della legge elettorale, che nella sua precedente versione aveva permesso, a causa di alcuni suoi aspetti tecnici, i massicci brogli perpetrati da parte del governo in carica.

La maggior difficoltà riscontrata nella ricerca delle fonti é data dalla mancanza di pubblicazioni in Italia sull’argomento, mentre le poche pubblicazioni prodotte all’estero (ho considerato solo quelle in lingua inglese e francese) spesso sono condizionate dalla faziositá e dal coinvolgimento degli autori nella vicenda stessa, al punto da renderle talvolta contradditorrie tra loro. Ho dovuto quindi fare ricorso ad articoli di giornale dell’epoca, e a vari siti internet per cercare di costruirmi una mia posizione critica, in modo da poter stabilire quali fonti considerare attendibili e quali ritenere essere mero veicolo di disinformazione.

L’importanza che l’Ucraina riveste nello scenario internazionale, si evince se si considera quali saranno i principali giacimenti d’idrocarburi destinati a essere sfruttati nel futuro ossia quelli dei paesi ex-sovietici dell’Asia centrale, e la posizione dei principali paesi interessati ad approvigionarvi, vale a dire i paesi europei. Questo paese potrebbe quindi essere il punto d’attraversamento obbligato di questi flussi energetici al fine di aggirare per molteplici e diverse ragioni sia la Russia sia la Turchia. L’attuale rete di oleodotti confluisce dalle cospicue e ancora poco sfruttate riserve dell’Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan direttamente a Mosca, con tutte le conseguenze immaginabili dal punto di vista geopolitico. Le alternative a questi consolidati corridoi energentici passano per il Mar Caspio, attraversano il Caucaso e raggiungono l’Europa per la Turchia o l’Ucraina (vedasi mappa 1).

Inoltre l’Ucraina, é tra i paesi ex-sovietici, quello più legato storicamente e culturalmente alla Russia, ed è anche quello più popoloso ed europeo. Esso svolge la funzione di ponte, o cuscinetto se si preferisce, tra la NATO e l’Unione Europea da una parte e la Federazione Russa dall’altra. Funzione che con questa nuova affermazione della democrazia unita alla giá nota vocazione euro-atlantica di Kiev, potrebbe trasformarsi in quella di punto di contatto tra due realtá che nonostante il superamento della Guerra Fredda si trovano spesso su posizioni contrapposte.

Fino a pochi anni fa la regione del Caucaso era dominio incontrastato di Mosca, ma la “rivoluzione delle rose” in Georgia del 2003 ha deposto il presidente Sheverdnadze fedele al Cremlino, portando il paese nell’orbita di Washington, oltre che nel novero delle nazioni democratiche. Tuttavia le ridotte dimensioni del paese e i giá gravosi impegni russi in Cecenia avevano fatto pensare a un evento isolato, ma la “rivoluzione arancione” avvenuta un anno dopo in Ucraina ha evidenziato un sostanziale processo di cambiamento nell’area.

L’UCRAINA

L’Ucraina é un paese con una Storia lunga e travagliata, purtroppo sconosciuta per buona parte dei cittadini europei e americani. Qualsiasi analisi della “rivoluzione arancione”, dell’importanza geostrategica del paese, e della sua attuale situazione interna non posso prescindere da un minimo d’inquadramento storico che fornisca le basi per comprenderne il particolare assetto culturale, etnico e linguistico.

E’ convinzione abbastanza diffusa presso gli occidentali, cosí come in larga parte dei cittadini russi e in una quota rilevante di quelli ucraini, che l’Ucraina non sia altro che una parte della Russia; la storica denominazione di Piccola e Grande Russia dei due rispettivi territori spesso ripresa dalla letteratura russa[1] ne spiega la visione storica, al punto che l’equazione Moscovia più Ucraina uguale Russia risulta ben radicata nella cultura russofona[2].                                                                  Tuttavia un semplice studio sufficientemente obiettivo, puó facilmente dimostrare come la Storia Ucraina, o meglio del territorio su cui essa oggi si estende, non sia la Storia di una parte del popolo russo, ma la somma della Storia di diversi popoli che nel corso dei secoli si sono incontrati, o meglio scontrati, portando lentamente all’attuale patrimonio etnico, linguistico e culturale, al punto che il significato di Ucraina é “terra di confine”[3].

