FRANCESCO ATANASIO. Il 450° anniversario della fondazione dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro

  

 

 

Francesco Maria Atanasio

 

 

 

Nel 1572 il Duca Emanuele Filiberto di Savoia istituiva con il riconoscimento canonico della Sede Apostolica l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, una milizia cavalleresca  “nobile, onorata ed eletta, che non solo per obbligo di suddita, ma per voto di religione gli fosse divota”. La storia dell’Ordine segnerà quella dello Stato sabaudo e in seguito dell’ Italia.  Nel Ducato di Savoia, unica realtà statuale presente nell’Italia settentrionale senza soluzione di continuità fin dall’Alto Medio Evo e che poteva contare su un Ordine di “collana” alla pari di altre dinastie europee 1, si era dato vita nel XV secolo all’Ordine di San  Maurizio.  Maurizio, martirizzato assieme ai suoi commilitoni alla fine del III secolo presso la località di Agauno nel Vallese per non aver voluto abiurare alla fede cristiana offrendo sacrifici all’imperatore Massimiano, faceva parte con i suoi commilitoni  della copiosa schiera di “santi guerrieri”  –  Cristoforo, Giorgio, Demetrio, Michele, Mercurio di Cesarea, Sebastiano –  che esaltavano con la loro testimonianza (martyrium) la conversazione al Cristianesimo da parte dei rappresentanti più qualificati dell’Impero romano 2. Sul suo sepolcro ad Agauno  il Re di Borgogna, Sigismondo, aveva edificato nel 515 un’abbazia 3 dedicata al soldato-martire, la cui devozione ebbe presto a diffondersi in tutta l’Europa alto medievale si da divenire patrono dello stesso Sacro Romano Impero: acquisito il Vallese dai Conti di Savoia nel XI secolo, le tradizioni religiose legate al martire entrarono a far parte del patrimonio spirituale della dinastia e ad esse si ispirerà  Amedeo VIII. Dopo aver rinunciato al governo dei suoi domini in favore del figlio e deciso di ritirarsi assieme a cinque consiglieri presso l’eremo di Ripaille sul Lago di Lemano, nel 1434 il Duca creava una “confraternitas” da reclutare – per come ebbe a scrivere nel testamento redatto cinque anni dopo – fra “uomini egregi, di età provetta, lugamente e laudabilmente esercitati in onorate militari fuzioni ed in ardui maneggi di Stato, di provata integrità”. Con la scomparsa di Amedeo VIII – che era stati elevato nel 1440 alla dignità pontificia col nome di Felice V, cui avrebbe rinunciato sette anni dopo per ridare unità e pace alla Cattolicità– avvenuta a Ripaille nel 1451 il sodalizio si estinse.

Radici più antiche e storia più complessa aveva l’Ordine di San  Lazzaro.  La lebbra era una malattia assai diffusa nel Medio Oriente e numerosi sono i riferimenti a questa patologia sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Con i primi secoli dell’era cristiana, caduta ogni pregiudiziale di natura religiosa, per quanti ne fossero stati colpiti iniziarono a sorgere al di fuori dei principali centri abitati specifici luoghi di assistenza e di cura. A Gerusalemme si dà per certa la presenza di un lebbrosario posto sotto la protezione di San Lazzaro pur non essendo possibile stabilire se sia da identificare con il povero  che mendicava alla mensa di Epulone o con il fratello di Marta e Maria resuscitato da Cristo e venerato come vescovo di Marsiglia. La bolla Inter assiduas del 4 maggio 1565 di Pio IV celebrerà la tradizione che voleva i lebbrosari istituiti nella seconda metà del IV secolo da San Basilio il Grande, vescovo di Cesarea, salutato come il leggendario proto-fondatore dell’Ordine di San Lazzaro. Quello di Gerusalemme sarebbe ricaduto sotto la giurisdizione del patriarcato greco-melkita ed affidato a monaci osservanti la Regola basiliana. Si ha  conferma della sua attività  nel COMMEMORATORIUM DE CASIS DEI  (un censimento dei monasteri di Palestina redatto in età carolingia) e nel DOMUS LEPROSORUM ITINERA HIEROSOLIMYTANA TERRAE SANCTAE del XII secolo. Anche Joseph Michaud, autore della monumentale Histoire des Croisades del 1840, ne ammetteva l’esistenza già prima della nascita degli Stati latini, avvenuta nel corso della Prima crociata,  e citava al riguardo una bolla del 1045 di Benedetto IX con la quale gli sarebbero stati concessi dei privilegi, poi confermati da Urbano II. Se in ogni caso è arduo stabilire i precisi collegamenti fra il primigenio lebbrosario “basiliano” e le istituzioni assistenziali del periodo crociato “sembra comunque che prima della conquista di Gerusalemme del 1099, molti ospedali avessero la consuetudine di associarsi a un monastero per riceverne assistenza e protezione” 4.

Insediatisi in Terra Santa dei Crociati, la ripresa dei grandi pellegrinaggi dall’Europa determinarono l’esplosione di un’emergenza sanitaria anche per la recrudescenza del contagio da lebbra: da qui l’urgenza di meglio strutturare gli hospitia esistenti, fronteggiata con la nascita di apposite confraternitates, sodalizi fondati sull’osservanza di una regula o religio, che disciplinava le varie forma di vita comunitaria e l’assistenza a poveri, malati e pellegrini. L’hospitium di San Lazzaro, esistente nella zona nord-ovest di Gerusalemme, fra la torre di Tancredi e la porta di Santo Stefano, si dedicherà precipuamente alla cura dei lebbrosi venendosi a consolidare fra il 1130 e il 1142. Doveroso atto di carità insito nello spirito che animò il movimento crociato, l’assistenza “ospitaliera” in Terra Santa – prestata valorizzando con le nozioni della Scuola medica salernitana quelle della scienza medica bizantina ed araba – si rivelerà quanto mai all’avanguardia: ai degenti, inoltre, con le cure venivano assicurati farmaci, pasti, vestiario. Lebbrosari sorgeranno anche a Tiberiade, Ascalona, Beirut, Costantinopoli e in Morea. La violenta reazione dei musulmani alla conquista crociata impose però a queste confraternite il compito di assumersi la protezione delle vie percorse dai pellegrini e in più in generale della difesa dei Luoghi Santi in ausilio degli eserciti degli Stati latini.

Un spinta rilevante per la trasformazione di queste confraternitates in militiae venne impressa dall’azione svolta da San Bernardo di Clairvaux, che nel 1129 convinse Onorio II a riconoscere la militia commilitonum Christi et Templi Salomonici, fondata da Ugo di Payens, la prima ad incaricandosi di sorvegliare la strada di collegamento fra la costa mediterranea della Palestina e Gerusalemme. Il celebre apologista circestense, sintetizzata una tradizione canonista che da Burcardo di Worms giungeva fino al Liber ad amicum di Bonizone da Sutri e a Gregorio VII, con suo trattato De laude novae militiae (1130 c.a) teorizzò una militia Christi (prima riservata ai martiri e poi a monaci) che potesse svolgere il suo compito, anche mediante l’uso degli armi, in temporalibus contro gli infedeli.  Alla pari dell’Ospedale di San Giovanni, anche quello di San Lazzaro di Gerusalemme da ente di assistenza annesso a una fondazione religiosa si trasformerà progressivamente in una milizia di “monaci-guerrieri”: nasceva così la Religione militare di San Lazzaro, che preposta all’accoglienza e alla cura dei lebbrosi provenienti dal ceto feudale d’Outremer e dalle altre milizie (i Templari contemplarono subito la possibilità di transitarvi se affetti da lebbra) assumerà obblighi che gli “imponevano di schierare in battaglia anche i malati; come è dimostrato indirettamente al fatto che pure questi uomini preferivano qualificarsi fratres ( fra i quali potevano operare anche individui sani) piuttosto che milites5. Il favore di cui godette la Religione di San Lazzaro, destinataria di donazioni e riconoscimenti da parte della Chiesa e dei principi latini d’Outremer, crebbe quando nel 1174 la corona di per “Dei gratiam in sancta civitate Jerusalem Latinorum Rex”  fu cinta da Baldovino IV: chiamato a succedere dall’Alta Corte del Regno di Gerusalemme al padre Almarico I, il sovrano  di solo tredici anni  era lebbroso! Baldovino, cui si riconoscono “abilità indiscussa e coraggio meraviglioso” 6 (riuscì a battere per ben due volte il Saladino) spentosi fra atroci sofferenze nel 1185, riserverà all’Ordine particolari benefici per le cure prestategli. Anche il Saladino, sconfitto l’esercito crociato il 3 luglio 1187 ad Hattin e conquistata Gerusalemme, per la fama delle opere di carità dei fratres di San Lazzaro, pari a quella dei fratres di San Giovanni, consentirà ad entrambi di continuarvi a svolgere la propria attività o almeno di prolungarla per alcuni anni. Nella città costiera di Acri, ripresa ai musulmani nel 1191 dopo tre anni di assedio, al quale parteciperanno i cavalieri lazzariti, verrà loro assegnata con una chiesa e un hospitium la difesa di una delle torri erette assieme alla doppia cinta di mura che proteggeva la nuova capitale del Regno gerosolimitano: una torre e una chiesa riceveranno anche a Cesarea. Federico II di Svevia, sbarcato in Palestina nel 1228, confermate tutte le donazioni e i privilegi accordati dai sovrani gerosolimitani all’Ordine,  gli assegnerà cospicui beni nei suoi domini del Mezzogiorno d’Italia: particolare rilevanza acquisirà così il Priorato di San Lazzaro di Capua, istituito alcuni anni prima e beneficato dall’imperatore con rendite e possessi. L’Ordine, da par suo, per il diffondersi della lebbra in Europa vi aveva allargato la propria sfera d’azione erigendo appositi hospitia lungo gli itinerari di viaggio per Roma e i Luoghi Santi ed estendendo la propria autorità su quelli già esistenti si da indurre  Innocenzo III e Onorio III a promulgare bolle che assicuravano la loro protezione, nel mentre in Oriente continuava senza tregua a contribuire alla difesa della Terra Santa: i suoi cavalieri combattono il 17 e il 18 ottobre 1244 a Gaza contro l’esercito del sultano d’Egitto e le orde turco-kwariziane, che nell’agosto avevano devastato Gerusalemme annientandovi la presenza dei cristiani. Dell’elevato tributo pagato dall’Ordine assieme a Ospedalieri, Templari e Teutonici in quella che è stata una delle più sanguinose battaglie dell’epopea crociata, darà conto il Patriarca di Gerusalemme Roberto di Nantes in una sua relazione a Innocenzo IV. Nel 1249 i cavalieri lazzariti sono al fianco di Luigi IX di Francia negli scontri di Damietta e Al-Mansurah in Egitto: il sovrano ne favorirà l’insediamento nel suo regno, dove acquisterà prestigio e importanza la commenda di Boigny. La tradizione, inoltre, vuole che sia stato Ramon de Flory, eletto Magister dell’Ordine nel 1254, a scortare cinque anni dopo dalla Palestina a Parigi le reliquie della Passione per le quali Luigi IX farà erigere la “Sainte Chapelle”. Copiosi intanto si susseguivano i privilegi concessi dai Papi all’Ordine quali esenzioni da imposte e decime e il riconoscimento di  indulgenze, immunità, dispense e benefici ecclesiastici. Se Alessandro IV nel 1255 confermava per la Religione di San Lazzaro l’obbedienza alla Regola di Sant’Agostino, adottata nel XII secolo, sancendo il suo status di ordine religioso-militare, Urbano IV ne ribadiva la diretta dipendenza dalla Sede Apostolica vietando al clero secolare di intervenire nei suoi compiti e Clemente IV obbligava gli altri Ordini cavallereschi a trasferire nei suoi ranghi quanti fra di loro si fossero ammalati di lebbra.

