Progetto 2020/1 Questioni ed avvenimenti attinenti all’Etiopia dal 1896 ad oggi (1910)

  

QUESTIONI ED AVVENIMENTI ATTINENTI ALL’ETIOPIA

dal 1898 ad oggi

PREMESSA

Poiché non è improbabile che la scomparsa dell’imperatore Menelich II debba segnare per l’Etiopia l’inizio d’un periodo di speciale attività politica e militare, il quale assumerebbe una peculiare importanza per noi, in causa delle nostre colonie confinanti coi domini abissini, cosi è sembrato opportuno, per agevolare la chiara intelligenza dei possibili fatti ulteriori, di riassumere qui appresso le questioni e gli avvenimenti di maggior rilievo svoltisi colà dal 1896 ad oggi.

 

  1. Il lavorio diplomatico europeo in Etiopia dal 1896 ad oggi.

 

  1. A) Italia. – Il 26 ottobre 1896 fu stipulato, come è noto, il trattato di pace tra l’Italia e l’Etiopia, col quale, annullato il trattato di Uccialli del 2 maggio 1889, l’Italia riconosceva senza riserva l’indipendenza assoluta dell’Impero Etiopico come Stato sovrano ed indipendente.

Le due potenze però non avevano potuto mettersi d’accordo circa la questione della frontiera eritrea-etiopica, e pertanto fu provvisoriamente convenuto che fino a che questa non fosse stata fissata si sarebbe osservato lo status quo ante impegnandosi le due parti a non oltrepassare la linea provvisoria determinata dai corsi dei fiumi Mareb-Belesa-Muna.

Dopo quattro anni di trattative e mediante compenso pecuniario, il confine eritreo­ etiopico fu definitivamente stabilito colla convenzione 10 luglio 1900 firmata in Addis Abeba dall’Imperatore Menelick e dal nostro rappresentante capitano Ciccodicola.

In aggiunta furono successivamente stipulate la convenzione del 15 maggio 1902 per la delimitazione del confine fra l’Eritrea, il Sudan e l’Etiopia verso il Setit; e quella del 16 maggio 1908 per la frontiera tra Etiopia e Somalia Italiana e tra Etiopia ed Eritrea verso la Dancalia.

Nell’aprile del 1898, per vieppiù rafforzare i rapporti di buona amicizia esistenti, ed aprire al commercio una via facile e diretta che desse possibilità di solleciti scambi di corrispondenza, fu convenuto fra i due stati d’impiantare una linea telegrafica Massaua-Addis Abeba.

I lavori, eseguiti per cura del governo italiano, furono portati a compimento nell’aprile del 1904.

Il Negus permise altresì ad una società italiana (Sindacato italiano per le miniere d’oltre Mareb) di eseguire ricerche minerarie in territorio Etiopico a cominciare dal confine Eritreo e limitato ad Ovest da Gondar, lago Tzana; fiume Abai, ad est fino ad Ascianghi e tutto il Semien (Vedi Schizzo n. 1).

 

 

  1. B) Altre potenze europee. – Annullato il trattato d’Uccialli, le potenze europee (che per effetto di esso avrebbero dovuto servirsi della mediazione dell’Italia nei loro rapporti col Negus) non più vincolate da riguardi internazionali, spiegarono tutta la loro, attività per crearsi interessi in Etiopia.

Nel novembre del 1896 la Francia ebbe la concessione ferroviaria Gibuti-Dirè Daua­Addis Abeba,[1] concluse poi un trattato con Menelick per fa delimitazione del suo protettorato sulla costa Somala, e sotto la guida del francese Chefneux molti privati ebbero importanti concessioni di miniere e di territori.

L’ Inghilterra a sua volta nel 1897 concludeva un trattato di amicizia e commercio con l’Etiopia, regolava la sua frontiera verso l’Harrar, addiveniva ad un accordo per il regime delle acque del Nilo Azzurro e per le opere di sbarramento del lago Tzana, otteneva una stazione commerciale ad Itang in piena Etiopia e la facoltà di costruire attraverso l’Abissinia una ferrovia che unisca il Sudan all’Uganda.

Non contenta di ciò nel 1904 otteneva pure di costruire altra ferrovia che dal Somaliland (Zeila) andasse, sempre attraverso l’Abissinia, al Sudan.

E al pari della Francia ebbe importanti concessioni per ricerche minerarie quali quelle di Blundell del Sennaar Syndàcate, di Lane ed altre.

La Russia, assorbita dagli avvenimenti dell’estremo oriente, e per l’esito di essi, si può dire abbia oramai scarsa influenza in Etiopia.

La Germania per contro, col trattato di amicizia e commercio stipulato dall’ inviato germanico Dott. Rosen nel marzo 1905, ottenne patti commerciali più vantaggiosi di quelli delle altre potenze.

L’ influenza tedesca è andata negli ultimi tempi sempre aumentando. Il governo etiopico aveva scelto nel 1908 nella persona del Dott. Zintgraff funzionario tedesco, il consigliere europeo per l’organizzazione dei suoi Ministeri, e inoltre il Dott. Steinkuhler quale medico del Negus, ed il Dott. Paulow come precettore di Ligg Jasù. Però, in seguito ad incidenti svoltisi nel Ghebì (residenza imperiale) per un’accusa di avvelenamento del Negus lanciata dal Dott. Steinkuhler contro un partigiano della Taitù, egli, per volere di questa fu espulso dal territorio abissino malgrado le proteste del ministro Germanico in Addis Abeba. Anche il Dott. Zintgraff, non avendo potuto a causa della malattia del Negus portare a compimento la sua missione, fece poco dopo ritorno in Germania.

Sembra poi che 1’Austria abbia ora dato incarico ad alcuni sudditi austriaci, presentemente in Addis Abeba a scopo di caccia, di studiare la situazione economica del paese per vedere se gli interessi austriaci esigano l’installazione di una rappresentanza consolare in Addis Abeba.

 

  1. C) Convenzione Anglo-ltalo-francese. – Era da tempo comune e sentito l’interesse di Francia, Inghilterra e Italia di venire ad un accordo per mantenere intatta la integrità dell’Etiopia, di prevenire qualsiasi perturbamento nelle condizioni politiche dell’impero e di provvedere soprattutto a che dall’azione dei tre Stati nel proteggere i loro rispettivi interessi nei possedimenti confinanti con l’Etiopia, non ne risultassero danni reciproci.

Su tali basi si addivenne il 13 dicembre 1906 alla Convenzione anglo-italo-francese per l’Etiopia.

Comunicata la Convenzione, prima della firma dei contraenti, all’imperatore Menelick, egli così rispose per lettera, ai rappresentanti delle tre potenze:

«Mi è pervenuta la Convenzione delle tre potenze; io le ringrazio di avermela partecipata, e della loro volontà di consolidare e di mantenere l’indipendenza del nostro Regno. Ma questa attuale convenzione è sottoposta al nostro potere sovrano, e sia noto che essa non ci vincola in nessuna vostra parola».

 

  1. Gli avvenimenti nel Tigré

dal 1896 alla morte dei Ras Maconnen e Mangascià.

 

Rivolta di Ras Mangascià nel 1898. – Cessate nel 1896 le ostilità tra l’Italia e l’Etiopia, Ras Mangascià cominciò quasi subito a riprendere la sua abitudine di rivale del Negus e di aspirante all’impero.

Il Ras, dopo la guerra aspirava ad essere fatto Re del Tigrè e ad aggregarsi le provincie del Tembien, Semien e Lasta.