Tribú slave occuparono la parte orientale e centrale del paese attorno al sesto secolo dopo Cristo, giocando un ruolo fondamentale nello sviluppo della citta di Kiev; la quale situata su importanti vie commerciali che univano il Mar Baltico al Mar Nero, prosperó come centro del potente Stato della Rus’ di Kiev. I missionari Cirillio e Metodio, grazie all’influenza dell’impero bizantino, introdussero l’alfabeto cirillico e la religione greco-ortodossa[4].  Il culmine di questa di questa penetrazione culturale fu raggiunto nel 988, quando sotto il rpincipe Volodymyr, la religione cristiano-ortodossa divenne religione ufficiale, spingendo alla conversione la nobiltá e la maggioranza della popolazione.                                                                                                                                         Tuttavia la struttura feudale del regno, fu minata dalle continue lotte tra i signori feudali, che portarono a un lento declino. Di tale debolezza approfittarono i mongoli nel XIII secolo, che posero fine alla Rus’ di Kiev, frammentando il territorio in numerosi principati sotto il nominale controllo dell’Orda d’Oro. Conseguenza più rilevante di questa invasione fu il traferimento del metropolita di Kiev nel 1299, dapprima a Vladimir e poi definitivamente a Mosca, da dove tutt’oggi puó rivendicare l’autoritá spirituale sulla Chiesa ortodossa ucraina in virtú dell’ereditá storica cosí tramandatagli[5].

Nel XIV secolo buona parte dell’attuale territorio ucraino é annesso dal regno di Polonia e dal Granducato di Lituania, quest’ultimo estendeva il proprio dominio fino al Mar Nero, al basso corso del Dnepr, e alla stessa Kiev. É in questo periodo che gli ucraini iniziano a sentirsi un popolo distinto, richiamandosi anche alla potenza del secolo precedente. Esso é anche il periodo in cui s’inizia a utilizzare il termine “cosacchi”, per indicare i contadini ucraini che rifiutano di entrare a far parte della servitú della gleba, e preferiscono spostarsi nella semispopolata steppa del sud e dell’est dell’ucraina vivendo da uomini liberi e militarmente organizzati, fungendo cosí da cuscinetto tra ottomani, lituani e tartari.

Nel 1569 con la fusione del regno polacco con il granducato lituano inizia un processo di “polonizzazione”, che comprende anche la conversione al cattolicesimo della popolazione, portando così alla nascita nel 1596 della Chiesa greco-cattolica ucraina, la quale pur riconoscendo l’autorità del Papa mantiene il rito orientale. Questa particolarità, in contrasto all’ortodossia russa e al cattolicesimo polacco, diventerá uno degli elementi distintivi dell’identitá ucraina.

I cosacchi tuttavia subiscono la continua pressione di russi, ottomani e polacchi, pertanto cercano di superare la loro naturale ritrosia a costituire strutture politiche stabili, ma non vanno oltre l’elezione di un capo comune, l’atamano, che dispone di pieni poteri solo in caso di guerra.

Nel 1648 è eletto l’atamano Vasiliy, il quale dapprima proclama uno Stato indipendente, e poi decide, al fine al fine di sopravvivere a vicini tanto potenti, di cercare tra loro un forte alleato. La scelta cade sulla Russia, e con il trattato di Perejaslav del 1654, la Storia dei due paesi si legarono saldamente fino ai giorni nostri. Il trattato, la cui interpretazione poteva spaziare da un semplice accordo militare di natura tattica a una volontaria e completa incorporazione nella Moscovia, stabiliva la protezione dello Zar Alessio sulla riva sinistra del Dnepr e sulla cittá di Kiev che si trovava sull’altra riva[6].

Di fatto l’interpretazione dello Zar fu quella dell’annessione, e ció costituisce motivo di scontro tra gli storici filo-ucraini e gli storici filo-russi, i primi vi vedono il principale dei tanti inganni perpetrati dai russi, i secondi invece l’inizio della lotta di liberazione dallo straniero della Piccola Russia con la conseguente affermazione dei confini naturali della Russia. Lo stesso termine Russia é fonte di diatriba tra gli storici, esso fu adottato per sostituire la vecchia denominazione di Principato di Moscovia in maniera da potersi richiamare al glosrioso passato della Rus’ di Kiev.

Tuttavia l’espansione russa verso occidente fu molto lenta, nonché costellata di ribellioni da parte delle popolazioni cosacche, mentre nell’Ucraina occidentale l’impero asburgico aveva sostituito il regno polacco conquistando nel 1772 la Galizia e nel 1774 la Bucovina, mentre l’impero Ottomano ormai in declino manteneva comunque il controllo della Bessarabia e della steppa a est di Odessa[7].