La caduta il 18 maggio 1291 di San Giovanni d’Acri segna la fine della vocazione militare dell’Ordine, i cui membri sopravvissuti ripararono soprattutto nell’Italia meridionale e in Francia. Nel 1311, mentre infuriava la lotta della corona francese contro i Templari, il Re di Napoli Carlo d’Angiò concedeva ai Lazzariti la facoltà di rinchiudere anche con la forza i lebbrosi nei loro ospedali e di incamerarne i beni, facoltà che però diede luogo ad abusi; nel 1318 Giovanni XXII confermerà ancora una volta l’esenzione dell’Ordine dalla giurisdizione dei vescovi e la diretta dipendenza dal Papa. Con il venire meno dei grandi pellegrinaggi in Terra Santa la lebbra andava scomparendo: “esaurita la sua funzione storica l’Ordine si sarebbe lentamente estinto se la Santa Sede, non volendo lasciare perire un’istituzione tanto gloriosa e benemerita nella storia della Chiesa, non avesse provveduto a riformarla e a farla rifiorire” 7.  Con la bolla Veram semper et solidam del 1459 Pio II, ordinata la fusione dell’Ordine di San Lazzaro con quelli del Santo Sepolcro, del Crocifisso di Altopascio in Lucca, di Santo Spirito in Sassia, dei “frati gaudenti” in Bologna, costituiva al loro posto  l’Ordine di Santa Maria di Betlem perché presidiasse l’isola di Lemnos: la sua caduta nel 1479 in mano ai turchi ne determinò la fine. Con la bolla Cum solerti meditatione del 1489 Innocenzo VIII, reiterando una precedente determinazione di Sisto IV, sopprimeva gli ordini di San Lazzaro e del Santo Sepolcro e ne destinava i beni all’Ordine di San Giovanni per premiarlo dell’eroica difesa di Rodi – ove si era insediato nel XIV secolo – dall’assedio turco del 1480 ed  eguale risoluzione adotterà nel 1505 Giulio II.

Ma tutte queste iniziative condurranno solo a discordie interne all’Ordine: se alcune commende verranno inglobate dai Giovanniti, quelle francesi respingeranno le decisioni pontificie, mentre Carlo V d’Asburgo, dopo avere tentato di acquisirne i beni, otterrà da Leone X il ripristino dell’autonomia del Priorato di Capua e degli altri hospitia lazzariti di Sicilia e Puglia sancendo così l’autonomia della milizia.  Con la resa nel 1522 dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni a Rodi, i turchi riprendevano la loro avanzata nei Balcani dove occuperanno Belgrado e Budapest giungendo sotto le mura di Vienna. Pio IV, salito al soglio pontificio nel 1559, si faceva così promotore di una riscossa dell’Europa cattolica e in questa prospettiva e “acciocché nuovamente risplendesse nel mondo” l’Ordine di San Lazzaro, si determinava a riattivarlo. A tale scopo ne faceva eleggere Magister un cavaliere suo congiunto Giannotto Castiglioni, al quale con la bolla Inter assiduas del 4 maggio 1565, conferiva poteri straordinari sì da estendere la sua autorità su tutti i lebbrosari esistenti e per consentirgli il recupero delle commende incorporate da altri Ordini o conferite senza assenso! L’improvvisa scomparsa di Pio IV il successivo 9 dicembre privava Castiglioni di così importante appoggio: il nuovo Papa, Pio V, gli revocava i poteri attribuitigli dalla Sede Apostolica. Castiglioni si decideva così ad avviare trattative con l’Ordine di San Giovanni quanto mai interessato ad acquisire il patrimonio superstite dei Lazzariti, dopo essersi insediato nel 1530 a Malta, concessagli in  feudum perpetuum, nobile, liberum et francum da Carlo V. Negoziati furono intrapresi anche con il Duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere, il Granduca di Toscana Cosimo I de Medici (che nel 1652 aveva istituito l’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire per difendere il suo Stato dalle incursioni barbaresche) e il Duca di Savoia Emanuele Filiberto. L’ambasciatore mediceo a Roma Averardo Serristori, in una lettera del 15 maggio 1568 ebbe a lamentarsi col Granduca dell’opposizione posta in essere dai Cavalieri di San Giovanni di origine spagnola “dispiacendo loro che questa Religione ( di San Lazzaro n.d.a.) si metta fuori dalle loro mani” e in particolare del Commendatore Maggiore di Castiglia “havendo desiderio di impadronirsi di questa Religione…dalla quale caverian frutto quanto d’una crociata” 8. Ostacoli provenivano anche da Filippo II di Spagna: l’Asburgo, che si era opposto al progetto di Pio IV di rinnovamento dell’Ordine di San Lazzaro tanto nel 1568 da sopprimerlo nei suoi domini in Italia e incamerandone i beni, avversò da par suo le iniziative del Duca di Savoia, che alla fine però prevalse. Il 13 gennaio 1571 con un solenne atto pubblico rogato a Vercelli il Castiglioni, anche su consiglio del suo cancelliere Carlo Cicogna, rinunciava al magistero dell’Ordine in favore di Emanuele Filiberto: questi, ripristinata la sua autorità sui domini subalpini con il trattato di Cateau-Cambrèsis del 1559, frutto della vittoria ottenuta dal Duca contro la Francia due anni prima a San Quintino al comando delle truppe imperiali, con l’aiuto dell’ammiraglio Andrea Provana di Leinì aveva anche posto mano all’organizzazione di un squadra navale, forte già nel 1562 di dieci galere con base a Villafranca. Gli fu così possibile aderire, assieme a Spagna, Repubblica di Venezia e Ordine di San Giovanni, all’appello di Pio V per una “Lega Santa” contro i turchi, che assediavano Famagosta: il Duca di Savoia fu indicato dal Pontefice per  il comando dell’armata navale per le note capacità militari, certo che avrebbe saputo risolvere i contrasti che laceravano i componenti della Lega e ne ritardavano l’uscita in mare. Filippo II lo fece attribuire invece don Giovanni d’Austria, alla cui squadra in rotta per Napoli e Messina si unirà il 24 luglio 1571 il Provana con tre galere: la Capitana, la Piemontesa e la Margarita, schierando così una forza pari a quella dei Giovanniti, e sulle quali si imbarcheranno con Francesco di Savoia Racconigi molti esponenti della nobiltà piemontese e italiana quali  Francesco Maria della Rovere, figlio del Duca di Urbino 9. La caduta di Cipro il 18 agosto 1571 con il barbaro assassinio del comandante Marcantonio Bragadin e della guarnigione convinse don Giovanni d’Austria a dare finalmente battaglia ai turchi incrociati nelle acque di Lepanto il 7 ottobre: provvidenziale per la sua vittoria sarà il contributo delle galere sabaude, giovannite e di quelle armate dal Parlamento di Sicilia schierate alla destra della formazione in quanto solo il loro intervento evitò l’aggiramento della flotta cristiana da parte dei turchi, reso possibile dall’incomprensibile defilamento delle unità al comando di Andrea Doria. Anche alla luce di questi avvenimenti Emanuele Filiberto otterrà con i buoni uffici del suo legato a Roma, mons. Vincenzo Parpaglia, di ridare vita all’Ordine di San Maurizio, posto sotto la Regola di Sant’Agostino e avente come fini l’esercizio dell’ospitalità, il contrasto ai protestanti (che da Ginevra incombevano sugli Stati sabaudi), la lotta ai turchi e la difesa dei mari dai barbareschi. Gregorio XIII con la bolla Cristiani populi del 16 settembre 1572, posto l’Ordine sotto la Regola di San Benedetto della Congregazione circestense, sanzionava le decisioni di Emanuele  Filiberto riconoscendolo Gran Maestro. Con  la bolla Pro Commissa nobis del successivo 13 novembre il Papa decretava l’unione canonica dell’Ordine di San Lazzaro con l’Ordine di San Maurizio conferendone in perpetuo il gran magistero al Duca di Savoia e ai suoi successori. Sorgeva così – caso unico nella complessa storia degli ordini cavallereschi gemmati nell’età crociata – la nuova “Religione dei Santi Maurizio e Lazzaro”, posta definitivamente sotto l’antica Regola di San Basilio e votata ancora una volta a compiti ospitalieri e militari. E’ stato di recente evidenziato come il progetto di Emanuele Filiberto (e in maniera più circoscritta quello di Cosimo I ) di dotarsi di un proprio ordine cavalleresco che avesse potuto ambire a una dimensione sovrastatale o quantomeno “italiana” fosse stato visto con estremo sospetto dalla Spagna: l’appartenenza a un Ordine cavalleresco comportava una serie di privilegi fiscali e giuridici –  fra tutti la “privativa del foro” (ossia il diritto di essere giudicato solo dall’Ordine stesso) – che legavano gli insigniti al Gran Maestro con peculiari vincoli di fedeltà e vicinanza. Di tal guisa il nuovo Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro rappresentava per Emanuele Filiberto, che con lo spostamento della capitale a Torino e l’adozione dell’italiana quale lingua ufficiale  aveva