Menelick invece, diffidando, mentre fece grandi regali di armi agli altri capi, si limitò a corrispondere a Mangascià un compenso di circa 60.000 talleri.

Da ciò grave malcontento del il quale sul finire del 1898 si mise in aperta rivolta contro l’autorità del Negus.

Menelick nominò allora governatore del Tigrè Ras Maconnen che alla testa di oltre 40.000 fucili mosse contro il Ras spodestato.

Mentre al confine tigrino incalzavano gli eventi Menelick aveva posto il proprio campo a Borumieda per dominare da un punto centrale lo svolgersi degli avvenimenti che turbavano il suo impero.

Ras Maconnen col nucleo principale del corpo di spedizione costituito dagli Amhara marciò direttamente verso il Tigrè per le vie di Magdala, Kobho, Ascianghi.

Una piccola colonna di circa 5.000 fucili al comando di Ras Oliè e Ras Gubsa si avviò per Sokota verso Adua e Axsun.

Maconnen senza incontrare alcuna resistenza alla forte posizione di Amba-Alagi, giunse a Macallè.

Le discordie dei capi tigrini e la loro scarsa fedeltà decisero dell’esito.

Il Degiac Agos Tafarì venne a contesa con Ras Sebath il quale ostentava la sua devozione a Ras Mangascià.

Sebath tentò allora colle sue forze preponderanti di accerchiarlo, ma il Degiac coi suoio pochi fucili riuscì a sfuggirgli passando al campo di Maconnen che in compenso lo nominò capo dell’Agamè in luogo di Ras Sebath.

Fatti d’armi di rilievo non vi furono; bensì piccoli ed insignificanti scontri fra Amhara e Tigrini.

Mangascià alfine, mal secondato e in gran parte abbandonato dai suoi, venne ad una resa quasi incondizionata presentandosi nel febbraio del 1899 al campo di Menelick in Borumeida dove insieme a Ras Sebath fece colla pietra al collo, secondo il costume abissino, atto di completa sottomissione all’imperatore.

Fu lasciato provvisoriamente al Governo del Tigrè il Degiac Abatè quale rappresentante di Maconnen il quale raggiunse Menelick in Borumieda, dove, in presenza dei capi principali riuniti, Ras Sebath fu convinto di doppio tradimento.

Risultò infatti che, stipendiato dal Negus, egli aveva promesso con lettere di consegnargli Ras Mangascià appena l’esercito guidato da Maconnen fosse giunto ad Amba Alagi. All’ultimo momento invece aveva posto per condizione al tradimento di avere egli il governo del Tigrè in sostituzione di Mangascià.

Ras Sebath fu relegato sull’Amba di Magdala, mentre Ras Mangascià, trattato dal Negus con ogni riguardo, dovette seguirlo in Addis Abeba.

Ras Maconnen ritornò in tigrè verso la fine del 1899 ma ne tenne per poco tempo il governo.

Ammalato, stanco dal dover continuamente reprimere le rivolte dei capi dipendenti ottenne dal Negus di ritornare all’Harrar.

Lo sostituì quale Governatore del Tigrè, Ras Oliè fratello della Itteghiè Taitù, buon soldato ma assai mediocre uomo politico. Il Ras aveva circa 10.000 fucili compresi quelli di Uag Scium Guangul, capo del Lasta che ebbe ordine dal Negus di unirsi al Ras e di rimanere con lui sino a quando la provincia fosse pacificata.

 

Operazione compiuta dalle truppe italiane in Agamè (Anno 1901). – Le rivolte dei capi malgrado gli sforzi fatti da Has Oliè per pacificare il paese continuarono senza tregua obbligando il Negus ad ordinare energiche repressioni.

Nell’agosto dell’anno 1901 il Degiac Agos Tafari che, come si è detto, fu lasciato dal Negus a capo dell’Agamè in luogo dello spodestato Sebath, ordinò o quanto meno non impedì alle sue genti di compiere una ingente razzia di bestiame in danno della tribù degli Omartù (piano di Hazamò) da noi dipendente.

Il Governo della colonia per mezzo del nostro rappresentante in Addis Abeba ne mosse lagnanza a Menelick che in tutto questo periodo di tempo aveva mantenuto sempre con noi le relazioni più cordiali di amicizia.

Il Negus autorizzò infatti la punizione del Degiac colpevole.

Il 22 settembre del 1901 il comandante delle nostre truppe colonnello Trombi, alla testa di circa 2.000 uomini, passò la frontiera nei pressi di Guna-Guna e dopo aver brevemente sostato a Focadà giunse in Adigrat, residenza del Degiac, senza incontrare resistenza alcuna.

Non avendo voluto Agos Tafarì accettare un convegno, come aveva promesso, nè dare alcuna soddisfazione per la razzia da noi patita, il comandante delle truppe fece incendiare le case sue e dei suoi sotto capi, ripassando la frontiera a Guna-Guna il 26 dello stesso mese.

Fu lasciato un battaglione a Barachit a tutela contro eventuali incursioni e rappresaglie del Degiac.

Agos Tafarì in seguito ai nostri reclami fu imprigionato dal Negus e al governo dell’Agamè fu posto Degiac Desta figlio di Ras Sebath.

Anche Ras Oliè fu richiamato poco tempo dopo nelle sue provincie (Jeggiù e Uadelà) e gli succedette al comando del Tigrè il Degiac Garasellasè.

 

Sanguinose lotte nel Tigrè nell’anno 1903. – Approfittando dell’assenza del Garasellasè, che dovè recarsi nello Scioa per sposare una parente dell’imperatore, nel dicembre del 1903 il Tigrè settentrionale fu di nuovo in fiamme a causa dell’apparirvi di due grandi ribelli: Degiac Sejum figlio di ras Mangascià e Degiac Gubsa suo cugino.

Nel Degiac Sejum, giovane ardito e valoroso, si rispecchiano le migliori virtù della razza tigrina.

Fanciullo ancora, seguì il padre in tutte le guerre ma lo abbandonò quando questi, stanco degli insuccessi, chiese perdono al Negus ed accettò l’esilio.

Da allora, il giovane Degiac, tenne sempre la campagna combattendo continuamente per la conquista del trono dei suoi padri quale rappresentante del legittimismo e del partito nazionale del Tigrè.

Suo cugino Degiac Gubsa, anch’egli giovane guerriero, è il figlio di Ras Area Sellasiè fratello maggiore di Mangascià.

I due ribelli disponevano solo di circa 3.000 fucili ma intorno a loro accorsero i malcontenti, gli irrequieti e gli opportunisti che formano la massa della popolazione del Tigrè.

Dopo alcuni scontri fortunati, che accrebbero loro il favore popolare, si divisero in due colonne : Degiac Sejum marciò su Axum dove si erano rinchiusi circa mille Scioani; e Gubsa su Adua che potè occupare senza colpo ferire.

Adua, la città patriottica, accolse il nipote del Negus Johannes con entusiasmo indescrivibile; per tre giorni si fecero feste ed il “tecc” e la “sua”[2] corsero a fiumi.

Mentre Degiac Sejum manteneva l’assedio intorno ad Axum, Degiac Gubsa si dava ai trionfi della vittoria in Adua, tripudi che furono per lui gli ozi di Capua.

Difatti gli Scioani approfittando di tale inerzia marciarouo su Adua e Degiac Gubsa fu costretto ad abbandonare coi suoi la città accampandosi però in forte posizione vicina.

Gli Scioani vennero accolti in Adua da un silenzio ostile: la città fu saccheggiata per punire i ribelli e furono commessi atti d’inaudita barbarie.