La presenza asburgica é importante perché Vienna decide, in chiave anti-russa e anti-ottomana, di dare vigore al movimento nazionale ucraino, concedendo l’insegnamento della lingua e della letteratura ucraina nella prima universitá laica fondata a Leopoli nel 1784. Anche sotto il dominio russo si decide di dare spazio all’insegnamento dell’ucraino all’universitá di Khariv a partire dal 1804, ma in seguito all’insurezione polacca del 1863, ne sará vietato l’insegnamento e scoraggiato anche l’uso comune.

È proprio in questo momento che compare l’odierno termine Ucraina ad opera del giornale Ukrainskij Vestink, emergono inoltre gli intellettuali che si battono per mantenere le tradizioni culturali e linguistiche ucraine, ispirandosi all’analoga situazione di molti popoli europei parte degli imperi multinazionali. Tuttavia soltanto con il vuoto istituzionale venutosi a creare nel 1917 a causa della rivoluzione russa, consentirá la proclamazione dell’indipendenza ucraina, dapprima come repubblica popolare ucraina a Kharkiv nel dicembre 1917, e successivamente a Kiev nel gennaio 1918 da parte di un parlamento autocostituitosi.

La neonata nazione diventa subito violento teatro di scontro tra le due repubbliche, nonché della panoplia di forze: bianche, rosse, anarchiche, straniere e criminali che vi si scontrano all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre. Alla fine i bolscevichi s’impongono, e il 30 dicembre 1922 l’Ucraina diventa una delle prime quattro repubbliche socialiste sovietiche unite, al prezzo però d’importanti cessioni territoriali ancora oggi oggetto di contenzioso internazionale, quali la Bessarabia ceduta alla Romania e oggi in parte Moldavia e la Galizia e la Volinia cedute alla Polonia.

Una delle importanti ereditá della breve repubblica ucraina di Kiev del 1918-1922, non é solo l’affermazione dello spirito nazionale, ma soprattutto la creazione di una Chiesa ortodossa auto-cefala che non riconosce più il primato di Mosca, essa contribuisce ancora oggi alla definizione dell’identitá nazionale[8]. Tale identitá riesce ad affermarsi almeno fino al 1928 nell’ambito dell’URSS fino a quando le direttive di Stalin non vi posero fine, egli inoltre, volutamente lascio che i contadini ucraini che ancora resistevano alla colletivizzazione fossero lasciati ad affrontare gli effetti della carestia del 1932-1933, la quale ne causò la decimazione (le cifre oscillano tra i tre e i sette milioni di morti)[9].

Stalin tuttavia gettó anche le basi per la successiva indipendenza dell’Ucraina, riconoscendola come membro distinto dalla Bielorussia, e tracciandone gli attuali confini orientali (inclusa la Galizia) in seguito alla spartizione della Polonia del 1939. La seconda guerra mondiale, portò nuovi massacri, distruzioni e deportazioni che non finirono con la riconquista dell’Armata Rossa ma che continuarono fino alla metá degli anni ’50 quando anche gli ultimi guerriglieri galiziani furono definitivamente sconfitti nel loro tentativo di essere riannessi alla Polonia.

Tutto questo spiega perché Cruscev nel tentativo, in buona fede, di riparare ai danni causati da Stalin, ne causerà tuttavia di ancora più gravi all’assetto etnico, culturale e linguistico del paese. Egli autorizzerà il movimento dei contadini ucraini verso le cosidette “terre vergini” dell’Asia sovietiche mentre l’imponente industrializzazione avviata nell’est del paese comporterà l’immigrazione di milioni di operai e tecnici russi. Infine la cessione simbolica della Crimea all’Ucraina, fatta per suggellare la ricorrenza dei 300 anni del trattato di Perejaslav, diventerá dal momento dell’indipendenza il più grave contenzioso tra i due paesi.

Il movimento nazionalista riceve un forte impulso nella campagna elettorale per il Congresso Unito dei Deputati del Popolo che tenne la sua prima sessione nel maggio del 1989, e che spinse per l’approvazione giá nell’ottobre dello stesso anno la Legge sulla Lingua che riconosceva l’ucraino e non il russo quale lingua ufficiale. Il partito comunista ucraino continuó inoltre a radicalizzarsi sulla questione nazionale, portando all’approvazione della legge che impediva ai militari di leva di prestare servizio fuori dai confini nazionali, sottrandoli quindi all’impiego di Mosca impegnata a gestire le crescenti tensioni interne all’URSS. Infine per dare corso alla Dichiarazione della Sovranitá dello Stato approvata dal parlamento ucraino, Gorbaciov autorizzò che fosse affiancato al referendum sulla rinnovata Unione Sovietica anche quello per l’indipendenza del paese. Il risultato dei favorevoli all’indipendenza superiore al 90%, fu frutto, ancora più che di una volontá di affermazione nazionale, del desiderio di liberarsi del sistema sovietico-russo che aveva dimostrato i suoi limiti non solo in campo sociale ed economico ma in particolare nella gestione dell’incidente nucleare di Chernobyl.