 

 

 

 

 

 

scelto l’Italia come campo d’azione, un “fattore di coagulo e di ampliamento di alleanze e clientele all’interno dei gruppi dominanti della penisola” 10. Filippo II temeva inoltre che questo nuovo ordine e quello mediceo di Santo Stefano Papa e Martire potessero sminuire la potenza spagnola e aprire ai loro gran maestri nuove prospettive geopolitiche: “La Spagna riteneva che un Ordine cavalleresco, capeggiato e dipendente da un principe italiano, che avesse goduto di una larga proiezione sulla scena internazionale, vuoi dal punto di vista sociale, vuoi dal punto di vista militare, avrebbe potuto pregiudicare l’equilibrio tra i vari potentati della penisola e mettere in difficoltà l’egemonia spagnola sull’Italia” 11. Guardando la successiva storia di Casa Savoia questi timori della corona asburgica erano più che fondati.

Con un “breve” del 15 gennaio 1573 Gregorio XIII statuiva l’insegna del nuovo Ordine, costituita dalla croce di San Lazzaro verde biforcata e sovrapposta a quella più ridotta bianca e trifogliata di San Maurizio, che restava nella braccia della prima, e l’inviava assieme alla veste dell’Ordine al Duca:” Diletto figliolo, nobile uomo, salute ed apostolica benedizione. Abbiamo testè creato la milizia di San Maurizio dell’Ordine Circestense, e alla medesima abbiamo unito la milizia di San Lazzaro, cosicché le due formino un solo e medesimo corpo e si chiamino Milizia dei Santi Maurizio e Lazzaro, e Te e i Tuoi successori Duchi di Savoia abbiamo alla medesima proposto in dignità di Gran Maestro…Ma Tu per la tua osservanza verso di Noi ci hai umilmente ricercati di stabilire noi medesimi quali avessero ad essere le insegne di tale milizia. E Noi volendoti compiacere abbiamo giudicato di dover concedere per insegne della Milizia dei SS.Maurizio e Lazzaro la croce verde, antica insegna de’cavalieri di S.Lazzaro insieme con la croce bianca, nella guisa, nella forma e nei colori che qui appresso si vede dipinta, e che ti mandiamo volendo che sia portata da Te e dai Tuoi successori, gran maestri, e dai cavalieri ai quali giudicheranno di dispensarla a lode di Dio, a propagazione della fede cattolica, ad esaltazione di questa Santa Sede”. Notificata a mezzo di lettere patenti magistrali del 22 gennaio alle corti d’Europa la nascita della “Sacra Religione e Ordine Militare dei Santi Maurizio e Lazzaro” , nel corso di una solenne cerimonia svoltasi l’11 febbraio nell’oratorio di San Lorenzo il Duca pronunciava il giuramento di Gran Maestro alla presenza dell’Arcivescovo di Torino Gerolamo della Rovere, quale delegato del Pontefice: dopo di che riceveva la formale investitura dell’Ordine e in qualità di suo Capo e Sovrano creava i primi cavalieri. Immediato fu l’impegno di Emanuele Filiberto per cercare di recuperare i beni superstiti della milizia lazzarita e in particolare, per evidenti ragioni, quelli situati nel Regno di Napoli e nel Ducato di Milano, e quelli  del ramo “francese” dell’Ordine di San Lazzaro (che invece si dichiarerà autonomo si da essere incorporato da Enrico IV di Navarra nell’Ordine di Nostra Signora del Carmelo, poi soppressi durante la rivoluzione francese). Il Duca fece istituire due case conventuali a Torino e a Nizza per accogliervi quanti, esibite le richieste prove di nobiltà, vi facevano ingresso impegnandosi a perseguire gli scopi dell’Ordine, cui assegnò le galere “Margherita” e “Piemontesa” 12, poste a disposizione della Sede Apostolica col compito di contrastare i barbareschi. Come era stato negli auspici di Emanuele Filiberto la nuova Religione aggregherà attorno al Gran Magistero nobili provenienti non solo dagli antichi domini sabaudi, ma anche dagli altri Stati italiani (soprattutto da quello pontificio) ed europei, così come avveniva per l’Ordine di San Giovanni di Malta. Lo provano ad esempio anche le committenze artistiche a pittori quali Artemisia Gentileschi (1597-1652), autrice del “ritratto del Gonfaloniere” del 1622, custodito a Palazzo Accursio in Bologna e Agostino Carracci (1557-1602), autore del “ritratto di Cavaliere di San Maurizio”, custodito a Palazzo Corsini in Roma 13. Il nuovo Duca di Savoia Carlo Emanuele I iniziò nel 1580 nuove trattative con Filippo II per cercare di scambiare le commende iberiche dell’Ordine di San Lazzaro con quelle piemontesi dell’Ordine di Malta, ma dopo un ventennio furono abbandonate. Questi, che agli inizi del nuovo secolo si era fatto ritrarre dal Carracca con le sola croce mauriziana a causa degli ostacoli incontrati per stabilizzare la nuova Religione, nel 1605 ordinò che per il futuro le insegne dell’Ordine dessero la preminenza alla croce bianca trifogliata di San Maurizio su quella verde biforcata di San Lazzaro per come è avvenuto.

Sconfitti i Bernesi e i Ginevrini di confessione calvinista il 15 settembre 1589, il Duca proclamerà infine la festa liturgica di San Maurizio del 22 settembre ricorrenza da solennizzare in tutti i suoi possessi in segno di riconoscenza verso l’antico patrono della dinastia. I sempre quanto mai gravosi oneri che il Ducato dovette affrontare nel’600 per sottrarsi alle mire espansionistiche della Francia e i mutati equilibri nel Mediterraneo portarono ad un esaurimento delle funzioni militari dell’Ordine,  disimpegnate con un certo successo nelle acque del Tirreno per la seconda parte del XVI secolo, e venne a concentrare le proprie risorse sui compiti assistenziali. Ospedali della Religione, alla quale furono destinate le abbazie di Staffarda e Sant’Antonio di Ranverso, vennero fondati a Torino e in tutto il territorio del Ducato. Vittorio Amedeo II, che nel 1713 cingerà la corona del Regnum Siciliae – divenendo, anche se per pochi anni, il “signore” feudale dell’Ordine di San Giovanni di Malta 14 – erigerà la chiesa di San Paolo in Torino a basilica magistrale della Religione.

