LE IMPRESE DEI MEZZI D’ASSALTO ITALIANI

  

Il 19 dicembre, ricorre l’anniversario della vittoriosa azione compiuta dai mezzi d’assalto della nostra I Marina nel porto di Alessandria d’Egitto e pertanto appare quanto mai significativo parlare dei mezzi d’assalto che operarono nel secondo conflitto mondiale e rievocare e celebrare quelle leggendarie imprese. Possiamo affermare con orgoglio che i mezzi d’assalto hanno dato vita ad una specialità che tutti considerano un’invenzione italiana. Già nell’ultimo anno della prima guerra mondiale fecero la loro apparizione il “Grillo” e la “Mignatta”, veri precursori di questi mezzi. Con la “mignatta”, arma semplice ed efficace, i loro ideatori Rossetti e Paolucci riuscirono, com’è a tutti noto, ad affondare nel porto di Pola la corazzata Viribus Unitis e il piroscafo Wien. Benché tale grande successo avesse dimostrato la validità di queste nuove armi, nel dopoguerra esse furono quasi del tutto trascurate. Ma nel 1935, quando nell’imminenza del conflitto italo-etiopico si profilò la minaccia di un intervento della flotta inglese, si ridestò nella nostra Marina, allora priva di moderne navi da battaglia, l’interesse per i mezzi d’assalto che avrebbero potuto servire a contrastare la maggiore potenza della Royal Navy.

Fu merito dei tenenti del Genio Navale Elios Toschi e Teseo Tesei l’aver riesumato l’idea della “mignatta” e di averla rielaborata con geniali innovazioni tecniche ed operative. L’apparecchio da loro ideato era sempre simile ad un siluro, ma era a propulsione elettrica e possedeva casse di compenso e di assetto, che gli consentivano di scendere e salire nelle acque come un vero e proprio minuscolo sommergibile. I due operatori sedevano in appositi spazi a cavalcioni dell’arma ed erano provvisti di speciali tute ed autorespiratori subacquei. ln tal modo erano in grado di operare invisibili in profondità e guidare l’arma fin sotto la chiglia della nave nemica, per applicarvi la carica esplosiva contenuta nella testa staccabile. La regolazione dell’esplosione, con congegno ad orologeria, dava il tempo agli operatori di allontanarsi e mettersi in salvo. Questo apparecchio fu denominato ufficialmente “Siluro a Lenta Corsa” (SLC), ma nel gergo degli assaltatori col più famoso nome di “maiale”. Il secondo tipo di mezzo d’assalto, derivato dal “Grillo” del 1918, fu il “barchino esplosivo”, ufficialmente denominato “Motoscafo da Turismo Modificato” (MTM). Consisteva in uno scafo di legno a fondo piatto, leggerissimo e dotato di un potente motore a scoppio con silenziatore. A prora era sistemata una carica di oltre 300 kg. Di tritolo. Il pilota, che prendeva posto a poppa estrema, si poneva per l’attacco su una rotta ortogonale, di fianco della nave nemica, indi, messo il motore al massimo dei giri e bloccato il timone in quella direzione, si si lasciava cadere in acqua con un particolare salvagente, circa cento metri prima che l’urto del barchino contro il bersaglio provocasse l’esplosione della carica. Dopo che le prove delle due armi ebbero dato esito soddisfacente, fu creato in seno alla “l Flottiglia MAS” un nucleo incaricato dell’organizzazione dei mezzi d’assalto. Questo nucleo fu ristrutturato ed ampliato durante la guerra e prese il nome, divenuto famoso, di “X Flottiglia MAS”. Per l’addestramento del personale, da coprire col più geloso segreto, fu scelta una località appartata non lontana da La Spezia, precisamente “Bocca di Serchio”. E difficile immaginare la durezza estenuante degli allenamenti e delle prove cui si dovevano sottoporre gli aspiranti assaltatori, per i quali si richiedevano eccezionali doti fisiche ed altrettanta eccezionale saldezza di nervi. La selezione era severissima oltre ogni dire.