Pur restando i due paesi profondamente legati, per la natura complementare delle loro economie, in particolare nel campo industriale sia civile sia militare, e per i profondi legami culturali; i rapporti politici tra le due nazioni oscillanno per tutti gli anni ’90 tra l’ovvia necessitá di cooperare e quella di evitare un’eccessiva dipendenza da Mosca con il conseguente rischio di esserne assoggettata. Uno dei momenti di massima tensione si raggiunge nel 1993, quando Kiev dopo aver giá rinunciato all’arsenale nucleare ereditato dalla spartizione dei resti dell’URSS, si confronta con Mosca per stabilire la spartizione della Flotta sovietica del Mare Nero di stanza a Sebastopoli. La prova di forza che ne segui porto il parlamento russo ad approvare una risoluzione in cui si considerava la capitale della Crimea quale cittá russa, Yeltsin pur non dando corso alla delibera decise di forzare la mano minacciando il taglio delle forniture energetiche[10], obbligando l’Ucraina alla firma del Trattato di Massandra con il quale si stabiliva inoltre lo status di repubblica autonoma alla Crimea nell’ambito dello Stato ucraino.

Queste tensioni consentirono all’Unione Europea e agli Stati Uniti, di instaurare rapidamente e facilmente forti relazioni commerciali, economiche e politiche con l’Ucraina, sostenendola nei delicati processi: di cessione delle armi nucleari, di chiusura deifinitiva nel 2000 della centrale di Chernobyl, nonché nell’adozione delle riforme dello Stato e del mercato, necessarie dopo la de-sovietizzazione.  Inoltre il progressivo espandersi verso est dei confini sia dell’Unione Europea sia della NATO ha costituito per tutti gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, un forte elemento d’interesse anche per gli strati più poveri della popolazione ucraina, la quale poneva grandi aspettative nella possibilitá che un eventuale accesso o avvicinamento a queste realtá avrebbe migliorato sensibilmente la loro condizione economica e sociale. Questo desiderio rimase in parte frustrato, nonostante la notevole crescita del PIL negli anni ’90 (8,4% di media dal ’91 al 2000)[11], dall’azione della classe politica locale; la quale spesso rispondeva alle richieste occidentali di liberalizzazione del mercato con manovre spesso oltre il limite della legalitá, volte ad acquisire il controllo dei colossi industriali che erano progressivamente privatizzati, lasciando invece le piccole e medie imprese private a lottare con una burocrazia ancora da era sovietica[12].

Ovviamente parte della classe politica non mancava, almeno in periodo elettorale, a richiamarsi anche ai forti e antichi legami con la Russia, al fine di attirare il voto di quelle aree (Crimea ed est Ucraina), ove i cittadini di lingua russa erano la maggioranza; tuttavia passate le elezioni poco era fatto per ridurre il peso di determinati obblighi di legge nei confronti dei russofoni, come per esempio quello che obbligava a utilizzare solo l’ucraino negli atti ufficiali.

In generale i governi ucraini che si sono succeduti nel tempo hanno quindi spesso approfitato di questa posizione mediana tra il vicino russo e l’Occidente per cercare di guadagnare il massimo da entrambi senza rischiare di cadere completamente nell’orbita di una o dell’altro.

Tuttavia il rallentamento dell’economia all’inizio degli anni 2000, unito alla frustazione della popolazione per la collusione tra politica e oligarchia economica che impediva un reale sviluppo del paese, ha costituito la base per la crisi del 2004. Tra i fattori da tenere in considerazione c’é inoltre la capacità di controllare i mezzi d’informazione in lingua russa da parte dell’oligarchia legata alle industrie pesanti, in particolare nell’est del paese. Inoltre l’espansione dell’UE e della NATO verso Kiev non aveva lasciato indifferente il presidente russo Putin, né buona parte degli intellettuali e mass-media russi, dando origine a una campagna di forte propaganda per la tutela e protezione delle consistenti minoranze russe in Ucraina, nonché la tutela delle industrie ove questi erano maggiormente impegnati. Sono inoltre di questo periodo le rivendicazioni vere o presunte di una parte dell’est Ucraina per una maggiore autonomia o addirittura un’annessione alla Russia.

