Antonio Trogu Il retaggio dopo 40 anni di Libano 1 e Libano 2

  

Progetto 2022/1  Contributo di Ricerca

 

Spirito di sacrificio, altruismo e grande umanità sono le parole corrette per sottolineare il lavoro svolto da giovani militari di leva 40 anni fa. Il sacrificio di affrontare una missione pericolosa senza avere anni di esperienza alle spalle né un’idea chiara di cosa si sarebbe potuto affrontare. L’altruismo di chi mette a repentaglio la propria vita per risolvere una situazione emergenziale in una nazione lontana dalla propria Patria per onorare quei valori che la cultura trasmette di generazione in generazione. L’umanità dimostrata nella volontà di difendere donne e bambini bloccati in un territorio di conflitti che avrebbe dovuto rappresentare un luogo sicuro e che, al contrario, si è rivelato un campo minato tra fuochi nemici.

L’Italia ha scelto di affrontare una missione di pace diversificando il proprio ruolo rispetto le intenzioni dei marines americani e partendo da un presupposto apparentemente molto semplice. Per ricostruire è necessario iniziare dall’approfondimento di tutti gli aspetti più importanti legati al territorio, garantendo rispetto per il patrimonio culturale e comprensione. L’obiettivo vincente è stato, dunque, quello di cercare la costruzione di un dialogo proficuo al fine di introdurre in storie differenti dalla realtà conosciuta degli spiragli di luce insegnando a percorrere strade nuove dirette verso la pace e la collaborazione.

Una strategia differente, come detto, rispetto quella attuata dagli altri stranieri sul suolo libanese ma che ha lasciato un segno indelebile. Il sostegno dato alla popolazione locale in un clima complicato e delicato ha permesso l’instaurazione di quel dialogo non semplice da costruire in un territorio caratterizzato da radicalismo, violenza, conflitti. Il metodo adottato per raggiungere l’obiettivo? Nessun filo spinato intorno al contingente italiano e l’apertura di un ospedale senza restrizioni. Il filo spinato, infatti, avrebbe solamente impedito di superare la divisione tra noi e loro, avrebbe generato diffidenza e aumentato la lontananza tra la nostra storia e la loro ostacolando il superamento delle differenze culturali.

La missione in Libano è, in questo, precursore delle moderne missioni di peacekeeping. Ai nostri militari furono distribuiti  oltre agli equipaggiamenti militari, dei libri e alcuni dossier sulla cultura locale. Una scelta vincente. Conoscere e comprendere le cause di quel conflitto ha permesso ai soldati italiani di stabilire rapporti diretti con le parti coinvolte non apparendo come una minaccia ma come un’autentica forza d’interposizione. Ascolto e mediazione, gli italiani si sono dimostrati maestri nell’interpretare questa filosofia ed insegnarla alle altre nazioni. L’analisi dell’interazione tra identità e cultura è fondamentale nella scelta di comprensione dell’altro, una strada privilegiata per aiutare le persone a creare un’interazione costruttiva con chi viene percepito come diverso soprattutto quando si rientra nell’ambito culturale. Un’efficace strategia militare non può ignorare l’importanza di conoscere il gruppo etnico con cui si deve interagire per capire come muoversi rispettando la diversità mentre si lavora per raggiungere il proprio obiettivo.

La missione in Libano aveva chiari intenti. Monitorare le ostilità, effettuare operazioni di pattugliamento, supportare la popolazione locale. Non sarebbe stato possibile senza una conoscenza approfondita del territorio, della cultura locale e della storia di quel popolo da aiutare.

Con molta intelligenza militari italiani sono riusciti a trasmettere sicurezza e affidabilità, aiutando i locali a superare le grandi difficoltà scaturite dagli eventi. Il tutto è stato portato avanti, ribadiamo ancora una volta, da giovani uomini che potevano contare unicamente su pochi mesi di addestramento, che avevano lasciato in patria una famiglia e dei compatrioti che molto probabilmente non comprendevano l’importanza della missione e il valore dimostrato da quei militari di leva in territorio straniero.