Durante il secondo conflitto mondiale, numerose furono le azioni belliche operate dalla nostra Marina con i mezzi d’assalto, che abbiamo prima descritto. Non è possibile ricordarle tutte sia quelle il cui esito fu sfortunato sia quelle cui la fortuna arrise ed il Valore fu premiato. Tuttavia, prima di parlare dell’impresa di Alessandria, non possiamo fare a meno di rievocarne, sia pur brevemente, alcune degne di particolare memoria, anch’esse avvenute nel 1941. Nella notte tra il 25 ed il 26 marzo 1941, i cacciatorpediniere “Crispi” e “Sella”, partiti da Stampalia nell’Egeo, trasportano fino a circa dieci miglia dall’imboccatura della Baia di Suda (isola di Creta) sei barchini, che vengono messi a mare poco prima di mezzanotte. Le condizioni per l’attacco sembrano favorevoli: la notte è scura e vi è calma di vento e di mare; a Suda, nella rada, vi sono alla fonda alcune navi da guerra nemiche e numerosi mercantili. I piloti dei sei barchini sono: il t.v. Luigi Faggioni, capo della spedizione; il s.t.v. Angelo Cabrini; il capo cann. De Vito, il capo N.N. Tedeschi, il 2° capo Beccati; il sergente Barberi.

                          

      Luigi Faggioni                           Angelo Cabrini                     Alessio De Vito

                          

     Tullio Tedeschi                         Lino Beccati                            Emilio Barbieri

Raggiunta l’imboccatura della baia, superano con perizia e audacia ben tre ordini di ostruzioni senza essere scoperti. Penetrati nell’interno della rada cercano di individuare, malgrado l’oscurità, le unità da colpire, quindi Faggioni assegna gli obiettivi. Alle 5.30, non appena le condizioni di luce si fanno favorevoli, partono all’attacco per primi Cabrini e Tedeschi, puntando affiancati contro un grosso incrociatore. Giunti a circa 80 metri, bloccano i timoni e saltano in acqua. I due barchini vanno a schiantarsi, esplodendo, contro il fianco dell’incrociatore che sbanda a dritta e poi comincia ad immergersi di poppa. Subito dopo entrano in azione i barchini di Barberi e di De Vito ma, mentre il primo va ad esplodere sul bersaglio, quello di De Vito devia e va ad arenarsi sulla costa. A sua volta Beccati lancia il suo barchino contro una petroliera e la colpisce a poppa. Faggioni sta sul punto di dare il colpo di grazia all’incrociatore, quando vede una nave da guerra (è il caccia Coventry) uscire da dietro alla petroliera e decide di attaccarla. Ma i barchini sono fatti per colpire bersagli fermi; la nave, invece, va acquistando velocità e non è facile calcolare ad occhio la direzione giusta per l’impatto. E così il barchino di Faggioni manca il bersaglio e va ad esplodere contro la banchina. L’azione, comunque, conseguì un notevole successo: l’incrociatore “York” da 10.000 tonnellate e con cannoni da 203 mm. fu così gravemente danneggiato che non poté più essere recuperato; la petroliera “Pericles” fu squarciata da ambo i lati e affondò mentre si cercava di trasferirla. I sei ardimentosi assaltatori, rimasti fortunatamente indenni, furono fatti prigionieri. A tutti fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare. L’ammiraglio Cunningham, Comandante della Mediterranean Fleet, ricordando in un suo libro questa azione” così ne fece l’elogio: “Mi ha sempre colpito quanto gli Italiani… fossero bravi in questo tipo di attacchi individuali. Certamente avevano uomini capaci delle più valorose imprese”.