Tuttavia nei fatti é difficile tracciare la composizione etnico-linguistica ucraina, perché a fronte di oltre quaranta gruppi ufficialmente censiti nel 2001: ucraini 77.8% ucraini, russi 17.3%, bielorussi 0.6%, moldavi 0.5%, tartari di Crimea 0.5%, bulgari 0.4%, ungheresi 0.3%, rumeni 0.3%, polacchi 0.3%, ebrei 0.2%, altri 1.8%[13]; la statistica varia in base ai parametri e alle domande poste, basti considerare che allo stesso censimento il 27% della popolazione si é dichiarato “sia ucraino che russo”[14] (vedasi mappa 2).

In questo contesto di crecenti tensioni politiche ed economiche interne, nonché internazionali, derivanti da un nuovo attivismo russo e da una parziale perdita di attenzione per l’area da parte degli Stati Uniti e di parte dell’Occidente nel frattempo impegnati con la guerra in Iraq e in Afghanistan, che maturano le condizioni per lo scontro sull’esito delle elezioni presidenziali del 2004 che innescerá la più importante e conosciuta delle “rivoluzioni colorate”.

LA RIVOLUZIONE ARANCIONE. L’ORDINAMENTO ISTITUZIONALE

Con le elezioni del dicembre 1991 gli ucraini, oltre all’indipendenza, scelsero i membri della commissione parlamentare che elaborarono la Costituzione adottata nel giugno 1996, la quale oltre a tutelare le minoranze nazionali, garantiva anche i basilari diritti umani e le principali forme di libertá[15]. Essa stabiliva inoltre la suddivisione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario; istituendo le necessarie cariche.

Il Presidente della Reppubblica eletto dal popolo per un massimo di due mandati cinquennali, deteva: il primato in politica estera, il controllo delle forze armate, nonché il potere di nomina degli amministratori a livello comunale e regionale; inoltre conferisce e revoca l’incarico al Primo Ministro il quale deve essere confermato dal parlamento.

Il parlamento monocamerale (La Rada), si componeva di 450 deputati eletti ogni quattro anni, e fino alla rivoluzione, esso disponeva della sola iniziativa di legge, rimanendo approvazione e proclamazione appannaggio del governo e del Presidente. Il parlamento inoltre ratifica gli accordi internazionale, approva il bilancio e controlla l’operato del governo.

La possibilità che il governo possa essere sfiduciato sia dal presidente della Repubblica sia dal parlamento, spiega la solitamente breve vita degli esecutivi in Ucraina per tutti gli anni ’90 e inizio 2000, periodo nel quale i governi erano spesso travolti da comprovati scandali di natura giudiziaria e finanziaria.

Le libertà religiose erano garantite (fatto salva la registrazione delle organizzazioni religiose), la libertà d’espressione era teoricamente garantita tuttavia era comune il ricorso a intimidazioni o altre forme di pressione (come i controlli fiscali) nei confronti dei giornali o organizzazioni che rappresentavano posizioni di dissenso rispetto ai gruppi i poteri. Infine lo sciopero pur risultando una libertà civile garantita, era vietato per motivi politici.

LA CAMPAGNA ELETTORALE

Le elezioni presidenziali del 31 ottobre 2004 rappresentavano in momento di discontinuità stante l’impossibilità dell’uscente presidente Kuchma, al potere dal ’94, di candidarsi per un ulteriore mandato. Egli aveva saputo garantire con pragmatismo la transizione dall’economia comunista a quella di mercato, recependo le indicazioni dell’Occidente ma tutelando la posizione di Mosca, mediando inoltre i diversi potentati economici venutisi a costituire nel paese. Basta dire che entrambi i principali sfidanti alla sua successione avevano ricevuto da lui in periodi diversi l’incarico da primo ministro. Il pragmatismo del Presidente non gli aveva impedito tuttavia di partecipare indirettamente alle scandalose privatizzazioni di diversi settori strategici.

La tensione con cui viene condotta la campagna elettorale si palesa subito con una strana malattia che in settembre colpisce il candidato “filo-occidentale” Yushenko, il quale risultandone sfigurato, viene accusato dai sui avversari addirittura di essere un lebbroso. Soltanto esami condotti all’estero confermeranno solo l’11 dicembre, appena prima del secondo turno per il ballottaggio, i sospetti: avvelenamento da diossina. Avvelenamento che si sarebbe verificato durante una cena del candidato con alcuni alti esponenti dei servizi di sicurezza ucraini[16].