Gli Scioani, lasciato un forte presidio ad Adua, tentarono poi di liberare Axum, ma sopraggiunta la festa del Mascal (festa della croce) le ostilità furono sospese.

Pochi mesi dopo tornò dallo Scioa Garasellasè e Dcgiac Sejum fece atto di sottomissione ricevendo, oltre il perdono dell’imperatore, anche il governo di una provincia del Tigrè.

Anche il Degiac Gubsa fece mostra di sottomettersi, ma all’ordine di Menelick di recarsi allo Scioa per implorare il perdono rispose dandosi nuovameute alla campagna coi suoi segnaci.

Il Degiac Garasellasè spiegò subito una energica azione contro i ribelli riuscendo in breve ad averne ragione.

 

Omaggio del capo del Tigrè al Governatore dell’Eritrea. – Pacificato il Tigrè Degiac Garasellasè chiese ed ottenne dal Negus l’autorizzazione di recarsi nella Colonia Eritrea per ossequiarvi il Governatore, e in tale occasione fu incaricato altresì di definire alcune questioni secondarie circa il nostro confine Mareb-Belesa-Muna.

Il fatto ebbe importanza di avvenimento politico (Gennaio 1901) non tanto pei vantaggi materiali da noi ricevuti quanto per il valore morale della visita: era infatti la prima volta che il Governatore della regione, la quale per la maggior vicinanza ai nostri territori e per la più temibile turbolenza degli abitanti è per noi di maggiore interesse, faceva in territorio italiano, atto di ossequio al nostro Governo.

 

Morte dei Ras Maconnen e Mangascià. – Nel marzo dell’anno 1906 giungeva dall’Harrar la notizia della morte di Ras Maconnen.

Con lui scompariva la personalità più importante dopo l’imperatore, non solo perché era governatore di una delle più grandi provincie ma anche per l’influenza personale che godeva in tutta l’Abissinia. Il suo grado, le aspirazioni, che in Etiopia gli si attribuivano, alla successione di Mene1ick, la sua grande autorità personale fecero sì che per lungo tempo fosse stato tenuto in sospetto dalla corte scioana.

Si dovette a ciò il suo trasferimento dall’Harras in Tigrè dove la sua influenza era molto minore e dove egli si sentiva spostato.

E nemmeno quando fu richiamato all’Harrar il Ras si tenne perfettamente sicuro del favore imperiale.

La sua morte non cangiò tuttavia l’ordine di successione, avendo già Menelick designato quale suo erede al trono il giovane nipote Ligg-Jasù.

Pochi mesi dopo morì in Ancober (Scioa) anche Ras Mangascià: sorsero dubbi che la sua morte non fosse naturale.

 

 

III. – Gli ultimi avvenimenti interni dell’ Etiopia.

 

Creazione di un Ministero Etiopico. – Sul principio del 1908 le condizioni di salute del Negus cominciarono a declinare ed egli, presentendo la sua futura debolezza e convinto della necessità di istituire in Abissinia un organismo di governo che potesse coadiuvarlo nel disbrigo degli affari dello Stato, costituì il primo Ministero Etiopico modellandolo sui Ministeri Europei.

Nel primo periodo di tale creazione, quando cioè l’imperatore era ancora in grado di prendere parte attiva e personale agli affari dello Stato, l’importanza del Ministero rimase pressocchè nulla, specialmente nei rapporti fra l’Etiopia e le nazioni Europee, giacchè Menelick, quale sovrano assoluto, si riservava il diritto di discutere e decidere egli stesso coi rappresentanti delle nazioni accreditate presso di lui tutte le questioni che lo riguardavano. Egli ascoltava bensì il consiglio dei Ras e dei capi di sua fiducia, ma rimaneva pur sempre il vero autocrate d’Etiopia, ed i Ministri da lui nominati, privi di reale responsabilità e di autorità, erano soltanto gli esecutori dei suoi ordini.

 

Malattia del Negus. – Nel Gennaio dell’anno 1909, Menelick, per consiglio dei medici indigeni (Akim) e stregoni – che l’imperatrice, poco fiduciosa della scienza europea, gli ha tenuto sempre intorno – erasi recato a Debra-Libanos, ov’è una sorgente d’acqua alla quale gl’indigeni attribuiscono virtù miracolose.

Ad Addis Abeba era rimasto tutto il corpo diplomatico, ed in assenza del Negus, aveva assunto il governo di ogni pubblica cosa il Fitauari Apteghorghis, ministro della Guerra.

A Debra-Libanos, nei pressi della sorgente, fu eretta la grande tenda bianca del Negus, che circondato da migliaia di soldati agli ordini dei Ras e capi più ben voluti, era personalmente e rigorosamente vigilato dalla imperatrice Taitù, dai preti e stregoni che pensavano di guarirlo con esorcismi e pratiche empiriche.

È facile comprendere come con un tale metodo di cura, la salute già assai scossa del Negus, precipitasse in peggio.

Si svolgeva intanto uno degli episodi più caratteristici di questa fine di regno.

Di fianco al Negus le cui forze ogni giorno svanivano, la cui intelligenza sempre più si ottenebrava, prendeva posizione e dominio l’imperatrice, notoriamente avversa alla designazione fatta da Menelick di Ligg Jasù, figlio di suo genero Ras Micael, quale successore al trono d’Etiopia.

Dal Kaffa e dal Gimma accorrevano i soldati di Ras Uohleghorghis scaltro e simulatore, continuamente ondeggiante fra il partito fedele all’imperatore e che riconosce in Ligg Jasù il di lui successore, ed il partito devoto all’imperatrice.

Accorrevano dal Sohat e dal Baro gli uomini di Has Tesamma, il più fiero, il più valido, il più fedele sostenitore dell’erede prescelto da Menelick, la più simpatica per quanto selvaggia figura di questi capi etiopici, di un coraggio a tutta prova e di una fedeltà al suo imperatore che merita ogni rispetto.

Accorrevano dal nord le genti di Ras Gubsa e di Uoizerò Zanditù, la coppia prescelta dall’imperatrice per contrastare la corona a Ligg Jasù, egli figlio di Ras Oliè, ella figlia del Negus; figura imbelle e corrotta quella del Ras, più intelligente, scaltra ma egualmente corrotta, quella di Uoizorò Zauditù.

Accorrevano pure da tutte le parti dell’impero i capi minori ad incalzare le file dei partiti ancora incerti, pronti tutti ad affermare di fronte all’anarchia scioana l’indipendenza e forse la egomonia del Tigri.

E anche dall’Uollo, Ras Micael si accingeva a scendere allo Scioa per sostenere con la sua presenza e coi suoi fucili la successione del figlio.

Le notizie più disparate correvano intanto ad Addis Abeba, una grande preoccupazione regnava in tutti gli animi, ed un sordo fermento serpeggiava minaccioso nei più torbidi e bassi strati della popolazione indigena della capitale.

Queste apprensioni crebbero per la improvvisa partenza per Debra Libanos di Fitaurari Aptegorghis, presidente del Consiglio, ministro della guerra e della giustizia e comandante la maggior parte delle truppe di Menelick.

Si credette imminente la catastrofe; si era anzi diffusa la voce che il Negus fosse già morto; che la guerra civile stesse per scoppiare specialmente ad opera della Taitù, di Ras Oliè e dei capi tigrini.

Anche nelle più lontane provincie Galla si manifestavano sintomi di rivolta.