Se è vero che l’esito sfortunato di eroiche gesta non deve condizionare il riconoscimento del Valore di chi le ha compiute, non possiamo non ricordare con commossa ammirazione gli eroi che tentarono di forzare con i mezzi d’assalto il porto di La Valletta a Malta, il 26 luglio 1941. Azione sfortunata, ma forse più di ogni altra onusta di gloria. Il coraggio adamantino degli operatori non valse ad ottenere il successo sperato. L’azione fallì e pesanti furono le perdite: 18 prigionieri e 15 Caduti, tra questi anche il magg. G.N. Teseo Tesei, l’ideatore dei mezzi d’assalto subacquei, uomo di tempra eccezionale e raro Valore.

                                                       Teseo Tesei

La perdita dianti eroici e preziosi uomini e di molti mezzi non abbatté lo spirito indomito degli assaltatori, che anzi si dedicarono con maggior tenacia a migliorare l’addestramento ed a perfezionare i mezzi. Ed a rincuorare gli animi arrivò, il 20 settembre 1941, il primo successo per i S.L.C. in un nuovo attacco contro la base di Gibilterra. Alla guida dei tre “maiali”, portati sul posto dal sommergibile “Scire”, comandato dal c.c. Junio Valerio Borghese, gli equipaggi s.t.v. Visintini e s.c. Magro, t.v. Vesco e s.c.Zorzoli, t.v. Catalano e s.c. Giannoni affondarono una grossa cisterna militare ed altre due navi per un totale di circa 30.000 tonnellate. I sei prodi operatori riuscirono tutti a sfuggire alla cattura, a raggiungere a nuoto la costa spagnola ed infine a rientrare incolumi in Patria.

Junio Valerio Borghese

Ma per i S.L.C. una ben più grande vittoria doveva giungere sul finire del 1941 nell’attacco ad Alessandria. Il 3 dicembre 1941, il sommergibile “Sciré” imbarca a La Spezia tre “maiali” e salpa alla volta dell’isola di Lero. Al suo comando è sempre il c.c. Borghese, ormai veterano di queste difficili missioni. A Lero lo “Sciré” imbarca gli operatori, arrivati in aereo, e il 14 dicembre riprende il mare e naviga verso Alessandria, in attesa che arrivi via radio l’ordine di attaccare. Finalmente, la sera del 17 dicembre, l’ordine arriva. “Accertata presenza in porto due navi da battaglia. Probabile una portaerei. Attaccate.”

Ora un difficile compito attende lo “Scirè”. Deve portarsi, in immersione, fino all’ingresso del porto nemico, affrontando prima l’insidia degli estesi campi minati e poi quella dei bassi fondali rapidamente decrescenti. Ma l’abile e coraggioso comandante Borghese riesce a superare pericoli e difficoltà ed alle 18,00 del 18 dicembre 1941, lo “Sciré” si trova, con incredibile precisione, nel punto prefissato: a poco più di un miglio dal fanale del molo di ponente del porto di Alessandria, in fondale 15 metri!

Borghese assegna gli obiettivi: il t.v. Luigi Durand de la Penne (capo gruppo), con il capo pal. E. Bianchi, attaccherà la corazzata “Valiant”; il cap. G.N. Antonio Marceglia con il s.c. pal. S. Schergat, la corazzata “Queen Elizabeth”; il cap. G.N. Vincenzo Martellotta, con il capo pal. M. Marino, la portaerei o in mancanza una petroliera. Dovranno anche disseminare nelle acque del porto delle bombette incendiarie, nella speranza dl provocare l’incendio del combustibile che si sarebbe riversato in mare. Poco prima delle ore 21 gli operatori, compresi i quattro di riserva, escono dal sommergibile e procedono alla delicata operazione di messa a mare dei “maiali”. Poi, mentre i tre “siluri umani” si allontanano verso il loro destino, lo “Scirè”, ricuperati i 4 operatori di riserva, fa ritorno a Lero.