Questo candidato vantava un apprezzato curriculum: nel 1993 da direttore della banca centrale aveva guidato l’introduzione della nuova moneta nazionale, dal 1999 al 2001 da primo ministro aveva avviato una rigorosa politica fiscale soprattutto nei confronti degli oligarchi recuperando così le risorse necessarie a pagare gli stipendi pubblici; tuttavia le limitate risorse finanziare a disposizione lo avevano spinto ad allearsi con quella parte dell’oligarchia che si contrapponeva al potere della fazione presidenziale, la più conosciuta rappresentante di questo mondo era Julia Timoshenko, bella e intelligente, aveva approfittato della sua posizione di direttrice del monopolio di Stato del gas per fondare una propria compagnia energetica, finendo per essere soprannominata “la principessa del gas”. Inizialmente su posizioni pro-Kuchma, era riuscita a diventare anche vice premier accanto a Yushenko dal 1999 al 2001, e sostenendo quest’ultimo nella rigorosa politica fiscale nei confronti degli oligarchi. Questa sua posizione aveva provocato la reazione di questi ultimi, i quali con una serie d’inchieste giudiziarie rivelatesi infondate l’avevano costretta alle dimissioni.

L’altro candidato Yanuchovic, poteva vantare un curriculum meno brillante: tre anni e mezzo di carcere per aggressione e furto[17], una carriera nel settore industriale grazie alla capacità di tessere relazioni politiche, che lo porterà nel 1997 a diventare governatore della regione mineraria del Donetsk; qui grazie al polso e al linguaggio semplice riuscirà a guadagnare consensi, nonché l’appoggio della potente oligarchia economica che controlla sia le attivitá estrattive dell’est del paese sia la maggioranza dei mezzi d’informazione in lingua russa. Egli assume l’incarico di primo ministro dal novembre 2002 fino alle elezioni, senza particolari meriti o demeriti, a parte le massicce e scandalose privatizzazioni fatte a ridosso delle elezioni, che hanno favorito anche ambienti vicini al presidente Kuchma[18].  Egli si presenta quindi come garante delle industrie pesanti, presenti soprattutto nell’est russofono, contro la liberalizzazione necessaria per accedere pienamente al mercato europeo.

Ovviamente a questi due schieramenti si aggiungono gli attori internazionali. Da una parte la Russia, desiderosa di evitare la deriva del proprio vicino verso la NATO e l’Unione. Dall’altra parte gli USA, impegnati a sostenere il candidato filo-occidentale al fine di espandere la propria area d’influenza. Inizialmente a metà tra i due contendenti, si colloca l’Unione Europea la quale si pone inizialmente come mero obiettivo il corretto e democratico svolgimento delle elezioni.

Il presidente russo Putin, oltre alla massiccia mobilitazione dei mass-media russofoni a favore di Yanuchovic, e un sostegno finanziario e tecnico non ancor’oggi divulgato; decide di partecipare in prima persona, in maniera inedita, alla campagna elettorale a favore del proprio candidato. Inoltre viene avviata una pesante e ben coordinata campagna diffamatoria nei confronti di Yushenko, cui si aggiungono sistematiche intimidazioni nei confronti dei mass-media indipendenti.

Impossibilitati a contrastare la propaganda con i mezzi tradizionali i sostenitori di Yushenko decidono di adottare il colore arancione, simbolo del suo partito “Ucraina nostra”, quale principale simbolo per manifestare. Iniziano quindi a vestirsi, dipingere le macchine, esporre striscioni colorati dalle finestre, al punto che già prima della prima tornata elettorale del 31 ottobre 2004, il colore predominante a Kiev era l’arancione. Le scelte e le capacità comunicative del partito di Yushenko, sono sostenute e potenziate dagli USA, i quali oltre a trasmettere direttamente con l’emittente Radio Free Europe[19], hanno sostenuto finanziariamente la presenza di membri dei movimenti non-violenti serbi, georgiani, e di altri paesi delle repubbliche ex-sovietiche, i quali forti dell’esperienza maturata e della conoscenza del russo quale lingua ponte con gli ucraini, sono risultati decisivi nel organizzare la propaganda prima, e le manifestazioni di piazza poi[20].

Inoltre il Dipartimento di Stato finanziava in maniera cospicua alcune organizzazioni locali che si prefiggevano di vigilare sulla correttezza dell’elezione, e che sono state poi in grado di documentarne i brogli, non sfugge tuttavia come una di queste organizzazioni, che ha ricevuto ben 48 milioni di dollari, fosse presieduta dalla moglie di Yushenko, la quale peraltro aveva lavorato per un periodo anche al Dipartimento di Stato americano[21]. Alcuni degli stanziamenti americani sono stati pubblicamente girati a favore della campagna di Yushenko.

L’Unione Europea decide insieme all’OSCE, un massiccio spiegamento di osservatori internazionali, volti a certificare la correttezza o meno delle elezioni.