Alla fine del XVIII secolo  l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro diviene una distinzione riservata – anche se per un breve periodo – a ricompensare i servizi prestati in guerra dagli ufficiali, mentre nel 1793 veniva istituito da parte di Vittorio Amedeo III nel 1793 “un pubblico e permanente onorifico contrassegno per i “bassi ufficiali” e i soldati che avrebbero compiuto “azione di segnalato valore in guerra”.

Con la Restaurazione inizia la nuova fase dell’Ordine, quando Vittorio Emanuele I, reintegratolo nei suoi beni di cui lo aveva espropriato  Bonaparte, ne promulgava gli Statuti, prima inediti e sparsi in diverse fonti normative il 27 dicembre 1816 . Consapevole del mutato clima sociale e politico, il monarca, pur riconfermando le prove di nobiltà per l’ammissione dei “Cavalieri di Giustizia”, vi prevedeva, a certe rigide condizioni personali, anche quelli “per grazia” quale “rimunerazione” per i servizi resi allo Stato. Carlo Alberto, nel condividere la nuova impostazione che andava a riconoscere il “merito”, con le Regie Patenti Magistrali del 9 ottobre 1831, integrate nel 1840, “dichiarava che la decorazione sarebbe stata concessa per grazia sovrana in ragione di antichi servizi militari e civili e per ricompensare ogni maniera di beneficenza, o notabile per liberalità o commendevole per devozione personale:  ampliava infine le classi dell’Ordine introducendovi i gradi di cavaliere, commendatore e cavaliere di gran croce con cordone al precipuo scopo di aumentare e graduare il numero degli insigniti. Istituito il 29 ottobre dello stesso anno l’Ordine civile di Savoia, quale completamento dell’Ordine militare di Savoia, creato nel 1815 da Vittorio Emanuele I, nel 1839 faceva gemmare dall’antica “Religione” la speciale distinzione della Medaglia Mauriziana in oro: essa era riservata pel merito militare di dieci lustri di carriera militare benemerito a chi nell’esercito e nella marina fosse già insignito dell’Ordine. Il sovrano proseguiva l’azione di riqualificazione della milizia dei Santi Maurizio e Lazzaro abrogando  il 30 ottobre 1847 il privilegio della giurisdizione speciale riservata dall’art. 104 del decreto del 1816 all’Ordine: tutte le cause civili (attive e passive) nell’ambito petitorio e possessorio che riguardassero “ in qualunque modo”  patrimonio, diritti e privilegi della “Religione”, ivi comprese le “materie beneficiali e ecclesiastiche”, erano infatti devolute ai suoi tribunali. L’entrata in  vigore dello Statuto albertino sancendo all’art. 24 che “tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo e grado, sono eguali dinanzi alla Legge”, avviava l’Ordine verso una nuova vita: pur avendovi lo Statuto all’art. 79 conservato  i “titoli di nobiltà…a coloro che vi hanno diritto”, Vittorio Emanuele II  il 4 settembre 1849 decretava l’abolizione della classe dei Cavalieri di Giustizia, alla pari dell’obbligo della professione religiosa, chiesta anche ai Cavalieri di Grazia titolari di Commende, e della dignità di  Priore  delle chiese dell’Ordine, devolute ai vescovi diocesani. L’abolizione con il Regio Decreto n. 1145 del 18 febbraio 1851 di fidecommessi, primogeniture, commende di patronato familiare, preludeva alle Regie Patenti Magistrali del 16 marzo 1851 con le quali iniziava definitivamente la nuova fase dell’Ordine, “designato a premiare benemerenze militari e civili, allargando i compiti della nobile istituzione, senza rinunciare al più antico fine…di proteggere il culto” . La riforma riguardava sia l’ordinamento interno che i criteri di concessione: vengono aboliti i  “Grandati” (le cariche di  Gran Cancelliere, Gran Maresciallo, Gran Ammiraglio, Gran Priore, Gran Conservatore, Gran Ospitaliere, Gran Tesoriere),  le cui attribuzioni venivano concentrate nella figura del Primo Segretario del Gran Magistero, che diveniva il Ministro responsabile, coadiuvato dal Tesoriere generale, mentre gli affari amministrativi, l’assistenza ospedaliera e la beneficenza erano attribuite alla Regia Segreteria del Gran Magistero. Con i Regi Decreti dell’8 novembre e del 14 dicembre 1855 le classi dell’Ordine diventano cinque: cavaliere, uffiziale, commendatore di seconda classe, commendatore di prima classe (nel 1857 trasformato in grand’ufficiale), cavaliere di gran croce. La previsione che “spetta esclusivamente al Re la concessione motu proprio dell’Ordine per servizi resi dai funzionari dell’Ordine, per opere di beneficenza, per benemerenze verso la persona del Re e la Corona” confermava il carattere dinastico della milizia equestre: lo ribadiva la previsione che a controfirmare gli atti del sovrano fosse solo il Primo Segretario del Gran Magistero. Il desiderio di Vittorio Emanuele II che l’antico ordine equestre continuasse a custodire il plurisecolare carattere di alta distinzione dinastica e che pertanto venisse riservato a un numero ristretto di insigniti trovava posto nella relazione inviata al sovrano a suggello del Regio Decreto Magistrale n. 4251 del 20 febbraio 1868:  stabilito all’art. 4 il numero previsto per le cinque classi, il  successivo articolo, diviso nelle lettere a, b, c, d, e , indicava con puntigliosità i gradi nelle singole amministrazioni dello Stato per poter ricevere la corrispettiva onorificenza, mentre in base all’art. 8 per “le persone che non sono al servizio dello Stato, la misura della ricompensa sarà determinata da quella dei meriti  più o meno segnalati resi alla Patria mercè le egregie opere dell’intelletto e della mano, le invenzioni, le scoperte e le esplorazioni geografiche e scientifiche…i servigi resi all’umanità, le prove di coraggio civile, la fondazione di scuole e di ospizi, la benevola associazione del capitale e del lavoro in vaste imprese industriali e commerciali, e soprattutto la diffusione dell’istruzione, sia superiore, sia popolare tanto nella letteraria, scientifica e tecnica che nella educativa e morale”. Vi è sintetizzato tutto il programma sociale, economico e culturale dell’Italia unita, cui si cerca di porre mano stimolando le risorse dei ceti possidenti quasi “novelli crociati” alla pari dei primi cavalieri, un tempo votati alla lotta contro i barbareschi e alla cura della lebbra ed ora stimolati a migliorare le condizioni della Nazione. Il giovane Regno, nella necessità infine di doversi confrontare con gli altri Stati  “scambiando” riconoscimenti cavallereschi, si cautelava con  l’art. 12 del decreto: esso stabiliva che “nei cambi di decorazioni con potenze estere la stella di grand’uffiziale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, come uno degli Ordini primari dei Nostri Stati, sarà riputata avere un valore uguale al gran cordone degli Ordini secondari delle potenze estere”. Veniva così completata la trasformazione dell’antica milizia che da nobiliare e religiosa acquisiva lo status di ordine “di merito” pur conservando però la sua autonomia amministrativa ed economica. La pubblicazione curata da Paolo Boselli, Primo Segretario del Gran Magistero, nel 1916 ci consegna le cifre del suo impegno 15: erano gestiti cinque ospedali a partire da quello più antico di Torino – fondato nel 1573 da Emanuele Filiberto, ampliato da Vittorio Amedeo II e da Carlo Alberto, e edificato ex novo, anche con il contributo di Umberto I, nel 1885 nella sua attuale sede lungo il viale di Stupinigi (ora Filippo Turati)  –  ad Aosta, Luserna, Valenza, Lanzo. Al loro funzionamento, che prevedeva la disponibilità di 500 posti letto, erano devoluti i 2/5 dei redditi derivanti dai beni immobili dell’Ordine, e per il quale erano impiegati la gran parte degli oltre 300 dipendenti fra medici, infermieri e personale di servizio. L’Ordine, che in precedenza aveva avuto in carico dei lebbrosari a Nizza, Chiavari, San Remo e Oneglia (poi ceduti o trasformati in ospedali civici) sosteneva l’Ospizio alpino del San Bernardo, sette scuole materne ed elementari in tutto il Piemonte e curava le basiliche magistrali di Torino e Cagliari, chiese come l’Abbazia di Staffarda e la Precettoria di San Raverso, e dieci cappelle; circa 1/7 del reddito fondiario veniva devoluto alla beneficenza 16 .

Con l’instaurazione del regime repubblicano iniziava la terza fase dell’Ordine. La XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica italiana al terzo comma così  ha statuito:” L’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge”. La decisione dell’Assemblea costituente, eletta nelle consultazioni del 2 e 3 giugno 1946, di introdurre nel testo base della Repubblica una norma volta ad assicurare una garanzia di tale rango all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dopo aver sanzionato con la pena dell’esilio nella XIII disposizione t. e f.  la dinastia alla quale quella milizia equestre apparteneva e aver nella medesima XIV disposizione privato di riconoscimento i titoli nobiliari e soppresso la Consulta Araldica, non può ancor oggi non stupire.

