ANTONIO TROGU. L’AUKUS – come cambia la geopolitica dell’indo-pacifico

  

Il concetto di indo-pacifico e’ relativamente nuovo, si riferisce alla regione marina comprendente le parti tropicale e subtropicale degli Oceani Indiano e Pacifico dove gli Stati che vi si affacciano hanno in comune interessi economici, politici e strategici.

In realtà Indo-Pacifico è termine politico, non geografico, ed il suo perimetro muta in funzione degli obiettivi strategici: per gli USA l’area si estende dalle Hawaii all’India mentre per il Giappone giunge a toccare le coste orientali africane. I due principali aspetti che caratterizzano il crescente interesse per questa area riguardano il tasso positivo di crescita economica degli Stati regionali e l’ascesa della Cina come potenza regionale.

Nel settembre scorso e’ stato annunciato l’accordo tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti  noto come AUKUS, dalle iniziali dei nomi dei Paesi in lingua inglese, che prevede la condivisone di tecnologia militare, intelligence, capacità nell’intelligenza artificiale ma soprattutto la dotazione di sottomarini a propulsione nucleare all’Australia.

Questo nonostante la Francia e l’Australia avessero firmato, nel 2016, un contratto del valore di 56 miliardi di euro per 12 sottomarini convenzionali, che sarebbero stati costruiti dalla francese Naval Group nel Paese oceanico.

 

L’accordo ha sollevato malessere tra gli alleati internazionali degli Usa e non solo all’interno di una Unione Europea emarginata dall’intesa. Se la Francia, che ha perso un contratto per rinnovare i sottomarini di Canberra, ha protestato contro quelli che sembra essere un ritorno ad America First, nella stessa regione asiatica la Nuova Zelanda è rimasta fredda.

La nuova alleanza strategica in funzione anti-Cina tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia non solo ha annullato i contratti tra Canberra e Parigi sulla produzione di sottomarini, ma sta incrinando i rapporti tra Bruxelles e Washington. Si può affermare che da Washington e’ arrivato un  chiaro e forte segnale, a costo di far crollare gli introiti di un’azienda di un Paese alleato, non si fa marcia indietro sugli impegni strategici nazionali.

Per quanto riguarda l’Australia questa ha mal digerito l’espansionismo cinese dell’era di Xi, che oltrepassando la prima catena di isole che circoscrive il Mar Cinese Meridionale (Giappone, Filippine, Taiwan e Indonesia), e’ entrata nella tradizionale sfera d’influenza australiana. Nel 2018, dopo aver criticato la penetrazione cinese nel proprio sistema politico, Canberra ha bandito Huawei e Zte dallo sviluppo della rete 5G nazionale e non ha inoltre risparmiato critiche alla Repubblica Popolare sul violento processo di assimilazione degli uiguri nello Xinjiang e sulle repressioni a Hong Kong. Sembra quindi logico che l’Australia abbia cercato di rafforzare i suoi legami con gli Stati Uniti, in assoluto l’alleato più potente, per contrastare l’egemonia di Pechino in Asia e anche l’unico veramente in grado di aumentarne l’arsenale militare.

Da sottolineare che l’Australia considera da tempo fondamentale controbilanciare l’avanzata cinese nell’area. Questa posizione deriva non solo da una continua espansione delle forza militare di Pechino, ma anche dalle mosse della Repubblica popolare in tutta la regione dell’Indo-Pacifico e quindi ritiene  che l’unico freno a questo cambiamento epocale, ovvero la nascita di una potenza marittima cinese, è quello di stringere i legami con l’Anglosfera[1].

Per l’Australia Pechino è un importantissimo partner commerciale, un terzo delle sue esportazioni sono dirette in Cina ma dal punto di vista della sicurezza Canberra è allineata con gli Stati Uniti per l’appartenenza all’anglosfera e anche perché è uno dei paesi del Five Eyes98 [2].

L’area indo-pacifica rappresenta oramai una parte importante degli equilibri geopolitici planetari, per gli interessi economici, diplomatici, strategici e militari che interessano i Paesi affacciati sulla grande massa d’acqua circondante il continente asiatico. In questa area si incontrano, si confrontano e collidono gli interessi delle due massime potenze planetarie, Cina e Stati Uniti e questo si sovrappone al tempo stesso alla proiezione geopolitica di attori di primissimo piano come India e Russia, al progressivo rilancio dell’attivismo del Giappone nel contesto internazionale e alla crescente dinamicità strategica di nazioni dall’economia rilevante interessate a far sentire la propria voce: Corea del Sud, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore e Taiwan.

 

 

L’annuncio di un accordo trilaterale tra Usa, Australia e Regno Unito apre nell’Indo-Pacifico un nuovo fronte di contenimento in chiave implicitamente anti-cinese con la Marina cinese che sta crescendo in dimensioni e capacità, trasformandosi completamente ma, allo stesso tempo, mette in rilievo un altro serio problema che riguarda i Paesi europei, membri dell’Unione e della Nato. C’e’ da considerare inoltre che, eccetto i tre paesi coinvolti, di quell’accordo non ne sapeva niente nessuno infatti è stato tenuto nascosto come se il resto del mondo fosse dalla parte di Pechino che invece rappresenta la capitale di un impero solitario. Il responsabile della diplomazia e della difesa dell’Unione, Josep Borrell, riferendosi all’AUKUS ha ammesso di non esserne a conoscenza  aggiungendo “e presumo che un accordo di quella natura non sia stato messo insieme nello spazio di una notte”.