Mentre il primo turno si svolgeva il 31 ottobre in maniera abbastanza regolare, garantendo l’accesso al ballottaggio del 21 novembre dei due candidati favoriti, con il 40% per Yushenko e il 39% per Yanuchovic, la campagna elettorale tra i due turni degradava ulteriormente, aggiungendosi alla continua diffamazione reciproca il sospetto di prossimi massicci brogli elettorali.

Se le votazioni del 21 novembre non registravano alcun evento significativo, il successivo spoglio delle schede manifestava evidenti scollamenti tra gli exit pool, i dati delle commissioni elettorali territoriali e quelli della commissione elettorale centrale. Gli stessi dati di affluenza risultavano anomali nelle circoscrizioni dove il candidato governativo aveva raccolto più consensi e l’opposizione era priva di rappresentanti, dove grazie ad un meccanismo che consentiva ai cittadini di votare in una circoscrizione diversa a quella di residenza, l’affluenza aveva raggiunto in alcuni casi il 110%[22]. Questo dato era ancora più anomalo alla luce della mancanza di un meccanismo di controllo per evitare il voto multiplo, dando corpo alle voci che parlavano di autobus impegnati portare in giro per seggi elettorali i sostenitori di Yanuchovic. Appariva inoltre evidente l’abuso del meccanismo del voto a domicilio per gli infermi, da cui emergevano dati poco realistici (in certe circoscrizioni oltre il 10% delle schede), così come realistica appariva la partecipazione al voto nei seggi pro Yanuchovic, dove addirittura l’affluenza veniva “ritoccata” dalla commissione elettorale centrale a seggi già chiusi e a spoglio delle schede in corso.

L’opposizione che già si era radunata in piazza per festeggiare, non si fa trovare impreparata grazie al sostegno degli attivisti finanziati dagli USA, così quando al secondo giorno di spoglio che fino a quel momento dava in testa Yushenko, l’affluenza viene “ritoccata” di 1.200.000 schede, Yushenko decide di proclamarsi presidente. Ovviamente il governo, terminato lo spoglio che attribuisce per 800.000 voti di scarto la vittoria a Yanuchovic, non riconosce il gesto. Tuttavia mentre solo Putin telefona per congratularsi della vittoria. Tutto il mondo occidentale condanna immediatamente il risultato elettorale come non corretto e trasparente. Gli USA e l’UE si schierano subito per un riconteggio delle schede e/o una riedizione del ballottaggio, minacciando ritorsioni economiche e diplomatiche.

Forti del sostegno internazionale le manifestazioni di piazza prendono vigore a favore di Yanuchovic in quasi tutto il paese, mentre all’est manifestazioni di senso opposto vengono organizzate.

Nel frattempo le forze dell’ordine sono schierate e non intervengono, le forze armate dichiarano apertamente “che non eseguiranno ordini criminali”, Mentre la massiccia presenza di giornalisti occidentali limita le possibilità eventuali provocazioni da parte dei famigerati servizi di sicurezza.

In un paese quindi che si ritrova tre Presidenti della Repubblica: uno in carica, uno eletto e uno autoproclamatosi con il supporto della piazza, si decide di cercare un compromesso. Vengano avviate trattative, compreso un summit internazionale il 25 novembre all’Aja, per assegnare a uno il posto da primo ministro e all’altro quello da presidente, tuttavia entrambi paiono irremovibili, altrettanto insoddisfatta di una simile soluzione appare la comunità internazionale. La pressione diplomatica aumenta con il passare del tempo, così come le manifestazioni di piazza, favorendo Yushenko e spingendo parte della diplomazia e dei mass-media statali a schierarsi con lui o comunque dichiarandosi neutrali rispetto alla contesa.

Alla fine il 27 novembre il Parlamento ucraino decide di rompere lo stallo, che nel frattempo sta paralizzando il paese, ove voci di golpe e invasioni russe si susseguono incontrollate, e decide con una mozione di 307 su 450 voti di annullare i risultati delle elezioni. Seppur privo di efficacia giuridica, il provvedimento dimostra una chiara ostilità parlamentare all’insediamento di chiunque in un simile clima d’incertezza e inquietudine.

A questo punto il pomo della discordia diventa se ripetere il solo ballottaggio come richiesto da Yushenko o se riaprire la campagna elettorale come vorrebbe Yanuchovic.

Soltanto la sentenza emessa il 3 dicembre sulla base dei ricorsi presentati alla Corte Suprema ucraina, organo tecnicamente competente per stabilire la correttezza delle elezioni, e credibile per tutte le parti, stabilisce la nullità delle elezioni e la data del 26 dicembre per il ballottaggio.