La norma nacque nell’ambito della II sottocommissione della Commissione per la Costituente (quella dei c.d. 75 soloni), cui era stata demandata la stesura dell’ordinamento costituzionale della Repubblica. Presieduta da Umberto Terracini – che svolgeva anche le funzioni di Presidente dell’Assemblea costituente – contava fra i suoi membri personalità quali Emilio Lussu ed Umberto Nobile e giuristi come Pietro Calamandrei, Aldo Bozzi, Giovanni Leone, Costantino Mortati e Luigi Einaudi. Fu proprio questi, eletto per il Partito Liberale, già senatore del Regno dal 1919, che si era pubblicamente espresso per il mantenimento della Monarchia in occasione del referendum e futuro primo Presidente della Repubblica, a chiedere la salvaguardia dell’Ordine nella seduta del 30 gennaio 1947: erano presenti quel giorno con Terracini (PCI) Umberto Nobile (PCI), Ruggero Grieco (PCI),  Meuccio Ruini (Democrazia del lavoro), Egidio Tosato (DC), Emilio Lussu (Pd’A) Gustavo Fabbri (Blocco della Libertà), Tomaso Perassi (PRI), Costantino Mortati (DC), Renzo Laconi (PCI), Aldo Bozzi (Unione democratica nazionale). Dal “Resoconto sommario” della seduta si legge che Einaudi, dopo aver premesso di essere favorevole alla proposta di soppressione degli Ordini cavallereschi, rilevava che l’art. 78 dello Statuto Albertino aveva statuito che le loro dotazioni non potevano essere “impiegate in altro uso fuorchè quello prefisso dalla relativa istituzione”. In realtà l’unico Ordine ad avere dei beni immobili era quello dei Santi Maurizio e Lazzaro, di cui Einaudi – da buon piemontese- ricordava “l’importanza delle proprietà immobiliari…in Piemonte e come con i redditi di quelle, conservate attraverso i secoli per l’esistenza di quella disposizione vincolante” esso aveva garantito una preziosa  attività sanitaria. Einaudi proponeva l’inserimento “nelle disposizioni transitorie della Carta costituzionale” di “un articolo il quale dica semplicemente che l’Ordine Mauriziano è mantenuto come organo autonomo ospitaliero” al cui servizio porre “le dotazioni delle quali presentemente gode”. Ruini si dichiarava favorevole e a sua volta ne proponeva l’inserimento nella norma dedicata alla soppressione della Consulta Araldica e all’”abolizione dei titoli nobiliari e cavallereschi”. Terracini, raccolto il parere favorevole di Nobile che sottolineava come fosse “ingiusto che non si facesse nulla per tutelare il patrimonio di un ente così antico e così benemerito” e quello contrario di Lussu, per il quale non vi era “neanche la ragione per cui” doveva “essere conservato il ricordo del nome di quest’Ordine”, metteva ai voti la proposta di inserire un articolo dal seguente tenore: L’Ordine Mauriziano è conservato come ente ospedaliero e le dotazioni delle quali presentemente gode non possono essere impiegate in altro uso fuori che in quello prefisso dalle proprie istituzioni. Il suo ordinamento è regolato dalla legge”. Il resoconto termina con la formula “E’ approvato” ! Nell’aula di Monte Citorio, nel corso della discussione pubblica, Michele Giua (PSI),  rilevato che l’Ordine continuava a funzionare “con tutti quei rapporti giuridici feudali che erano una caratteristica dell’ente sotto l’amministrazione reale”, ne proponeva la “democratizzazione” mediante la sua sottoposizione al Presidente della Repubblica. Ruini respingeva dal punto di vista formale l’invito perché il Presidente “non è più il Re con le sue regalìe personali”, ne accoglieva lo spirito proponendo che l’Ordine venisse “inserito nell’ordinamento del nuovo Stato”. La norma, nella versione poi rivista dal Comitato di coordinamento, sarà introdotta nella Costituzione nel testo vigente.

L’esame della questione, anche se estremamente sommaria, divenne noto ed ebbe a riflettersi sulla dottrina gius – pubblicistica al cui interno si profilarono due posizioni differenti, ma entrambe interessate alle sorti dell’antica milizia equestre sabauda, rappresentate da Giovanni Donna d’Oldenico e  Emilio Nasalli Rocca.

Interrogarsi, infatti, a Repubblica instaurata, su tale tema non era un vezzo antiquario, ma rispondeva all’esigenza sentita negli ambienti più colti della società italiana di salvaguardare l’antico Ordine nelle sue funzioni assistenziali e culturali, che avrebbe potuto indirizzare più attentamente i lavori del Costituente prima e del Legislatore dopo. Donna d’Oldenico 17 attribuiva all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro natura confessionale in ragione delle origini statuite dalla bolla Pro commissa nobis del 13 novembre 1572 di Gregorio XIII che faceva della  nuova milizia equestre  una “religio” con tutte le statuizioni canoniche del caso. Nasalli Rocca 18 invece riconosceva prevalente la caratterizzazione dinastico-familiare dell’Ordine, che pur disponendo “di strutture, regolamentazioni e privilegi propri degli enti di diritto canonico”, alla luce delle prerogative attribuite sempre dalla bolla pontificia al suo primo Gran Maestro, Emanuele Filiberto di Savoia, e ai suoi successori doveva essere classificato come un ordine “misto“. Entrambi però concordavano nel destituire di legittimità l’intervento normativo dell’Assemblea costituente e più in generale dell’Autorità statuale per come provava anche l’evoluzione dell’Ordine in età contemporanea. Le modifiche introdotte nel 1831 da Carlo Alberto e nel 1851 da Vittorio Emanuele II, determinando una sorta di “secolarizzazione” dell’Ordine, non ne avevano infatti intaccato l’autonomia normativa ed amministrativa pur essendo cumulata nella medesima persona l’ufficio di Gran Maestro e quello di Capo dello Stato. Venuta meno, all’indomani del referendum del 1946, questa identificazione, l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, alla pari dell’Ordine della Santissima Annunziata,  perdeva la natura di ordine “misto” (dinastico-familiare e statuale di merito) e riacquistava quella primigenia di “Religio” conferitagli dalla bolla di Gregorio XIII pur con tutte le innovazioni apportate nel corso dei quattro secoli di vita “sabauda”. La volontà  dei Costituenti, tesa a spogliare delle sue prerogative onorifiche la dinastia, sanzionata con la pena dell’esilio nelle persone dei Sovrani e dei loro discendenti maschi dalla XIII disp. t. e f., e ad acquisire l’ingente patrimonio immobiliare dell’Ordine, purtroppo rendeva impraticabile questa soluzione, alla pari di quella propugnata da Donna d’Oldenico  di un suo riaffidamento alla Sede Apostolica anche senza “una posizione di dominio”. Che tale prospettiva ebbe essere oggetto di valutazione da parte della Santa Sede lo rivela la circostanza che mons. Alberto Serafini della Segreteria di Stato vaticana preparò nel 1949 su richiesta della stessa una relazione sulla Natura storica dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro rispetto alle origini religiose ed ai fini propri del suo patrimonio. E’ convinzione del D’Angelo 19 che la Santa Sede alla rivendicazione della titolarità dei beni preferì la ricerca della tutela degli aspetti religiosi e sociali delle attività ospedaliere, aspettativa che fu riscontrata in seguito con  la previsione di riservare al Vescovo diocesano di Torino un posto specifico nel consiglio d’amministrazione dell’Ordine.

Alla XIV disposizione t. e f. della Costituzione fu data attuazione con la  legge 1956 del 1962: l’art. 1 statuirà che “l’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero con tutti gli altri suoi compiti in  materia di beneficenza, di istruzione e di culto, da esercitarsi in conformità alla presente legge”; l’art. 2 attribuirà altresì all’Ordine la “personalità giuridica di diritto pubblico” e lo pose “sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica e la vigilanza del Ministero dell’Interno”. La legge prevedeva altresì che il Consiglio di amministrazione, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, si componesse di un presidente di pari nomina, dell’Ordinario diocesano di Torino, di quattro membri designati rispettivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro dell’Interno, della Pubblica Istruzione e della Sanità e di tre designati dal Consiglio regionale del Piemonte.

Tali norme attribuirono all’Ordine Mauriziano una posizione di privilegio rispetto all’Ordine Costantiniano di San Giorgio di Parma e all’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, già regolamentati dalla legislazione ordinaria del Regno d’Italia 20, confermata anche dopo il 1946. Il nuovo “Ordine Mauriziano”, per come delineato dalla XIV disposizione, presenterà subito più di una incogruità non solo per la insolita denominazione che ne mutilava il riferimento alle origini lazzarite (che invece erano quelle storicamente ospedaliere), ma anche per il non solo formale travisamento dell’uso dell’espressione “conservare”, equipollente a quella di “mantenere inalterato”. Grave disomogeneità era altresì rappresentata dalla permanenza in una compagine esclusivamente ospedaliera di altri “compiti di beneficenza, di istruzione e di culto”, ritenuti connaturati all’Ordine stesso sì da essere esplicitati nella Legge del 1962 e che ne impedivano  l’assimilazione alle strutture sanitarie, compiti però ben presto caduti in desuetudine.  Una contraddizione non irrilevante emergeva con la Legge 178/1951 laddove, all’art. 9, dopo aver soppresso (sic) l’Ordine supremo della Santissima Annunziata e quello della Corona d’Italia, statuiva per l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro la “cessazione dei conferimenti”. Una norma di rango costituzionale “conservava” l’Ordine Mauriziano, mutilato del suo riferimento storico ospedaliero, trasformandolo da milizia cavalleresca dinastica in ente ospedaliero, mentre una legge ordinaria ne manteneva gli altri “compiti” dopo averne sospeso con  altra legge ordinaria il conferimento delle decorazioni, compito indissolubilmente legata alle origini stesse dell’Ordine stesso…! Vi è più di un elemento di confusione e di contrasto con il diritto pubblico, il diritto canonico e le tradizioni storiche della cavalleria che lascia tutt’oggi aperta la riflessione critica in sede scientifica e giurisprudenziale.