Navigando in superficie nella notte buia a cavalcioni dei “maiali” le nostre tre coppie arrivano vicino alle ostruzioni che sbarrano l’ingresso del porto. E un momento critico! Le bombette di profondità lanciate sistematicamente dai mezzi di vigilanza, costituiscono un serio pericolo e passare le ostruzioni è sempre un’operazione rischiosa. Ma, mentre studiano il modo migliore di superare l’ostacolo, un impensabile colpo di fortuna viene in loro aiuto. Le ostruzioni si aprono per lasciar passare tre cacciatorpediniere, che rientrano in porto. I nostri sono pronti ad approfittarne. Pur con gravissimo rischio di essere speronati o di essere travolti, si infilano tra i caccia e, non visti, riescono a penetrare nel cuore della base nemica.

L’azione si fraziona ora in tre episodi distinti. De la Penne e Bianchi individuano per primi il loro obiettivo e, poco dopo le 2,00 del 19 dicembre, si trovano a soli 30 metri dalla corazzata “Valiant”. I due si immergono col “maiale” per portarsi sotto la carena della nave, ma improvvisamente l’apparecchio perde l’assetto e precipita sul fondo a 17 metri di profondità. Per di più Bianchi è colto da malore e deve risalire in superficie con l’autorespiratore guasto. De La Penne rimane così solo col “maiale” fermo sul fondo e che non vuole rimettersi in moto. La sua missione è dunque fallita? De la Penne non vuole arrendersi alla cattiva sorte ma … come fare? Da solo, a 17 metri di profondità, con l’autorespiratore che presenta qualche infiltrazione, comincia, con sforzo inaudito, a trascinare centimetro dopo centimetro il pesante mezzo sprofondato nella fanghiglia. Più di una volta si sente sul punto di svenire per lo sforzo eccessivo e l’affanno, ma non cede. Dopo quaranta minuti di fatica sovrumana, finalmente è riuscito a portare l’apparecchio sotto lo scafo della Valiant. Regolate le spolette, torna stremato a galla e, affondato l’autorespiratore, cerca di allontanarsi a nuoto. Ma le vedette della corazzata lo scoprono e gli sparano contro. Va allora a ripararsi dietro la boa di ormeggio e vi ritrova Bianchi, che vi si era rifugiato dopo essersi ripreso dal malore. Appena un attimo di tregua e le vedette inglesi li individuano e li catturano.

            

              Luigi Durand de La Penne                                          Mario Marino

Immediatamente sono condotti a bordo della “Valiant” e sottoposti subito ad interrogatori, ma nessuno dei due risponde. Nella speranza di intimorirli e di indurli a parlare, gli inglesi li rinchiudono allora in una cala ben al di sotto della linea di galleggiamento, ma i nostri eroici assaltatori tengono imperterriti la bocca chiusa. Quando mancano dieci minuti all’esplosione De la Penne chiede di parlare al Comandante e gli comunica che la nave sta per saltare e che, se vuole, può mettere in salvo l’equipaggio. Si rifiuta ancora, però, di precisargli dove ha posto la carica e il Comandante lo fa ricondurre nella cala dove si ritrova solo, perché nel frattempo Bianchi è stato condotto via. Come racconta lo stesso De la Penne, passano alcuni minuti ed avviene l’esplosione. La nave ha una fortissima scossa, le luci si spengono e il locale è invaso dal fumo. La nave sbanda sulla sinistra e poi si appoggia sul fondo, continuando a sbandare lentamente. Per fortuna egli non ha alcuna ferita. Cerca di uscire da un oblo, ma deve rinunciarvi, perché è troppo stretto. Sale allora la scaletta e, trovato il portello aperto, si dirige a poppa. Vi è ancora raccolta gran parte dell’equipaggio, che si alza in piedi al suo passaggio. Passano pochi secondi ed ha la soddisfazione di veder saltare anche l’altra corazzata, la “Queen Elizabeth”. Successivamente insieme con Bianchi viene condotto a terra a Ras el Tin. La loro gloriosa missione si è conclusa e una lunga prigionia li attende.