A questo punto il presidente Kuchma non si oppone agli atti del parlamento né a quelli della suprema corte, per quanto entrambi emessi ben oltre le rispettive competenze, lasciando, di fatto, solo Yuchanovic a mediare con i rappresentati europei le necessarie riforme del sistema elettorale al fine di evitare nuovi massicci brogli. Tali suggerimenti vengono rapidamente fatti propri dal parlamento, e il presidente Kuchma firma la nuova legge elettorale.

Le manifestazioni di piazza scemano d’intensità, pur senza perdere la loro significativa presenza nell’ambito delle principali città e in particolare nella capitale, garantendo la necessaria visibilità internazionale e la pressione sul governo da cui nel frattempo si dimette Yuchanovic.

Il risultato del ballottaggio del 26 dicembre è certificato solo il 10 gennaio 2005 dopo una serie di ricorsi e riconteggi, il risultato finale, che consegna la vittoria a Yushenko con il 51,99% contro il 44,20% di Yuchanovic, certifica non solo la capacità del popolo ucraino di battersi per un governo democraticamente eletto, il quale si insedierà il 23 gennaio. Esso rappresenta soprattutto anche il più grande risultato mai ottenuto dalla diplomazia dell’Unione Europea, oltre che dagli USA, in un’area oltretutto tradizionalmente appannaggio di Mosca.

Alla luce dei fatti dei successivi dieci anni, non si fatica a dedurre di come il governo della Federazione Russa abbia ben studiato e compreso le necessarie contromisure per contrastare il soft power occidentale e riaffermare i propri interessi nell’area.

*Dottore, Frequentatore del Master di 1° Livello in STORIA MILITARE CONTEMPRANEA 1796 -1960  ANNO ACCADEMICO 2018-2019

 

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[1] S.Roman, “The politics of State Building”, Europe-Asia Studies, n. 1/1994, p. 24

[2] Norman Davies, Europe. A History, Oxford/New York: Oxford University Press, 1996, p. 558.

[3] Il termine é apparso per la prima volta nelle cronache del 1187 per indicare i territori che a est e a sud di Kiev dividevano la Rus’ dai popoli nomadi. Succesivamente é stato usato per indicare i territori posti tra la Russia, Impero ottomano e Polonia. Cfr. O. Subtenly, Ukraine, A History, Toronto 1988, University of Toronto Press.

[4] Bureau of European and Eurasian Affairs, Background Note: Ukraine, www.state.gov, agosto 2005.

[5] Alfonso Desiderio, Una nessuna centomila, “Limes, rivista italiana di geopolitica”, 2005, n.1, p.270.

[6] Jackson Janews/Oleg Kokoshinsky/Peter Wittschorek, Lussemburgo, Ukraine, Europe and the United States, Monaco, Germania, Center for European Integration Studies, 2000, p.15.

[7] Alfonso Desiderio, op. cit., p.271.

[8] Giovanni De Sio, La rivoluzione arancione, htpp://www.ukraina-italia.com/modules/cjaycontent/index.php.

[9] Bureau of European and Eurasian Affairs, op. cit..

[10] Jackson Janes/Oleg Kokoshinsky/Peter Wittschorek, op. cit., p. 17.

[11] La rivoluzione aracione:l’Ucraina tra Europa e Asia, www.4wresearch.com/Analisi_ucraina.pdf

[12] Pietro Sinatti, I paperoni ucraini: come separare Stato e oligarchi?, op. cit., p.291.

[13] Factbook: Ucraine, www.cia.gov/cia/pubblications/factbook, 10/01/2006.

[14] Mykola Ryabchuck, Che cos’é l’Ucraina, trad. Mario Baccianini, p. 284.

[15] Bureau of European and Eurasian Affairs, op. cit..

[16] Anna Zafesova, “Yushenko avvelenato con una dose di diossina”, La Stampa, 12 dicembre 2004, p.9.

[17] Adrian Karatnycky, op. cit., p.42

[18] Pietro Sinati, op. cit., p. 87.

[19] Rapporto non classificato 18539 Radio Free Europe, www.state.gov, settembre 2002.

[20] Nicola Dell’Arciprete/Alessandro di Tizio, Ucraina una rivoluzione da esportare, www.blog.radioradicale.it/blog/data/rivoluzionearancione.

[21] Carlo Reschia, Da Washigton 65 milioni all’opposizione, op. cit, p.9.

[22] Anna Zafesova, “L’Ucraina tra golpe e rivolta”, La Stampa, 23 novembre 2004, p.9.