Per fortuna un miglioramento notevole prodottosi nella salute di Menelick ne permise il trasporto alla capitale ove giunse preceduto dal Ministro della guerra Aptegorghis e delle sue truppe.

L’arrivo dell’imperatore dissipò le preoccupazioni che avevano mantenute inquiete le popolazioni e pel momento la calma ritornò sull’orizzonte etiopico.

 

Proclamazione di Ligg Jasù. – Come già fu accennato, il Negus Menelick non aveva mai celato l’intenzione di assicurare il trono alla sua famiglia e di nominare suo successore il solo erede maschio di più vicina parentela.

A che cosa tendesse l’intrigante Taitù a riguardo della successione allo impero, non si può affermare, perchè essa ebbe sempre l’accortezza di non lasciar scorgere le sue mire. L’intricata questione fu risolta alla metà di maggio 1909: fu accontentato il Negus assegnando la successione al giovanetto Iasù, figlio di una sua figlia e di Ras Micael dei Uollo Galla; ed altresì l’Imperatrice facendo sposa del preconizzato erede la nipote di lei Homana Uorch, figlia di Uoizerò Cafeià e di Ras Mangascià Iohannes.

 

Modificazioni all’assetto territoriale dell’Etiopia settentrionale. – Risolta colla designazione di Ligg Iasù la questione della successione al trono, il governo etiopico per inspirazione dell’Imperatrice Taitù – nelle cui mani a causa delle sempre peggiori condizioni di salute del Negus, si era ormai accentrato il potere imperiale – ritenne necessario modificare l’assetto di taluni grandi comandi territoriali[3].

Interessava alla sovrana di allontanare dal potere o quanto meno ridurre al minimo la potenza dei capi appartenenti al parentado o al partito dell’imperatore, e di sostituirli con persone di sua famiglia o a lei devote; e ciò specialmente nel Tigrai sia perchè le maggiori opposizioni all’unità Etiopica pervennero sempre da questa regione, sia perchè due dei capi Tigrini, il Degiac Sejum e il Degiac Abrahà, potevano accampare eventuali diritti al dominio d’Etiopia, aspirazioni infatti che il Degiac Abrahà, spirito evoluto ed ardente, malamente celava.

Il settentrione d’Etiopia al principio del 1909 era ancora assegnato come Menelick aveva da più anni disposto e cioè: (Vedi Schizzo N. 2).

 

  1. A) TIGRÈ : diviso in 3 parti, ciascuna direttamente dipendente dall’Imperatore:

 

1° Agamè -Territorio di Adua (Tigrai propriamente detto)                                                       Al degiasmac

Territorio di Axum (detto Enda Mariam)                                                                  Garasellassè Bariagaber

 

2° – Scirè, Tembien, Averghellè, al degiasmac Sejum, figlio di Ras Mangascià.

 

3° – Haramat, Gheraltà, Ghelte, Aulalò Endertà (capoluogo Macallè)                                     Degiasmac

Bora, Seloà, Enda Meconni, Uoggerat, Hazebò Galla, Taltal (una parte)                         Abrahà Areià

 

 

  1. B) UAGH: tutto alla dipendenza del Uaghscium Guangul Zegheiè.

 

  1. C) LEGGIÙ: tutto alla dipendenza del vecchio Ras Oliè, fratello dell’Imperatrice. Il governo etiopico determinò di riunire l’Uagh ed il Tigrè e di investire di questo nuovo e vasto comando il Degiasmac Abatè di buona famiglia, scioano, persona fidatissima dell’imperatrice.

L’Abatè ha fama di astuto e valoroso condottiero. Prese parte a varie spedizioni e battaglie; nel 1896 fu a Macallè e Adua, nel 1898 seguì Ras Maconnen in Tigrè e fu allora che i tigrini lo conobbero, serbando poi pessimo ricordo di lui.

Al disopra di Abatè fu posto Ras Oliè colle funzioni sovrane dell’appello supremo nelle questioni di giustizia.

 

Abatè come capo dell’Uagh, assunse il titolo di Uaghseium, titolo che nella gerarchia dei gradi etrìiopici è molto prossimo a quello di ras.

Il Uaghseium Guangul Zegheiè che comandava il Uagh prima dell’Abaè fu destituito e trattenuto in Addis Abeba.

I tre capi del Tigrè, i degiasmac Garasellassè, Abrahà e Seium fino allora indipendenti – cioè dipendenti dal solo Negus, chiamati ad Addis Abeba, dovettero acconciarsi per dipendere dall’Abatè e ne furono assai malcontenti.

Al Garasellassè furono tolti l’Agamè ed Axum; il primo fu assegnato a ras Sebhat, rimandato in patria dopo 11 anni di relegazione allo Scioa; il secondo fu dato ad Abrahà per compensarlo della perdita di talune regioni (Uoggerat, Borà, Seloà, Hazebò gialla) passate alla diretta dipendenza di Abatè.

Il degiac Garasellassè fu trattenuto allo Scioa, certamente per volere dell’Imperatrice che gli serba rancore per avere quegli vinto in giudizio e fatto imprigionare il nipote di lei, degiac Ghessesè del Semien. La caduta del Garasellasse suscito molti commenti in Etiopia e corse diffusa la voce che il degiac dovesse la sua disgrazia alle sue troppe amichevoli relazioni con l’Eritrea. La verità è che il Garasellassè è creatura di Menelik e, come tale, non corrispondeva alle vedute della intrigante sovrana.

Anche degiac Abrahà cadde in disgrazia e corse pericolo di essere destituito ed imprigionato e per ragione, si disse, di amministrazione interna delle regioni affidategli; ma forse anche a lui nocque l’essere creatura di Menelik. Grazie alla protezione di ras Micael del quale ha sposato una nipote (Uoizerò Tamagnù) l’Abrahà riuscì a stento a ritornare in Tigre; ma molto diminuito moralmente e materialmente. Gli venivano tolti i proventi delle dogane sul sale e le regioni già dette, e in compenso aveva Axum, ma non poteva contentarsene: era stato offeso e meditava vendetta.

Il solo Degiac Sejum – fratello della futura Imperatrice riuscì a ritornare in Tigrè senza danno, salvo quello di dover dipendere dall’Abatè mentre prima dipendeva solamente dall’Imperatore.

L’Imperatrice, accecata d’ambizione, si era così inimicati capi abbastanza importanti, aveva turbato fiere popolazioni e dimostrato chiaramente il suo recondito pensiero di liberarsi dalle persone indubitatamente più attaccate al Negus agonizzante.

 

La ribellione di Degiasmac Abraha. – II governo. Etiopico, malgrado fosse già inoltrata la stagione delle piogge, ordino ai capi del Tigre di partire col nuovo Uagh Sejum, eccettuato degiac Garasellassè che fu trattenuto in Addis Abeba.

L’Abatè avrebbe dovuto partire con un grosso corpo di truppa (si disse ottomila uomini), ma gran parte dei soldati rifiutarono di seguirlo ed a stento verso la metà di luglio 1909 riuscì a partire con poco più di duemila uomini, un cannone ed una mitragliatrice.

Le piogge sono al loro massimo, il paese è tutto un pantano, infetto e pericoloso, i viveri scarseggiano perchè il vecchio raccolto è consumato, il nuovo è in erba.

La marcia di Abate è lenta e difficile: i tre capi tigrini lo sorpassano in velocità e lo precedono.

Fin dai primi di luglio l’Abatè aveva mandato suoi incaricati, a prendere possesso delle nuove regioni.