La problematica sanitaria darà vita a molteplici contenziosi dinanzi alla giustizia amministrativa: le magistrature adite, pur dovendo esaminare vicende legate alla vita interna dell’Ordine, con le loro pronunce si appaleseranno assai utili per comprendere la natura particolare dell’Ordine pur nella sua “veste” repubblicana. Quanto mai illuminante al riguardo si rivelerà il parere n. 1236 del 13 settembre 1975 della Prima Sezione del Consiglio di Stato: chiamato, quale organo ausiliario del Ministero dell’Interno, a risolvere il quesito afferente l’applicabilità all’Ordine della Legge del 1968 sul Servizio Sanitario Nazionale, la escluse e dichiarò che il Costituente nell’identificarlo come “ente ospedaliero” usò “un modo sintetico per esprimere il precetto di conservare l’Ente con tutti i suoi fini statutari…tranne quello consistente nel conferimento delle distinzioni cavalleresche dell’Ordine, dato che era un Ordine “dinastico”, strettamente connesso al Capo della dinastia sabauda come tale ( e non come Capo dello Stato)”.Su questo orientamento anche le sentenze del Tar del Piemonte nn. 252 del 24 settembre 1975 e 3 del 19 febbraio 1976 e del Tar della Val d’Aosta del 19 febbraio 1972 che ribadivano l’unitarietà dell’Ordine Mauriziano si che non poteva disarticolarsi sia nei compiti che nelle dotazioni immobiliari.  L’acuirsi della crisi economica e gestionale negli anni’90 del secolo scorso indurrà il Parlamento a varare il decreto legge 277 del 2004, poi convertito dalla Legge n. 4 del 2005 che ha imposto una nuova e dibattuta veste all’Ordine:  le attività ospedaliere dei presidi di Torino e Candiolo sono state separate da quelle di conservazione e valorizzazione dei beni appartenenti all’Ordine – dove primeggiano la Palazzina di caccia di Stupinigi, l’Abbazia di Santa Maria di Staffarda e la Precettoria di San Antonio di Raverso –  che verranno affidati alla neo “Fondazione Ordine Mauriziano”. Ancora nel 2016 il Consiglio di Stato con il parere n. 79 del 21 gennaio ribadiva l’eccezionalità della natura dell’Ordine “in ragione della garanzia apprestata dalla XIV disposizione finale della Costituzione e dalla sussistenza di un preminente interesse pubblico generale…che nel caso di specie è rappresentato dalla salvaguardia del patrimonio storico, culturale e religioso di pertinenza sabauda, ereditato dallo Stato repubblicano (sic). Nell’aprile del 2018 con decreto del Ministero dell’Interno è stato approvato il nuovo Statuto della F.O.M.  che nel corso dei suoi ancor pochi anni di vita ha ridato lustro agli edifici storici di pertinenza e promosso un’intensa attività di divulgazione scientifica

Resta aperta tutt’ora la questione legata all’autorizzabilità dell’uso delle insegne dell’Ordine ai sensi dell’art. 7 della Legge 178 del 1951, che ha aperto una vexata quaestio sulla possibilità per Umberto II di continuare a conferire le decorazioni della Santissima Annunziata, dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dell’Ordine Civile di Savoia e della Corona d’Italia . La legge  negava in assoluto il diritto di conferire onorificenze, senza riflettere sul fatto che tutti gli Ordini di Casa Savoia erano stati “prestati” allo Stato italiano e  con la fine della monarchia ritornavano patrimonio della Casa che ne aveva avuto il magistero prima della proclamazione del Regno d’Italia.

Umberto II,  dopo il 1946, e il figlio Vittorio Emanuele, dopo il 1983 (anno della morte del Sovrano), nel concedere le decorazioni degli Ordini di cui erano Gran Maestri quali Capi della Casa, hanno infatti agito come titolari di un particolare diritto, parte “personale” e parte con rilevanza internazionale, in un campo non antitetico alla sovranità della Repubblica italiana. Trattasi di una “pretesa” non di ordine territoriale o politico ma storico, in pieno collegamento con la situazione di “sovranità affievolita”, che viene riconosciuta a contrario dall’art.8, legge 178/51, laddove vieta a “…privati, associazioni ed enti…”di conferire decorazioni cavalleresche perché tale potere è da considerarsi sottratto alla sfera privata ed è  invece ricompreso tra quelli già riconducibili alla “regia prerogativa”.

Icastico al riguardo è ancor oggi un autorevole commento alla sentenza del Tribunale di Roma del 13 luglio 1962 (Giurisprudenza penale, pagg.49-56), il quale principiava dal quesito se Umberto II potesse considerarsi un “privato” e, quindi, essere oggetto del divieto di cui alla legge 178/51, naturalmente negandolo 21. Questo parere era stato preceduto, in dottrina, dall’interpretazione datane dal Pezzana 22, il quale affermava (“Rivista Araldica”; 1962, pag. 155 e segg.) che ciò che è decisivo per qualificare un Ordine come “non nazionale”, ai fini della legislazione italiana, è che esso “sia riconosciuto come Ordine Cavalleresco da un ordinamento giuridico diverso da quello dello Stato italiano, e cioè o dall’ordinamento di uno Stato estero o da quello della Chiesa cattolica o dal diritto internazionale… Se si tratta di un Ordine dinastico di una famiglia ex sovrana riteniamo che l’Ordine possa considerarsi non nazionale solo se all’ex casa regnante sia stato riconosciuto dal diritto internazionale e dagli Stati stranieri un particolare status giuridico, una qualche rilevanza alla posizione di famiglia ex regnante…”.

In riferimento agli Ordini di quest’ultimo tipo, la Corte di Cassazione (Sez. III, 04.02.1963 e Sez. III, 06.10.1965) doveva  precisare che: “la fons honoris può rientrare in ogni caso solo come uno degli elementi costitutivi della non nazionalità di un Ordine Cavalleresco, ma non può da sola esprimere il carattere della non nazionalità dell’Ordine stesso; accanto al carattere ereditario sono richiesti il carattere e la organizzazione intesa, anche se non identificabile, in una vera e propria soggettività giuridica internazionale, lo scopo e l’attualità dell’Ordine in rapporto alla sua storia e alla sua tradizione.”.

La produzione normativa della Repubblica non poteva così prescindere da elementi storici e di diritto preesistenti e non del tutto cancellati (e non lo potrebbero essere) dai mutamenti istituzionali: i poteri residui di un Sovrano già regnante – come nel caso di Umberto II e, dopo la sua morte, del suo successore,  Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, come “Capo” della dinastia – da identificare in quelli relativi alla sua qualità di fons honorum, con un forte affievolimento (ma non la totale scomparsa) della sovranità e di una residua particolare soggettività “extra-nazionale” – sono stati unanimemente riconosciuti dalla dottrina prevalente.

Se la legge 178/51 e la XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione non possono infrangere la legittimità degli Ordini dinastici di Casa Savoia, rimane ferma la discrezionalità dello Stato italiano di autorizzare l’uso nel territorio nazionale, ove non emergessero ragioni di tipo “politico” per conflittualità esistenti gli Ordini considerabili come “non nazionali”.

Fra i “princìpi” introdotti dalla legge 178/51 nel quadro normativo italiano,  che hanno fin dall’inizio, suscitato diversi dubbi ed incertezze interpretative, vi è infatti quello sancito dall’articolo 7, 1° comma: la norma dispone che: “…i cittadini italiani non possono usare nel territorio della Repubblica onorificenze o distinzioni cavalleresche a loro conferite in ordini non nazionali o di stati esteri se non sono autorizzati (…)”.

Se apparve subito chiaro il concetto delle onorificenze appartenenti agli “Stati Esteri”, non altrettanto chiaro, nel silenzio della legge, fu il nuovo concetto di ordine cavalleresco “non nazionale”. La sua esatta definizione ha acquisito rilevante importanza poiché funzionale a determinare la distinzione tra quelle onorificenze che sono pubblicamente utilizzabili in Italia, previa un’autorizzazione rilasciata dal Presidente della Repubblica e – dopo la legge 12 gennaio 1991, n. 13 – dal Ministero per gli Affari Esteri, e quelle che non solo non sono indossabili ma di cui dovrebbe anche essere vietato il conferimento.