Se l’azione di De la Penne si è svolta in modo drammatico, quelle di Marceglia e Schergat si esplica senza contrattempi e con una precisione da manuale. Individuata la “Queen Elizabeth”, superano le reti di protezione e si immergono col “maiale” portandosi sotto Ia corazzata. Applicano la carica sotto la chiglia, secondo la tecnica a lungo studiata, e, regolate le spolette, tornano in superficie. Il “maiale”, che ora è senza la testa, funziona sempre bene e Marceglia e Schergat, sistemate anche le bombette incendiarie, si dirigono verso la zona della costa meno sorvegliata.

               

              Antonio Marceglia                                    Spartaco Schergat

Appena ne sono in vista, affondano, come prescritto, “maiale” ed autorespiratori e raggiungono a nuoto la riva. Ora vogliono tentare di sfuggire alla cattura. Sanno che un nostro sommergibile, lo “Zaffiro”, sarebbe emerso nelle notti dal 24 al 26 dicembre a 15 miglia a nord di Rosetta, punto in cui i sopravvissuti si sarebbero potuti trovare con qualche battello. Cercano così di mettere in atto un progetto di fuga avventuroso, degno di essere raccontato. Dopo essere riusciti a superare i posti di blocco, facendosi passare per marinai francesi, raggiungono la stazione ferroviaria di Alessandria. Ma nell’acquistare i biglietti per Rosetta hanno una brutta sorpresa: le sterline, di cui sono stati forniti, non hanno corso legale in Egitto! (Un errore dei nostri servizi segreti). La cosa fa sorgere forti sospetti sul loro conto. Infatti, riescono in qualche modo a cambiare le sterline in valuta egiziana e ad arrivare a Rosetta ma, mentre sono alla ricerca di un battello, vengono fermati da una pattuglia di militari egiziani che li consegna poi agli inglesi. Come già accennato l’esplosione della carica, che con tanta precisione essi avevano sistemata sotto la “Queen Elizabéth”, era avvenuta puntualmente alle 6.15, pochi minuti dopo quella della “Valiant”. L’ammiraglio Cunningham così la ricorda nella sua autobiografia: “Avvertii un forte rumore sordo e fui lanciato in aria per circa un metro e mezzo presso la chiglia della nave e tanto fortunato da non ricadere malamente. Vidi una grande colonna di fumo nero levarsi dal fumaiolo e da un punto immediatamente a proravia e compresi che la mia nave era, stata gravemente danneggiata.”

Anche l’azione di Martellotta e Marino si svolge senza particolari intralci. A cavalcioni del loro “maiale” si mettono alla ricerca della portaerei. La ricerca è però vana: nessuna portaerei si trova nel porto. Come previsto cercano allora una petroliera e ne trovano una grossa e che sembra essere completamente carica. Martellotta, forse per Ia fatica della lunga ricerca, si sente male ed è costretto a rimanere in superficie. Si immerge solo Marino, che con la solita tecnica sistema la carica sotto la chiglia e regola le spolette.

         

                 Vincenzo Martellotta                                 Mario Marino

Si stanno già allontanando, quando arriva un cacciatorpediniere, che si affianca alla petroliera per rifornirsi. “E una fortuna” pensano Martellotta e Marino “se il rifornimento durerà più di tre ore anche il caccia subirà gli effetti dell’esplosione”. Dopo aver collocato le bombette incendiarie, si portano verso la banchina e, affondati il “maiale” e gli autorespiratori, la raggiungono a nuoto. Anch’essi si ingegnano ora di uscire dal porto e di sottrarsi alla cattura ma, ad una barriera doganale, vengono fermati dalla polizia egiziana e così anche Martellotta e Marino finiscono per cadere prigionieri degli inglesi. Anche la carica esplosiva da loro sistemata scoppia con precisione: la petroliera “Sagona” ed il caccia “Jeruis” rimangono gravemente danneggiati.