Se non che ras Oliè sorse a pretendere gli Hazebò-galla, asserendo che tale regione eragli stata assegnata dal governo etiopico. Al posto di dogana di Oercer, in Hazebò, era il giovane fitaurari Areià il quale riteneva di dover consegnare il posto alla gente di Abatè. Il 16 lug1io avvenne un conflitto fra l’Areià e un capo inviato da ras Oliè: gli uomini di quest’ultimo ebbero la peggio perdendo 45 morti e 67 feriti.

Il Cercer però passò a ras Oliè e le rimanenti parti degli Hazebò furono divise tra il ras e l’Abatè: ma la divisione fu causa di continue contese.

Per poco non scoppiò pure altro conflitto tra la gente di Abrahà e quella del ras  Oliè per il possesso di Elemiè negli Hazebò-Galla che il degiac aveva fatto riabitare l’anno prima e che perciò doveva a lui rimanere.

Il Barambaras Uoldetsiadig, delegato di Abatè, intimò ai primi di agosto al fratello di Abrahà, degiac Redda, di cedere il Uoggerat, ma degiac Abrahà da Dessièv telefonicamente ordinò di nulla cedere.

 

Uaghscium Abatè continuava intanto ad avanzare lentamente giungendo a Dessiè nei primi giorni di settembre, mentre lo Abrahà aveva lasciato questo paese fin dal 17 agosto; dopo esservisi fermato per 17 giorni, ciò che diede sospetto d’intese segrete col suocero ras Micael.

Durante il viaggio si acuirono i dissapori, già cominciati in Addis Abeba, tra ras Sebath e degiac Abrahà.

Prima della partenza avevano già avuto un alterco scambiandosi vivaci insulti reciproci; Sebath aveva chiamato il degiac “basci buzuc” e questi aveva risposto dandogli del “traditore, spergiuro”.

Sebath non aveva dunque molto da illudersi sul ricevimento che gli l’avversario.

 

Non appena degiac Abrahà rientrò in Macallè (9 settembre), si diffuse subito la voce della sua ribellione, accreditata dal suo contegno. Non congedò egli infatti i capi ed armati che si erano riuniti per riceverlo, tenne lunghi conciliaboli con i più fidati, cercò di avere aiuti dai paesani dell’Enderta e degli altri distretti prossimi a Macallè.

Nella prima quindicina di settembre Uaghsium Abatè trovavasi nei pressi di Dessiè.

Degiac Sejum, partito da Dessiè, proseguiva rapidamente per Tembiem.

Ras Sebath l’11 settembre giunse a Corèm[4] dove prudentemente stimò di fermarsi.

Correva intanto insistente la voce che Abatè e Sjum agissero d’intesa; attivissimo era lo scambio di messi fra i due degiac; il 24 settembre partì da Macallè il vecchio cagnasmac Camberhatù – l’alter ero di Abrahà – diretto con missione segreta.

Tutte le vie a sud di Macallè erano fatte sorvegliare da Abrahà.

Il 27 settembre festa del Mascal[5] Abrahà passò con ostentazione la rivista delle sue truppe – forse quattromila uomini – lanciando il suo bando di guerra: Non sono ribelle dell’Imperatore. Mi reco a combattere degiac Abatè che affama e dissangua il paese dei miei padri.

Tutte le notizie degli atti e movimenti di degiac Abrahà erano fedelmente riferiti tanto ad Abatè quanto in Addis Abeba da Ato Uoldemicael capo dei telefonisti del Negus in Macallè, non avendo provveduto il ribelle degiac a tagliare le comunicazioni telegrafiche col sud se non negli ultimi momenti prima della partenza delle truppe, Ed il Negus, avuta la certezza della ribellione di Abrahà, ordinò accorressero in Tigrai le truppe del Beghemeder, del Jeggiù, del Semien e dei Uollò Galla, coll’ordine andate e distruggete. Fortunatamente la notizia della battaglia di Corèm arrestò una levata di scudi contro il Tigrai.

Soltanto Ras Oliè mosse, a malavoglia, in soccorso di Abatè.

Il 28 settembre degiac Abrahà iniziò il movimento delle sue truppe che continuò il 29; ed il 20, a mezzodì, partì lo stesso Abrahà. Egli aveva a sua disposizione circa 4.000 armati di fucili Grass e Wetterlì, con poche munizioni, 15-20 per armato, ed una mitragliatrice Gardner.

Il 4 ottobre Abatè raggiunse Corèm, ove, come si è detto, già trovavasi ras Sebath, e vi sostò.

Al movimento del ribelle si tennero presso che estranei i paesani dell’Enderta e degli altri distretti prossimi a Macallè per timore di rappresaglie da parte del Negus.

Il degiac faceva invece assegnamento sull’appoggio dei paesani del Uoggerat, del Bora, degli Hazebè Galla e dello Uagh che non soltanto gli avevano promesso aiuto, ma lo avevano spinto a prendere le armi.

Ma, all’atto pratico, con fede Etiopica, non corrisposero menomamente all’aspettativa del Degiac che si trovò così con le sole sue truppe, anzi gli Hazebo furono più tardi spietati inseguitori dei Tigrini in rotta dal campo di battaglia.

Il Degiac aveva anche tentato una conciliazione con Tigrè Maconnen[6] Aberrà Tessamma che fu sempre incorreggibile ribelle sotto l’Abrahà perché questi non gli accordava il comando dell’Enda Mehonni.

Ma non vi era riuscito: l’astuto Ras Sebath, in previsione degli eventi e sapendo di quale utilità poteva essere l’impenitente ribelle, se ne era assicurata la cooperazione promettendogli a nome di Abatè il comando di Enda Mehonni e dell’Uoggerat.

Il Tigrè Maconnen aveva 500 armati, arditi e valorosi paesani, conoscitori dei luoghi e briganti per mestiere.

Uaghscium Abatè disponeva di quasi 4.000 uomini, di due mitragliere e di un cannone; faceva inoltre affidamento sulla gente del paese e sui soccorsi che dovevano, per ordine del Negus, venirgli dai capi più vicini.

E mai non si apponeva; difatti sul campo di battaglia le sue forze raggiunsero i 6.000 uomini; computando 1.500 paesani dello Uagh al comando di Degiac Tesamma di Corèm, 500 di Fitaurari Abuiè, 3 o 400 di Ras Sebath ed altrettanti di Tigrè Maconnen Aberrà.

La qualità dei soldati era poco diversa: i Tigrini sono più valorosi e resistenti in combattimento; gli Amhara e gli Scioani più obbedienti e, lontani dai loro paesi e circondati da nemici implacabili, erano obbligati a difendersi fino agli estremi per evitare sorte peggiore. Erano quasi tutti armati di fucili Gras in buone condizioni e provvisti abbondantemente di cartucce (30-40 a testa).

Il Uaghscium Abatè, sempre fermo in Corèm, aveva ricevuto ordini tassativi dal Negus di non abbandonare le posizioni che vi occupava in attesa di rinforzi.

Egli approfittò dell’attesa per predisporvisi a difesa colla costruzione di una trincea di zolle e sassi – lunga due chilometri ed alta centimetri 60 – sul probabile fronte di attacco, e di un trinceramento di sassi sul rovescio della posizione per coprire le riserve e le artiglierie.

Il chitet di Adua si raccoglieva intanto per muovergli incontro; e pure, lentamente muovevano i capi inviati in suo soccorso.

Degiac Sejum, pur temporeggiando, partiva dal Tembiem dichiarando di andare in aiuto dell’Abatè; procedeva però con marcia lentissima per guadagnare tempo ed avere all’ultimo momento, libera l’azione di schierarsi dalla parte del più forte. Ras Oliè si avvicinava a Corèm col suo esercito facendosi precedere da circa 500 uomini comandati da fitaurari Abuiè.