Sul punto intervenne il Consiglio di Stato in risposta al quesito posto il 26 novembre 1981 dal Ministero degli Affari Esteri ed inerente il Sacro Militare Ordine Costantiniano di S. Giorgio: “…Nei confronti delle onorificenze conferite da Stati esteri o da <<Ordini non nazionali>>, lo stesso legislatore ha previsto l’apposito procedimento autorizzativo ricordato, su proposta del Ministero degli Affari Esteri…….Il criterio adottato dal legislatore induce a ritenere, anche sulla base del testuale elemento rappresentato dalla proposta riservata al Ministero degli Affari Esteri, che gli <<Ordini non nazionali>> siano, in linea di principio, quelli totalmente estranei all’Ordinamento italiano, ma non promananti da un ordinamento statuale straniero. Infatti, da una parte, lo Stato italiano vieta assolutamente a soggetti dell’ordinamento interno il conferimento di onorificenze, e, dall’altro, si riserva di autorizzare, in favore di cittadini italiani, quelle promananti da stati esteri e da Ordini (cavallereschi) e <<non nazionali>>, segno evidente della estraneità di questi ultimi anche dalla diretta sovranità dei primi. Si tratta, allora, di una categoria di Ordini, cioè di istituzioni cavalleresche, costituiti ed operanti all’estero, ma non espressione di ordinamenti statuali sovrani. Restano, così, al di fuori della fattispecie in esame, sia gli Ordini già appartenenti allo Stato italiano (Regno d’Italia) e ad altri Stati, sia quelli privi di identità cavalleresca (pubblica) perché non riconosciuti da alcun ordinamento sovrano. Invero, oltre al duplice elemento della non coincidenza con la sovranità statuale di Stati esteri e della estraneità all’ordinamento italiano, appare necessario all’individuazione dell’Ordine <<non nazionale>> un riconoscimento che ne identifichi l’esistenza e ne legittimi giuridicamente la dignità cavalleresca. Ora, tale riconoscimento, mentre, per quanto detto, non può essere ricercato nell’ordinamento italiano, deve rinvenirsi in quello di ordinamenti stranieri, come l’ordinamento canonico (della Santa Sede), ovvero di Stati esteri compreso, fra questi, l’ordinamento del Sovrano Militare Ordine di Malta”. (Cons. di Stato, Sez. I, 26 novembre 1981, n. 1869/81 cit.).  Dopo i lavori del “Gruppo di Studio sugli Ordini Cavallereschi non Nazionali”, presieduto dall’allora Capo del Servizio del Contenzioso e degli Affari Legislativi della Farnesina, Prof. Umberto Leanza, che  terminò i suoi lavori con la compilazione di un rapporto il 18 aprile 1996, è intervenuto il Cerimoniale Diplomatico del Ministero degli Esteri, che ha consentito di identificare con maggiore precisione le categorie degli ordini non nazionali e la loro autorizzabilità in base alle disposizioni della legge 178/51 (Nota del Cerimoniale Diplomatico n. 022/331 del 23 giugno 1999 e n.022/80926 del 6 marzo 2009). Sulla stessa scia il Ministero della Difesa – Direzione generale per il personale  militare III Reparto, che ha emanato una circolare in data 16 dicembre 2009 avente ad oggetto: “autorizzazione a fregiarsi di onorificenze conferite a cittadini italiani da Stati esteri o da ordini cavallereschi “non nazionali”. Ancora nel 2001, al fine di riesaminare e approfondire la questione generale dell’autorizzabilità degli ordini equestri non nazionali, fu istituita infine presso il Cerimoniale Diplomatico della Repubblica del Ministero degli Affari Esteri una “Commissione Consultiva Informale sugli Ordini Cavallereschi”, presieduta dal Prof. Aldo Pezzana, che ha confermato gli orientamenti precedenti.

Al momento risultano individuati gli “Ordini non nazionali”, tutti di origine preunitaria italiana, per i quali viene considerata concedibile l’autorizzazione all’uso delle relative onorificenze nel territorio nazionale purché, naturalmente, non esistano espresse norme in contrario o ragioni di opportunità che ne sconsiglino l’autorizzazione. Essi sono : il Sacro Angelico Imperiale Ordine Costantiniano di San Giorgio e  il Real Ordine al Merito sotto il Titolo di San Lodovico (Borbone Parma), l’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire e l’Ordine del Merito sotto il Titolo di San Giuseppe (Asburgo- Lorena), l’Insigne Real Ordine di San Gennaro, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio (Borbone Due Sicilie, nell’obbedienza “napoletana” e “spagnola”).

Se la legge 178/51 e la XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione non intaccano gli Ordini dinastici di Casa Savoia, rimane – come prima evidenziato-  ferma la discrezionalità dello Stato italiano di autorizzarne l’uso nel territorio nazionale.

Per quanto concerne  l’Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro si tratta indubbiamente di Ordine rientrante nella categoria degli “ordini non nazionali”, nel senso individuato dal Consiglio di Stato, in quanto fu istituito con bolle pontificie da Papa Gregorio XIII, con attribuzione in perpetuo del Gran Magistero al Capo di Casa Savoia questo perché anche dopo l’introduzione nello Stato di un regime costituzionale e dell’accettazione del principio della rappresentanza, il Sovrano ha continuato a disporre dell’Ordine senza l’osservanza delle forme costituzionali richieste per gli atti del Capo dello Stato, ma unicamente nella sua qualità di Gran Maestro e di “Sovrano” dell’Ordine stesso.

La natura “dinastico-familiare” di un Ordine comporta che, in caso di perdita del trono da parte della Dinastia che ne detiene il magistero, il nuovo governo (monarchico o repubblicano che sia) possa, se lo ritiene opportuno, negare valore o disconoscere il diritto a fare uso delle onorificenze dell’Ordine in questione ed, eventualmente, disporre dei beni di questo presenti sul territorio dello Stato, ma non sopprimerlo.

Sulla “vicenda” degli Ordini dinastici di Casa Savoia la Commissione consultiva istituita nel 2004 presso il Dipartimento del Cerimoniale della Presidenza del Consiglio dei Ministri con competenza in materia di onorificenze, ha emesso il 24 settembre 2007 un parere nel quale si conveniva sulla contingente inopportunità di emanare provvedimenti autorizzativi relativi solo all’Ordine al Merito di Savoia istituito nel 1988 da Vittorio Emanuele nell’ambito dell’Ordine Civile di Savoia fondato nel 1839 da Carlo Alberto, Re di Sardegna.

La Commissione però rilevava un trattamento discriminatorio nei confronti di quanto in atto relativamente agli ordini dinastici di pertinenza di altre Dinastie già regnanti in Italia e che avrebbe potuto dare adito, pur nella piena discrezionalità dell’Amministrazione italiana nei provvedimenti di autorizzazione, a qualche forma di ricorso per palese discriminazione tra soggetti omogenei.      

Indubbiamente se il Capo di Casa Savoia non viola la legge 178/51, perché di questa non destinatario, né altre norme dell’ordinamento italiano, e se è titolare di Ordini considerabili come “non nazionali”, nel senso che chiaramente sono “non statuali”, ferma restando la totale e insindacabile discrezionalità dello Stato italiano, laddove non emergessero ragioni di tipo “politico” per conflittualità esistenti ma, semplicemente, si valutasse l’importanza storica degli Ordini in questione (e anche della funzione storicamente svolta dalla Dinastia nel processo di formazione dello Stato italiano unitario) anche per l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro dovrebbe porsi la questione della autorizzabilità all’uso in Italia e risolverla positivamente.

 

 

