Guerra di Russia. Comportamento delle truppe italiane verso la popolazione russa. 1941-1942

  

Relazione del Gen. Roberto Lerici Comandante della Fenteria della Divsione Torino 852a)al Gen. Giovanni Messe.

PROMEMORIA

Ho assunto il comando della Divisione “Torino” al fronte russo nel mese di Gennaio del 1942. A causa delle perdite subite nella dura battaglia di Natale e del gravoso servizio richiesto dall’ampio e delicato settore difensivo affidato alla “Torino” vi era nei reparti un diffuso senso di stanchezza cui bisognava metter riparo d’urgenza per evitare sorprese spiacevoli. Poiché, data la stagione, non potevo fare assegnamento su un sollecito afflusso di complementi dall’Italia mi orientai subito a curare al massimo quanto avevo sotto mano. Vennero così attuate provvidenze di vario genere intese a:

  • elevare il tono morale e materiale dei combattenti consentendo a tutti, mediante ben congegnati turni di riposo, di passare qualche giorno di svago nelle immediate retrovie;
  • intensificare l’impiego dei civili e dei prigionieri nei lavori dietro al fronte per alleviare la fatica dei soldati nostri.

Nell’attuare le provvidenze in questione sono stato molto agevolato dall’ambiente stesso nel quale la Divisione operava. Ciò può sembrare strano dato che eravamo in territorio nemico, ma la realtà era esattamente questa: noi pur combattendo contro i russi eravamo in ottimi rapporti con gli abitanti.

Tale fatto, che ha del paradossale, ebbe maggior rilievo nella zona di Kikowo, dove trovai la divisione “Torino” quando ne assunsi il comando e dove sostammo a lungo. A Kikowo i nostri rapporti con l’ambiente civile furono agevolati dal fatto, credo unico al fronte russo, che il Sonderführer della zona era un ufficiale italiano, e precisamente il capo Ufficio affari civili del Comando di Divisione. I tedeschi, scarsamente rappresentati da qualche piccolo reparto inserito nel nostro fronte e da specialisti incaricati del ripristino di stabilimenti industriali, non avevano per contro, ingerenza diretta sulle questioni riguardanti la popolazione civile naturalmente cercavano di interferire quando ciò faceva loro comodo ma noi difendevamo al massimo le nostre posizioni, sostenuti sempre dal pieno consenso della popolazione.

Detto ufficiale nel disimpegno del delicato compito affidatogli seppe ben armonizzare le esigenze della Divisione operante in territorio nemico con i molteplici bisogni della popolazione, molto sofferente a causa soprattutto della penuria di viveri, essendo la zona ricca solo di risorse minerarie, ma pressochè priva di risorse agricole.

In armonia con le istruzioni datemi da S.E. il generale Messe, Comandante del C.S.I.R., le mie direttive in argomento furono esplicite: aiutare nei limiti del possibile la popolazione; pertanto chiusi un occhio, e talora anche due, circa il quantitativo di personale ingaggiato dai vari enti e reparti per servizi ausiliari, con relative distribuzioni di razioni, viveri; volli che ospedali e posti di medicazione intensificassero il servizio ambulatorio per la popolazione: consentii in casi gravi il ricovero di civili nei nostri stabilimenti sanitari; agevolai l’istituzione di un asilo per i bimbi abbandonati; indussi il mio capo ufficio sanità a cedere con frequenza materiale sanitario e i medici locali che ne erano completamente privi, etc., etc.

In tal guisa, del resto, interpretavo pure i sentimenti dei miei dipendenti tutti, i quali, da perfetti italiani com’erano, non potevano a meno di commuoversi al triste spettacolo di tanta umanità sofferente. E ciascuno per conto proprio faceva del suo meglio: molto spesso accadeva di vedere il nostro soldato spartire la propria gavetta col bimbo russi.

Un tal modo di procedere era, naturalmente, osteggiato dai tedeschi, i quali, soprattutto, lamentavano gli ostacoli diretti ed indiretti che incontravano nel nostro territorio quando volevano effettuare le loro abituali vessazioni. Più d’una volta, ad es., siamo riusciti ad impedire la tratta di giovani donne per la Germania assumendole al nostro servizio.

Talora ho forse ecceduto nella distribuzione di viveri e medicinali, sì da provocare le giuste rimostranze degli organi responsabili. Tuttavia ho persistito più che ho potuto nella linea di condotta prefissami pensando che chi semina raccoglie. Infatti quando ho avuto bisogno della popolazione civile per i miei soldati e per le nostre esigenze il suo concorso è stato più che spontaneo: Senza bisogno di coercizione alcuna la divisione “Torino”  ha avuto a sua disposizione dovizia di spalatori di neve, locali di ogni genere, personale per spettacoli teatrali e per concerti, personale per i più svariati lavori ausiliari.