Il giorno 1 e 2 ottobre, presso Amba Alagi, ebbe luogo uno scontro tra il fitaurari Desta sottocapo di Abrahà e Tigrè Maconnen che, circondato da forze superiori riuscì a sfuggire dandosi a molestare le retroguardie e gli sbandati dell’avversario.

Il 4 attaccò un gruppo di ritardatari uccidendo una trentina di uomini insieme col degiac Cassa che li comandava.

L’attitudine del Tigrè Maconnen influì sui paesani del Uoggerat e dell’Enda Mehonni sui quali Abrahà faceva assegnamento; e, quando con sorpresa se li vide nemici tentò di rimediare facendo un nuovo e disperato appello ai paesani dell’Enderta; ma essi risposero scarsamente; cosicchè, in definit, egli si trovò con le sole sue forze con le quali il giovedì 7 ottobre giunse ad Ascianghi.

Il giorno successivo si trasferì ad Adi-Agafarì, ad un’ora e mezzo dal campo precedente; di fronte ed a circa 4 chilometri dal campo di Uaghscium Abatè.

Il campo probabile di battaglia si presenta come una vasta conca, quasi affatto pianeggiante, di forma ellittica, coll’asse maggiore nella direzione Nord-Sud, che è pure seguita dalla direttrice di marcia dello Attaccante.

Il difensore ha sbarrato la pianura secondo l’asse minore, e più presso al fuoco meridionale della ellisse, col trinceramento innanzi descritto.

La conca o pianura porta il nome di Uoflà. È cinta da monti della caratteristica forma di ambe, che, più aspre nelle sezioni orientale ed occidentale, quasi cortine che riuniscono due successive ed importanti linee di difesa. Sulla cortina orientale, alquanto arretrata, sta l’abitato di Corèn.

La cintura meridionale scende sul piano a terrazzi, e da questi si dipartono sproni che vanno a morire nella pianura.

Due di questi speroni meritano speciale nota: sulla dorsale del più arretrato è il gruppo abitato di Aussebà, costituito da poche case in muro a secco; lo sperone più avanzato ed orientale, si spiana in sommità e forma un largo belvedere sulla sottostante pianura.

Il Uaghscium era accampato nel piano, al piede settentrionale di tali speroni. Come si è detto era coperto dalla trincea attraversante il piano, e sul pendio di uno degli speroni aveva costruito il trinceramento per le sue riserve e le artiglierie.

Il ripiano terminale dello sperone orientale era occupato dal campo di degiac Tesammà coi 1.500 suoi indecisi uomini del Uagh e di Corèm. Più a sud, sul dorso dello stesso sperone, accampava ras Sebath dello Agamè.

Degiac Abrahà teneva campo sulla sezione settentrionale della cintura del piano di Uoflà, ma nel versante dello Ascianghi; le sue vedette quindi, se ne aveva, potevano spire sul campo avversario.

Nella giornata dell’8 l’Uaghscium tentò una conciliazione: scrisse all’Abrahà scongiurandolo in nome della Trinità a non spargere sangue cristiano ed offrendosi di intercedere presso il Negus per fargli concedere quanto avesse domandato. Abrahà fingendo di accettare le trattative rispose che gli fossero concesse le stesse facoltà di governo di Garasellasè, Sejum e Abatè. Il Negus e l’Imperatrice, alle ore 20 dello stesso giorno, risposero che erano disposti ad accontentarlo, ma che, stante l’ora tarda, rimandavano ogni decisione all’indomani, Contemporaneamente giungeva all’Abatè altro telegramma del Negus, caratteristico, così concepito: “Degiac Abrahà ti ha chiesto pace, segno evidente che ti vuole attaccare questa notte. Stai bene attento”.

 

La battaglia di Corèm 9 ottobre 1909 (Vedi Schizzo N. 3). – Nella notte dall’8 al 9 il Degiac Abrahà, malgrado le trattative di accordo in corso, concepì l’ardito piano di attaccare l’Uaghscium Abatè da tergo.

Lasciate ritte le tende del suo accampamento per trarre in inganno il nemico, girò ad occidente la posizione avversaria e, con celere marcia, alle 5 del mattino del 9 ottobre riuscì alle spalle di Abatè. Però Tigrè Maconnen Aberrà, che sorvegliava il campo tigrino, accortosi della mossa, era giunto a mezza-notte al campo di Abatè per prevenirlo.

Dopo una sosta di mezz’ora, all’alba, Abrahà mosse all’attacco.

Alle spalle di Abatè, a breve distanza, era il minuscolo villaggio di Aussebà su una collina che dominava di qualche metro la posizione di Abatè. Ivi Abrahà era riuscito ad appostare un piccolo distaccamento; celato tra le case del villaggio.

Grande fu la sorpresa del Uaghscium nel sentire la fucileria nemica alle spalle mentre egli si attendeva un attacco di fronte, e per un po’ anzi ritenne fosse un inganno; poi il suono dei negarit di Abrahà lo trasse di incertezza e lo costrinse a mutar fronte sollecitamente. Accortosi del distaccamento nemico che lo tempestava di colpi dal villaggio di Aussebà lo attaccò animosamente, all’arma bianca, impadronendosene malgrado forti perdite; ivi piazzò il cannone e la mitragliatrice dirigendone i colpi contro le truppe tigrini. Alla sua destra venne a schierarsi Tigrè Maconnen Aberrà con qualche gruppo di scioani.

Le prime truppe di Abrahà respinsero facilmente i primi distaccamenti nemici, ma dal lato ove egli era sbucato trovavasi il bagagliume del campo scioano. Una parte dei tigrini non potè trattenersi da darsi a predare fra le tende, il che non fu senza importanza per il risultato definitivo; giacchè Abrahà perdette in tal modo la possibilità di un’azione fulminea contro la posizione di Aussebà ove erasi portato Abatè, e decidere senz’altro la battaglia.

Ne seguì un’azione che, per essersi in molti punti trasformata in feroce zuffa, corpo a corpo, fu necessariamente molto confusa; certo si è però che gli scioani tennero la posizione meglio di quanto non si aspettassero.

Per una o due ore, la lotta durò indecisa e cominciò ad andare male per tigrini quando il vecchio e prode cagnasmac Cambelatù fu ucciso da una palla in fronte, mentre, già ferito, a pochi passi dal nemico, ristava dall’incuorare i suo all’assalto.

Mentre i tigrini erano così impegnati di fronte dagli scioani di Abatè ed a sinistra da Tigrè Maconnen Aberrà, degiac Tesammà di Corèm coi paesani dellUagh e ras Sebhat accorrevano ad occupare le pendici orientali della posizione sulla quale avveniva la lotta attaccando così i tigrini anche sul fianco destro.

I tigrini esaurirono presto le munizioni, in seguito allo spreco fattone in principio del combattimento; non avendone da rifornirsi, e vedendo la loro debolezza di fronte alla forza inaspettata del nemico, tentarono, con Abrahà alla testa, di dirigersi alle colline di Est per giungere poi al paese di Corèm. Ma in quel mentre comparve a sud della via di Martò il grasmac Dogò con 4 o 500 soldati di Ras Oliè, che attaccarono alle spalle Abrahà determinandone la sconfitta.