All’improvviso si sono ritrovati ad avere a che fare con la guerra, quella vera, quella fatta di missili, bombe, suoni nella notte, fame e paura. E di immagini che rimarranno per sempre impresse nella memoria e non saranno mai comprese fino in fondo da chi sente i racconti ma non li ha vissuti realmente.

Dopo Libano 1 e Libano 2 il mondo ha cominciato a riconoscere i meriti del metodo italiano, l’abilità nel definire una strategia né di attacco né di difesa ma di collaborazione, comprensione e intelligenza. Derisi agli esordi, gli italiani sono stati gli unici a contare un solo caduto nella missione di pace, un giovane diciannovenne morto durante un’imboscata al mezzo su cui viaggiava, contro le numerose morti registrate dagli americani e dai francesi – il duplice attentato dinamitardo del 23 ottobre 1983 costò la vita a 241 marines e 56 paracadutisti francesi. E da allora si è prestato più attenzione al “modello italiano”, utilizzato in successive missioni di pace. Basti pensare a quanti bambini sono ancora vivi perché i soldati italiani hanno insegnato loro come riconoscere ed evitare una mina per capire qual è il retaggio di Libano 1 e Libano 2.

 

4.5.  Dopo Libano 2: quaranta anni di impegno per l’Italia

 

Dopo il termine delle missioni ITALCON l’Italia e’ ancora in Libano. L’11 marzo 1978, un attacco di commando in Israele provocò molti morti e feriti tra la popolazione israeliana; l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) rivendicò la responsabilità di tale incursione. In risposta, le forze israeliane invasero il Libano la notte tra il 14 e il 15 marzo, e in alcuni giorni occuparono l’intera parte meridionale del Paese, ad eccezione della città di Tiro e dell’area limitrofa.

Il 15 marzo 1978, il Governo Libanese avanzò una dura protesta al Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite contro l’invasione israeliana, dichiarando che essa non aveva alcuna connessione con l’operazione del commando palestinese. Il 19 marzo, il Consiglio adottò le Risoluzioni 425 e 426, nelle quali si richiamava Israele a cessare immediatamente le proprie azioni militari e ritirare le sue forze da tutto il territorio libanese.

Venne dato inoltre mandato a una nuova forza di interposizione di disporsi lungo la linea di confine tra Libano e Israele. Nasceva così la missione Unifil, con la quale i caschi blu dell’Onu speravano di far superare le tensioni tra le parti.

I soldati di Unifil arrivarono nel sud del Libano il 23 marzo 1978, nove giorni dopo l’inizio dell’operazione Litani. Le truppe internazionali presero possesso di una fascia di sicurezza lungo il confine israelo-libanese. Sul finire del 1978 i soldati israeliani lasciarono il Paese  ritornando all’interno del proprio territorio. La missione Unifil inizialmente con un mandato di sei mesi, verrà prolungato poi nel corso degli anni.

Il 7 giugno 2000  una mappa rappresentante la linea del ritiro israeliano fu trasmessa formalmente dal Comandante di UNIFIL alle controparti libanese ed israeliana. Nonostante le loro riserve sulla linea, i Governi di Israele e del Libano confermarono che l’identificazione di tale linea era un’esclusiva responsabilità delle Nazioni Unite e come tale essi l’avrebbero rispettata.

La Blue Line rappresenta quella linea pratica di demarcazione, lunga 120 chilometri di cui 60 nell’area della Joint Task Force Lebanon (JTF-L) – Sector West, che separa il Libano da Israele e che, convenzionalmente, permette l’identificazione di violazioni accidentali tra le parti.

Attualmente la consistenza massima annuale autorizzata dall’Italia per il contingente nazionale impiegato nella missione è di 1169 militari, 368 mezzi terrestri e 7 mezzi aerei[1]. In ambito nazionale l’operazione è denominata “Leonte”.

Appendice I

[1] la componente dell’Aviazione dell’Esercito (Task Force “ITALAIR”), su base 2° Reggimento AVES “Sirio” di stanza a Lamezia Terme,  costituita da elicotteri AB-212, con compiti d’evacuazione sanitaria, ricognizione, ricerca, soccorso e collegamento. Ha base a Naqoura ed è posta alle dipendenze del comandante di UNIFIL