Note

  • Allo scopo di creare una ristretta cerchia di consiglieri, legati al principe dal duplice vincolo della fedeltà dinastica e della fede religiosa simboleggiato da un prezioso monile, nel 1362 Amedeo VI, il Conte Verde, fondava l’Ordine del Collare (poi trasformato statutariamente nel 1518 da Carlo II nell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata), secondo per datazione solo all’Ordine della Giarrettiera, istituito da Edoardo III nel 1439. Seguirono con pari natura l’Ordine del Toson d’Oro, creato da Filippo III di Borgogna nel 1430 (poco dopo acquisito dagli Asburgo per via ereditaria), l’Ordine dell’Elefante fondato da Cristiano I nel 1462 e l’Ordine di San Michele voluto da Luigi XI nel 1469;
  • Anna Benvenuti, I santi guerrieri, pp. 35- 47 in ( a cura di A. Barbero e  Merlotti) CAVALIERI. Dai templari a Napoleone. Storia di crociati, soldati, cortigiani, Milano 2009: “L’effettivo dato storico della cristianizzazione…nei ranghi dell’esercito si prestava alla definizione di un modello di pietas che volgesse in positivo la violenza implicita nell’esercizio delle armi, esaltando le virtù che con esso potevano convivere, come la lealtà, l’abnegazione, la solidarietà”
  • Ordini dinastici della Real Casa di Savoia, 515-2015. Millecinquecentesimo annniversario della fondazione dell’Abbazia di Maurizio d’Agauno. Raccolta di saggi storici,  Ginevra- Rosolini, 2017;
  • Ligato, Gli Ordini Militari, in Terra Santa. Dalla Crociata alla Custodia dei Luoghi Santi,2000, pag. 203;
  • , pag. 205. Nel XIII secolo però l’espressione non infrequente di “cavalieri lebbrosi di San Lazzaro”, alludendo alla malattia di cui molti erano affetti, scompare dalle cronache del tempo facendo così intendere che chi ne era colpito non avrebbe più dovuto combattere, venendo solo accolto negli hospitia dell’Ordine;
  • Runciman, Storia delle Crociate,  Milano, 1993,  pag. 600;
  • Bascapè, L’Ordine Sovrano di Malta e gli Ordini equestri della Chiesa, 1940, pag. 253
  • Bernardini, Due insuccessi della politica estera di Cosimo I de Medici, in Quaderni Stefaniani, 1995;
  • In segno del rispetto dovuto al Duca di Savoia al Provana fu assegnato nella navigazione il posto a destra della galera di Marc’Antonio Colonna, ammiraglio della squadra pontificia e comandante in seconda dell’armata, che a sua volta si manteneva alla destra di don Giovanni d’Austria;
  • Angiolini, Gli ordini cavallereschi degli Stati italiani (XVI-XIX),pag.196 in CAVALIERI. Dai templari a Napoleone, 2009;
  • ibidem;
  • 8) P. Emanuele, Il Piemonte sul mare,1997, pag. 53 e segg.
  • ) A. Merlotti, Ritratto di un Cavaliere dell’Ordine di San Maurizio, in CAVALIERI, op.cit. pag. 317
  • Atanasio, Regno di Sicilia e Ordine di San Giovanni: l’omaggio del falcone maltese, in Il Mondo del Cavaliere, n. 24, Anno VI, 2006, pagg.115-118
  • Paolo Boselli, L’Ordine Mauriziano. Dalla genesi ai tempi presenti, Torino, 1917, pag. 13;
  • Prunas Tola, L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Milano, 1966, pag. 29;
  • Giovanni Donna d’Oldenico (1908-1982), resse l’Ordine dal febbraio 1944 all’aprile 1945 nella qualità di Commissario straordinario. E’ autore di oltre 100 pubblicazioni in gran parte dedicate alla storia del Piemonte, fra le quali La Sacra Religione e Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, in AAVV, La Sacra Religione e l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Torino 1973;
  • Emilio Nasalli Rocca (1901-1972): storico, paleografo e giurista, vanta ben 600 pubblicazioni. La sua principale opera sul tema è “Sulle origini e sulla natura giuridica degli Ordini di San Maurizio e San Lazzaro”, in Studi di storia ospedaliera in onore di Giovanni Donna d’Oldenico, Torino, 1958:  egli vi rilevava che “quando l’Ordine di San Lazzaro, certamente di origine e natura religiosa, fu unito a quello di San Maurizio, l’unione ebbe, per il primo, un prevalente carattere di subordinazione…soltanto per la caratteristiche ospedaliere, proprie ed esclusive dell’Ordine lazzarita, il carattere religioso e quindi la giurisdizione della Santa Sede si può considerare preminente anche se attenuata”. A suo giudizio però  queste competenze  erano “sostanzialmente delegate alla Famiglia sabauda, detentrice, anche per espressa volontà della Santa Sede, del Magistero
  • Giuseppe D’Angelo, La riconfigurazione normativa dell’ente Ordine Mauriziano di Torino tra riordino strutturale e riconversione funzionale, Università degli Studi di Salerno, 2009. Dello stesso autore L’Ordine Mauriziano. Vicenda ed esiti giuridici. Ecclesiasticità genetica e laicizzazione dei fini, Roma, 2007;
  • L’Ordine Costantiniano, i cui beni a Parma erano stati acquisiti all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nel 1860, sarà eretto in fondazione con  D. n. 186 del 5 febbraio 1922 recante il titolo “Costituzione di una nuova amministrazione dell’Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma”: il patrimonio dell’Ordine confluì in una fondazione avente il compito di conservalo e assicurarne gli scopi di culto e beneficenza. Personalità giuridica ed autonomia  verranno confermate con Decreto del Capo provvisorio dello Stato il 6 settembre 1946, che affidava la gestione della fondazione ad un consiglio generale, composta dalle principali autorità civili e religiose di Parma, e a una giunta esecutiva. Con Regio Decreto n.1433 del 1939 era stata  creata quale Ente Morale la Fondazione “Istituzione dei Cavalieri di Santo Stefano” allo scopo di perpetuare le tradizioni della milizia equestre medicea e il compito di dar vita a un nuovo ordine cavalleresco in suo ricordo. Mutato lo Statuto con D.P.R. 1270 del 1961 la Fondazione svolge e patrocina tutt’ora a Pisa, ove occupa l’antica Palazzo dei Cavalieri, rilevanti iniziative culturali in ambito marinaro;
  • (a cura di) C. Cataldi, La legislazione italiana e il patrimonio araldico cavalleresco di Casa Savoia, Atti del Convegno del Castello, Fossano, 2014 – vedi anche L’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Tra diritto, prassi e self-styled orders, Atti del Convegno di Modica, 2018
  • “A prima vista la risposta parrebbe affermativa, giacché, per l’ordinamento repubblicano attuale, fonte degli onori cavallereschi è esclusivamente il Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.) e l’ex-Re, privato di qualsiasi pubblica funzione nell’ambito statuale, non è considerato, altrimenti, che come un cittadino residente all’estero…ad un più approfondito esame dalla dizione del primo capov. dell’art. 8, emergono gravi dubbi sulla possibilità di classificare l’ex-Monarca fra i privati ai fini dei conferimenti cavallereschi; e ciò per due motivi: 1°) perché tutti i capi di famiglie ex-regnanti, cui spetta un patrimonio araldico-cavalleresco costituito da Ordini dinastici, sogliono conferire le decorazioni dei loro Ordini, ancorché spodestati dal trono; 2°) perché – come vedremo- nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano attuale l’ex Re è destinatario di norme speciali che ne fanno un cittadino sui generis. Sulla medesima linea anche le sentenze del Tribunale di Roma in data 26 giugno e 13 luglio 1962 con le quali fu disposta l’archiviazione per “inesistenza di reato” di due denunce contro Umberto II come soggetto concedente (“per aver conferito…decorazioni monarchiche a cittadini italiani”) e il marchese Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa, come complice (“per aver svolta attività di mediazione e di informazione in occasione di tali conferimenti”). L’archiviazione si fondava sull’inesistenza di reato in relazione all’art. 87 della Costituzione, agli artt. 7, 8 e 9 della legge 3 marzo 1951, n° 178 e agli artt. 8 e 9 c.p”.;
  • Per quanto riguarda, in particolare, gli articoli 8 e 9 del codice penale il commento alla già citata sentenza così si esprimeva: “La prevalente dottrina afferma, infatti, che l’art.8 codice penale richiama, come reato obiettivamente politico, le ipotesi di reato contenute nel titolo 1° del libro II del codice penale (artt.241-311); l’interesse politico, leso dall’azione criminosa, sarebbe l’interesse che è proprio dello Stato, considerato nella sua essenza unitaria (quale l’interesse all’integrità del popolo e del territorio, all’indipendenza, alla conservazione della pace interna ed esterna, alla conservazione della forma istituzionale e di governo, al funzionamento dei poteri costituzionali, ecc.); esulerebbero, invece, dalla categoria dei reati politici i reati che offendono lo Stato come potere amministrativo e giudiziario. Orbene: se si considerano come ipotesi di reati politici quelle elencate nel titolo 1° del libro II del codice penale, il conferimento di decorazioni cavalleresche fatte dall’ex-Monarca potrebbe prospettarsi come reato politico unicamente se si riuscisse ad includerne la fattispecie nello schema dell’art 287 codice penale il quale incrimina l’usurpazione di potere politico. Sennonché le seguenti circostanze: 1°) che i capi delle famiglie ex-regnanti sogliono, per antico uso, conferire le decorazioni cavalleresche appartenenti al proprio patrimonio araldico-cavalleresco; 2°) che tali conferimenti non vengono fatti richiamandosi ad una pretesa riserva di potere statale, ma unicamente perché il conferente si considera tuttora Gran Maestro dei propri ordini equestri dinastici; 3°) che le decorazioni conferite dall’ex-Re non sono state assunte come proprie dallo Stato italiano, nella sua attuale forma repubblicana; 4°) che dai singoli conferimenti non emerge una qualsiasi volontà di usurpazione a danno di organi statali italiani o un qualche movente anti-repubblicano o una qualsiasi intenzione di ledere il prestigio di istituzioni statali italiane; 5°) che i conferimenti sono pochissimi e giustificati dalle benemerenze degli insigniti; 6°) che le decorazioni in oggetto sono state anche conferite a stranieri (onde neppure larvatamente si potrebbe vedere nel conferimento una pretesa allusione alla sudditanza dell’insignito). Tutte queste circostanze mi paiono escludere ogni obiettiva possibilità di scorgere nei conferimenti de quo un’usurpazione di potere politico statale e quindi la lesione di un interesse politico dello Stato italiano (di cui all’art.8, 3° comma, del codice penale).”. (“Giurisprudenza penale”, pagg.49-56).