Molti tigrini tentarono di buttarsi verso S. E. per l’unica via che rimaneva loro aperta; ma ivi erano i Galla Hazebò che da lontano spiavano l’azione come avvoltoi la preda: si precipitarono sui vinti e ne fecero strage.

Alle 10 la battaglia era finita e Abatè ne telegrafava l’esito al Negus così: “In grazia vostra, io vostro soldato, ho avuto oggi un combattimento con Degiac Abrahà e l’ho punito”.

Degiac Abrahà fu fatto prigioniero sulla collina dove erasi posto sin dall’inizio dell’azione; molti dei suoi sottocapi furono fatti prigionieri presso la chiesa di Aialò-Mariam. In totale i tigrini ebbero circa 600 morti sul campo e non meno di altri due o trecento periti per mano dei galla nella ritirata, ed 800 prigionieri, quasi il 40% della forza totale.

Abatè ebbe un migliaio di morti, non compresi circa 300 uomini perduti da Ras Oliè, Ras Sebhat e paesani di Uagh; ebbe inoltre 7 od 800 feriti molti dei quali morirono nei primi giorni susseguent, quasi il 30% della sua forza. Abatè ed Abrahà, colla maggioranza dei loro sottocapi, presero parte all’azione vestiti come semplici soldati.

Non risulta che l’Uaghscium Abatè abbia spiegato molta azione direttiva la quale del resto, dato il carattere del combattimento, non sarebbe stato possibile.

 

Degiac Abrahà ed i suoi sottocapi, consegnati a Ras Oliè il 15 ottobre, furono tradotti ad Addis Abeba; un mese dopo la battaglia erano già giudicati e condannati a morti e la condanna commutata nella prigionia.

I soldati prigionieri invece furono, d’ordine del Negus, subito liberati.

L’azione del Degiac Sejum ed anche degli altri capi tigrini fu quella caratteristica degli abissini: temporeggiare e barcamenarsi per schierarsi poi dal lato del più forte: il Sejum giunse infatti a Corèm a cose finite.

Il Negus ebbe però a telegrafargli “che sarebbe stato meglio fosse giunto prima a Corèm” dandogli in pari tempo ordine di recarsi ad Addis Abeba.

L’affrettata preparazione dell’Abrahà influì sui mezzi che egli potè mettere in campo, e le solite defezioni ridussero ancora le sue forze.

Ad ogni modo la situazione del Degiac sarebbe stata sostenibile, se la primiera impulsività non si fosse trasformata poi in titubanza. “Tra sabato e domenica sarà tutto finito” aveva detto prima di partire da Macallè il giovedì 30 settembre; nel fatto però anziché marciare decisamente e celermente contro l’avversario perdette del tempo, dandogli tempo di apprestare le difese e di predisporre per i soccorsi.

Il ritardo fu dovuto alla resistenza oppostagli da Tigrè Maconnen ad Amba Alagi e dal non essere i paesani dell’Enderta e degli altri distretti prossimi a Macallè accorsi in suo aiuto come egli si attendeva.

Nei riguardi tattici meritano di essere notati lo spostamento dell’Abrahà ed il suo avvicinamento alle posizioni necessarie col favore della notte, l’attacco in massa all’albeggiare, l’abbandono da parte dei capi degli abissini un più esatto criterio dell’impiego e dell’efficacia del fucile.

È degno infine di considerazione il modo con cui tanto il Negus quanto i capi Etiopi, vinta ogni precedente ritrosia al riguardo, seppero far buon uso dei mezzi moderni per la pronta trasmissione degli ordini e delle informazioni relative alle operazioni guerresche servendosi delle linee telegrafiche e telefoniche.

 

Assetto territoriale dell’Etiopia settentrionale.

AL principio del 1910, la parte settentrionale dell’Etiopia aveva il seguente assetto:

{vedi schizzi N. 2 e 4) –

  1. a) Uaghscium Abatè, capo del Tigrè, dell’Uagh e di parte degli Hazebò Galla e del Taltal, come e qui appresso specificato:

 

1° Agamè                                                                                     Capo Ras Sebhat

2° Territori di Adua                                                                      »      Deg. Garasellasse

3° Territorlo di Acsum                                                                 »      Uaghscium Abate

4° Tembien, Scirè e Averghellè                                                  »      Deg. Sejim

5° Endertà, Chiltè Aulalò, Haramat, Gheraltà,

Borà, Seloà                           »      Uaghscium Abatè

6° Endà Meconni, Uoggerat                                                       »      Deg. Aberra Tesamma

 

UAGH

Capo Deg. Scibescì

 

HAZEBO GALLA

 

Distretti della parte settentrionale, e cioè:

Heivò, Tilluè, Uorrabaiè e Ghebbatiè.

TALTAL

Alcune parti dei Taltal tra l’altipiano tigrino e la Dancalia Eritrea.

 

  1. b) Ras Oliè: – Nel Jeggiù e parte meridionale degli Hazebò Galla.
  2. c) Ras Micael. – Nei Uollo Galla.
  3. d) Fitaurari Chidanemariam. – Semien.
  4. e) Ras Guksà Oliè. – Nel Beghemeder.

 

Esclusione della Taitù dal governo. – Un recente avvenimento ha però ora sostanzialmente modificato tale situazione.

I capi scioani avevano da tempo compreso come l’infeudarsi di quasi tutta l’Etiopia alla casa dell’Imperatrice, cioè a stirpe Amhara del Semien, avrebbe inevitabilmente portato alla fine dell’egemonia dello Scioa.

Il malcontento già latente fra i capi Scioani, si manifestò verso la fine del marzo 1910 in un pronunciamento contro l’Imperatrice.

Tutti i capi Scioani presenti ad Addis Abeba si presentarono allo Abuna (capo della religione) Mathios dichiarando di non volere oltre più sottostare al governo dispotico dell’Imperatrice e chiedendo che ne fossero annullati gli ultimi atti di governo diretti a togliere ogni autorità e prestigio ai capi dello Scioa nominati da Menelik.

In una nuova e solenne riunione i capi Scioani fecero poi prestare giuramento nelle mani dell’Abuna a Ras Tesamma, a Fitaurari Aptè Ghiorghis e agli altri componenti l’attuale Governo di escludere assolutamente ogni consiglio ed ingerenza dell’Imperatrice da qualsiasi atto di Governo. Decisero altresì che tutte le sostituzioni di comando avvenute in questo periodo di tempo nelle provincie per opera della Imperatrice fossero annullate e gli antichi capi reintegrati nel loro comando a seconda del loro diritto.

Le ultime notizie da Addis Abeba informano che con bando del 5 maggio corrente il Ras Uolde Ghiorghis è stato investito del comando supremo di tutte le provincie settentrionali d’Etiopia dal Beghemeder al confine eritreo. Oltre il comando supremo del Tigrè il Ras ha avuto come feudo personale, Dembea, Semien, e Beghemeder.

Al Degiac Nadò venne assegnato il governo degli Arussi e delle altre provincie confinanti col Benadir al posto di Degiac Balcia al quale venne dato il governo dei Sidama.

L’imperatrice avrebbe desiderato di abbandonare Addis Abeba ma fu invece costretta dai capi Scioani a rimanere nel Ghebì imperiale sotto la sorveglianza del governo.

Anche suo nipote Ras Guksa è guardato a vista essendo stato accusato di aver fatto assassinare un certo cagnasmacc Tesamma inviato dal governo Etiopico in Beghemeder per esortare quei capi a rimanere tranquilli e fedeli al governo.