Il prolungarsi della permanenza nella zona non fece che rinsaldare i buoni rapporti fra i militari della “Torino” e la popolazione, al punto che ormai era difficile pensare di essere in paese nemico e gli eventi, lieti o tristi, che rompevano la monotonia dei nostri quartieri d’inverno sembravano quasi patrimonio comune. Ricordo la sincera commozione delle donne alla vista di alcuni nostri feriti. Ricordo l’ondata di sdegno suscitata fra gli artiglieri della “Torino” quando un loro compagno, delinquente comune, assassinò per brutale malvagità una giovane di Rikowo e la commozione che tutti ci pervase apprendendo la risposta che la madre della vittima, interrogata quale parte lesa, diede al tribunale di guerra: “Quì vi è una mamma che piange, fate che un’altra mamma non debba piangere in Italia!”

Allorchè, nel Luglio 42, la Divisione “Torino” riprese la marcia verso Oriente fummo oggetto di dimostrazioni indimenticabili: Una commissione di notabili mi portò una ricca pergamena con dedica a caratteri d’oro esaltante il bene fatto dalla TORINO; le partenze dei reparti avvenivano fra il visibile dispiacere della popolazione e rammento di aver veduto donne anziane accompagnare con le lagrime agli occhi fino all’autocarro i nostri soldati partenti come fossero figli.

Molti e molte avrebbero voluto seguirci, sì che dovetti porre un freno e prender anche misure di rigore. A ciò contribuiva il timore verso i tedeschi, che subentravano a noi nell’amministrazione della zona. In seguito per salvare diverse giovani studentesse dalla deportazione in Germania autorizzai venissero assunte quali infermiere in alcuni ospedali da campo. Il servizio di queste intelligenti giovani si rivelò assai utile e la loro presenza fu di grande conforto per i nostri feriti e ammalati.

 

Durante la marcia al Don pareva che la fama ci precedesse poiché dovunque fummo ben accolti dalle popolazioni e spesso i maggiorenti dei paesi dove sostavano ci recarono il classico omaggio del pane col sale e animali e miele in dono.

Cosa ancor più notevole l’assenza assoluta del fenomeno partigiano nelle retrovie della Divisione “Torino”.

La sosta nella zona del Don fu pure caratterizzata da buoni rapporti con gli abitanti, per quanto si trattasse di elementi rurali assai meno evoluti e più rudi.

Analogo comportamento noi usammo nei confronti dei prigionieri che i tedeschi ci cavano in consegna a blocchi per lavori e servizi vari. Non appena affluivano ai nostri reparti provenienti dagli spaventosi campi tedeschi nostra prima preoccupazione era di ridar loro un aspetto umano e la dignità militare, sì che in breve apparivano così trasformati da non riconoscerli più. Rammento che un giorno in località Juni Comunard, presso Rikowo, fu necessario imbrattare appositamente le uniformi e i visi di alcuni prigionieri che dovevano apparire nella ripresa di un film di propaganda. Ricordo pure colonne di prigionieri a noi destinati che giungevano alla meta notevolmente ingrossate perché durante il tragitto vi si univano prigionieri fuggiti dai tedeschi per venir a lavorare con noi. Sono convinto che nel campo avversario fosse noto il trattamento umano che noi facevamo ai prigionieri: un colonnello russo catturato nella zona del Don mi assicurò che anche loro facevano ai nostri prigionieri un trattamento migliore di quello riservato ai tedeschi.

Concludendo, possiamo con nostro intimo compiacimento asserire che la partecipazione italiana al fronte orientale ha pure avuto i suoi lati positivi: gli italiani, inviati a combattere in paese lontano, contro un nemico col quale nulla avevano a che vedere, fecero bravamente il loro dovere di soldati, ma nel tempo stesso si fecero conoscere quali veramente sono: appartenenti cioè ad un popolo di antica civiltà che pur fra gli orrori della guerra sa far vibrare le corde del sentimento e dell’umanità. Se ciò, com’è nei voti, darà i suoi benefici frutti in un prossimo avvenire i tanti e duri sacrifici sofferti a causa della avventura russa non saranno stati del tutto vani.

Gennaio 1945

Il Generale di Divisione

già Comandante la Divisione “Torino”