L’attacco ad Alessandria, una delle più brillanti imprese del secondo conflitto mondiale, aveva avuto pieno successo: tutti e tre gli obiettivi erano stati centrati dai nostri eroici assaltatori. Churchill così ha scritto nelle sue memorie: ” -.. fui raggiunto dalla brutta notizia dell’attacco dei siluri umani italiani nel porto di Alessandria, che era riuscito a mettere fuori combattimento Queen Elizabeth e Valiant … Ne compresi immediatamente la gravità. La nostra flotta da battaglia del Mediterraneo aveva, per il momento, cessato di esistere … “. I sei incursori subacquei che, con il loro coraggio, con il loro ardimento, con la loro perfetta preparazione, avevano inferto un così duro colpo alla flotta nemica, furono Decorati con la Medaglia d’Oro al Valor Militare e Promossi per Merito di guerra. Vale la pena al riguardo di riferire un significativo episodio. La consegna della Decorazione a Luigi Durand De La Penne avvenne a Taranto nel marzo 1945, dopo il suo ritorno dalla prigionia. Avrebbe dovuto consegnarla il Principe Umberto, a quel tempo Luogotenente del Regno. Era presente alla cerimonia l’ammiraglio inglese Sir Charles Morgan che, nel 1941, comandava la corazzata “Valiant’. Il Principe, rivolgendosi a Morgan: “Penso – disse – che spetti a voi consegnare questa Medaglia!” E Morgan si mostrò lieto di Decorare il valoroso ufficiale che aveva affondato la sua nave, dandogli tuttavia modo di mettere in salvo l’equipaggio.

Negli anni di guerra successivi al 1941 tante altre azioni furono compiute dai mezzi d’assalto, con alterna fortuna, ma sempre mirabili per coraggio ed ardimento. ln memoria di quei prodi che non fecero ritorno, valga per tutti il reverente ricordo di quell’eroe purissimo che fu il t.v. Licio Visintini e così pure del sottocapo palombaro Magro, che operava in coppia con lui.

          

Licio Visintini                                        Giovanni Magro

Decorati di Medaglia d’Oro per la precedente vittoriosa azione, erano alla loro terza missione contro Gibilterra quando, l’8 dicembre 1942, tentarono ancora una volta di forzarne l‘ingresso, nonostante che il continuo lancio di piccole bombe di profondità da parte del nemico ne rendesse quasi impossibile il superamento, e riuscirono ad entrare nel porto ma vi perirono. I loro corpi affiorarono dopo alcuni giorni nelle acque del porto. “I loro nomi (così scrive l’ammiraglio Brauzzi su Rivista Marittima) erano leggibili sugli indumenti. Ne fu informato il comandante Crabb, ufficiale inglese alla sicurezza. … Egli non aveva mai sentito quei nomi: di loro sapeva solo che erano dei prodi. Comprò una ghirlanda di fiori e due bandiere italiane e chiese che un sacerdote andasse con lui sulla lancia. Cosi Visintini e Magro furono sepolti in mare … “. Davanti a tanto Valore anche il nemico si commuoveva e si inchinava!

La guerra condotta dalla Marina con i mezzi d’assalto non solo inflisse gravi perdite all’avversario, provocando complessivamente l’affondamento o il grave danneggiamento di circa 80.000 tonnellate dl navi da guerra e di 130.000 tonnellate di navi mercantili, ma creò anche un patrimonio di imprese leggendarie e di valori etici che ogni nazione sarebbe fiera ed orgogliosa di possedere e di tramandare ai posteri.

Sulla facciata dell’Accademia Navale spiccano in alto le parole “Patria e Onore”. Gli eroici operatori dei mezzi d’assalto, sia quelli che perirono sia quelli che sopravvissero alle loro audaci imprese, tennero tutti fede al loro impegno d’Onore verso la Patria, impegno di lealtà, di attaccamento al dovere fino, se necessario, al supremo sacrificio. E la Patria? …

La Patria faccia almeno sì che su tanta gloria, su tanto sacrificio non cada l’oblio.

Articolo tratto da “Il Nastro Azzurro” 6-2019