 

Forze che l‘Etiopia presumibilmente potrà armare. – Secondo le ultime informazioni le forze dei vari capi abissini risulterebbero come qui appresso:

 

 

Sottocapi della casa imperiale delle provincie d’oltre Tacazzè che direttamente dipendono dalla Taitù e dal nipote suo Deg. Ghessesè                                                                                                             20.000

Ras Oliè (fratello della Taitù)                                                                                              20.000

Ras Guksa (nipote)                                                                                                                 15.000

Degiasmac Nadò (genero)                                                                                                   10.000

Harrar                                                                                                                                       42.000

Uagscium Abatè                                                                                                                     10.000

Ras Micael (padre di Ligg Jasù)                                                                                          35.000

Ras Tesamma (tutore)                                                                                                           50.000

Negadras Ailè Ghiorghis (Ministro degli Esteri)                                                             3.000

Fitaurari Aptè Ghiorghis (Ministro Guerra)                                                                   25.000

Ras Uold Ghiorghis                                                                                                               30.000

R.as Mangascia Atchim                                                                                                        5.000

Degiac Tafarì                                                                                                                             7.000

Degiac Lul Segghed                                                                                                                 5.000

Capi minori complessivamente                                                                                          25.000

Capi e sottocapi del Tigre                                                                                                     40.000

Ras Hailù ed altri minori del Goggiam                                                                             15.000

Sottocapi degli Arussi ed altri minori                                                                                23.000

———–

Totale                380.000[7]

 

 

I cannoni sono quasi tutti quelli di cui gli abissini s’impadronirono alla battaglia d’Adua; di essi una cinquantina da 75 da montagna ed 8 a tiro rapido sono in buono stato, ma sembra manchino le munizioni e il personale necessario per servirli.

Il corpo degli Harrarini che è il migliore per disciplina, istruzione ed armamento è fornito di 8 cannoni da montagna francesi, con munizioni, quadrupedi ed il personale occorrente che venne istruito ai tempi di Ras Makonnen da ufficiali francesi.

Inoltre pare che l’Imperatore abbia in Ancober una grande riserva di fucili – da 100 a 200 mila – e di munizioni.

Ultimamente, come conseguenza dell’accordo fra il governo francese e quello etiopico per la concessione della ferrovia Gibuti-Dirè-Dana Menelick ebbe in regalo dalla Francia 25 mila fucili e 2 milioni e mezzo di cartucce.

Risulta parimenti che il governo etiopico abbia di recente acquistato in Francia altri 20 mila Lebel e qualche milione di cartucce.

Nessuna esagerazione adunque su quanto afferma in un suo ultimo rapporto il comandante delle truppe eritree, che cioè in Etiopia i fucili non si contano più e se sorgesse un Negus veramente padrone della sua gente potrebbe riunire a nostro danno quanti fucili che vuole.

Però le minacce più immediate sono quelle che potranno provenirci da parte dei capi confinanti colle nostre colonie, eventualità queste che dovremmo fronteggiare colle sole forze di cui disponiamo nella colonia, fino all’arrivo dei rinforzi dall’Italia i quali non potranno cominciare a giungere sull’altipiano prima di circa quattro settimane dall’ordine di mobilitazione.

 

Forze disponibili in Eritrea nel caso d’invasione tigrina. – 1° Le forze di campagna del corpo coloniale eritreo durante le prime tre settimane di mobilitazione sono le seguenti:

1 compagnia RR. CC.                                                                               220 uomini

5 battaglioni indigeni (su 4 compagnie) forza totale                    5.680     “

1 squadrone indigeni                                                                               140     “

1 batteria indigena                                                                                   180     “

1a, 2a, 3a, 4a, 5a, 6a, e 7a banda di guerra                                             5.700     “

3 battaglioni di riserva (12 compagnie)                                           3.360     “

——————

Forza totale                  15.280 uomini

 

che rappresenta la forza massima organizzata combattente impiegabile in 1a linea subito e durante il periodo di tempo (circa 3 settimane) che deve trascorrere prima che possano giungere dall’Italia in colonia i complementi necessari per la mobilitazione del coloniale (100 ufficiali, 421 uomini di truppa, e due battaglioni).

Nel suddetto specchio non sono compresi perché non disponibili per l’impiego in 1a linea nel periodo di tempo:

 

le 3 compagnie cacciatori italiani

1 battaglione indigeni                                                necessari pel presidio dei forti

1 compagnia cannonieri

2° – Forza di campagna del corpo Coloniale a mobilitazione compiuta, dopo l’arrivo dei complementi dall’Italia:

 

1 compagnia RR. CC.                                                                               220 uomini

6 battaglioni indigeni (su 4 compagnie)                                          6.810     “

1 squadrone indigeni                                                                               140     “

2 batterie indigeni (12 pezzi)                                                                 360     “

Sette bande di guerra                                                                           5.700     “

3 battaglioni di riserva (12 compagnie)                                           3.360     “

——————

Forza totale                  16.590 uomini

 

Non sono compresi in questa forza combattente:

3 compagnie cacciatori italiani                                               necessari pel periodo dei forti e per rendere

1 compagnia cannonieri                                                           disponibili in 1a linea tutte le truppe indigene.

2 battaglioni di truppa italiani

Se si considera ora che i Tigrini possono passare i nostri confini del 16° giorno con circa 32.000 fucili, e nel 20° con circa 40.000, e cioè prima che un sol battaglione di rinforzo inviato dall’Italia possa giungere sull’altipiano, se ne trae come conseguenza che le forze disponibili in Eritrea non sono adeguate ai bisogni della difesa della Colonia e come sia necessario provvedere senza ulteriore indugio ad aumentarle.

 

 

 

[1] La ferrovia è in esercizio nel tratto Gibuti-Dirè-Daua. La concessione pel prolungamento Dirè-Daua-Addis Abeba fu di recente vivamente ostacolata dalla imperatrice Taitù e dalla grande maggioranza dei capi avversi ad ogni penetrazione Europea. La questione, per effetto della semi anarchia in cui trovasi presentemente il governo etiopico, è ancora insoluta: i lavori furono più volte sospesi e poi ripresi lentamente.

Le ultime notizie confermano infatti che nelle vicinanze di Dirè-Daua si provvede alla preparazione di nuovi tratti di terrapieno.

[2] Bevande abissine.

[3] Per quanto riflette l’Etiopia meridionale gioverà ricordare che all’Harrar dopo la morte del primogenito di Ras Makonnen, era stato inviato il Degiac Balcia investito del governo di tutto il paese galla e somalo prossimo ai nostri possedimenti del Benadir. Tra il Giuba (Dolo) e l’Uebi Scebeli, agli estremi limiti meridionali degli Ogaden e degli Arussi, Menelik aveva posto, in posizione indipendente da altri capi, il Fitaurari Daditarrè.

Recentemente l’Harrar è stato tolto al Balcia ed assegnato al Degiac Tafari Makonnen figlio secondo genito del defunto Ras; e il territorio degli Ogaden e Arussi fu dato prima al Balcia e ultimamente al Dogiac Nadò, essendo stato il Balcia inviato nel Sidama.

[4] Sulle carte Quoram; la grafia Abissina è Corèm.

[5] Festa della Croce.

[6] Tigrè Maconnen è titolo, corrisponde a notabile o nobile del Tigrè.

[7] Alla fine del 1906, il maggiore cav. Coco Capo di Stato Maggiore del R. Corpo di truppe coloniali, che fece parte della missione italiana recatasi in Addis Abeba, calcolò, secondo quanto potè di persona constatare, che gli armati dell’Abissinia era circa 245.000 dei quali 20.000 cavalieri.