A parte le puntuali critiche di Pechino, ha fatto scalpore la decisione della Francia di richiamare i propri ambasciatori da Washington e Canberra proprio in seguito a questo accordo. Per la Francia, come sottolineato in una nota dal ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, “l’abbandono del progetto di sottomarino di classe oceanica che aveva legato l’Australia alla Francia dal 2016, e l’annuncio di un nuovo partenariato con gli Stati Uniti volto ad avviare studi su una possibile futura cooperazione sui sottomarini a propulsione nucleare costituiscono un comportamento inaccettabile tra alleati e partner, le cui conseguenze riguardano la nostra stessa concezione delle alleanze, i nostri partenariati e l’importanza dell’Indo-Pacifico per l’Europa”.

Per il Regno Unito e’ chiaro l’interesse ad inserirsi nell’area, nell’ambito della “Global  Britain”, con la scelta di riportare al centro della politica estera l’area ad est del canale di Suez, riaffermando così la centralità della regione.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti la sua politica estera, anche alla luce del continuo espansionismo cinese, si sta concentrando nell’area dell’Indo-pacifico non solo utilizzando la proiezione di potenza ma con l’ampliamento delle alleanze da allargare e tutto questo a scapito del legame euro-americano. Gia’ nel 2011 vi fu l’annuncio dell’allora segretario di Stato USA Hillary Clinton del “Pivot to Asia” che ha rappresentato il grande elemento di novità della politica estera statunitense del nuovo secolo. In pratica rappresentava il ri-orientamento dell’asse strategico del paese verso la regione dell’Asia-Pacifico, che prevedeva inizialmente il rafforzamento entro il 2020 della presenza economica, diplomatica e militare degli Stati Uniti in uno dei teatri strategici più importanti, dominato dalla graduale ascesa della Repubblica Popolare Cinese (RPC).

L’India, che nell’Indo-pacifico rappresenta un elemento centrale per qualsiasi accordo, e’ contraria ad ogni alleanza militare e vuole mantenersi in equilibrio tra Stati Uniti e Russia anche in considerazione che quest’ultima  al momento rappresenta la principale fornitrice di armamenti. Forte della sua appartenenza al Movimento dei Paesi non allineati, l‘India non ha stretto alleanze formali né con russi né con statunitensi, cosa che ha favorito la propensione ad intrattenere, a differenza della Cina, un’ampia cooperazione con l’occidente. In ogni caso l’attrito tra Usa e Cina per l’India rimane pericoloso visto che, dopo la Cina, gli USA sono il primo partner commerciale e che la Cina è la detentrice, per l’India stessa, del più alto deficit commerciale.

L’India, per altro, desidera controllare direttamente il suo oceano che, a dispetto della denominazione geografica, è al momento sotto il controllo americano per via delle basi in Kuwait, Gibuti, Bahrein, Oman e Singapore da cui sorvegliano l’accesso ai principali stretti. In ogni caso pur non essendoci al momento reali possibilità di trasformazione dei legami in alleanze vincolanti con le democrazie occidentali, presto o tardi l’India è destinata ad entrare a far parte della schiera dei Paesi con relazioni stabili a carattere anticinese con gli USA, non è più possibile isolarsi seguendo una terza via.

L’UE al momento non sembra avere una politica chiara e comune e oltre le rimostranze francesi e le ambizioni collettive finora molto vaghe di autonomia strategica, ha assistito inerte a un accordo che di fatto non ha solo cancellato un contratto tra l’Australia e un Paese membro Ue ma ha anche dimostrato la scarsa considerazione degli Stati Uniti nei confronti dei partner europei. La strategia indo-pacifica dell’Ue, annunciata lo stesso giorno dell’accordo tra i tre Stati dell’anglosfera, è estremamente debole e poco incisiva rispetto a quella proposta da Washington che di certo non vuole tentennamenti da parte di Bruxelles e Stati membri dell’Ue[3]. Manca una necessaria ed oggi ancora insufficiente coesione effettiva (non solo retorica) tra i maggiori Paesi membri della UE, infatti non è molto credibile annunciare obiettivi globali o impegni militari senza aver spiegato quali sono gli interessi collettivi da difendere,  rinunciando ove necessario a un certo margine di sovranità nazionale.

Mosca, che vuole interpretare il ruolo dell’ago della bilancia geopolitica concentrata sul sogno della grande Eurasia, lontana dall’Occidente, sempre più vicina a Pechino, e con l’India parte del sistema anti-cinese a guida USA, ha dichiarato di essere “preoccupata” riguardo l’alleanza trilaterale in materia di sicurezza  che lega Australia, UK e Stati Uniti. Secondo Mosca, il patto minaccia gli sforzi globali per la non proliferazione nucleare perché consentirà all’Australia di diventare il secondo Paese dopo il Regno Unito ad avere accesso alla tecnologia nucleare statunitense per produrre sottomarini a propulsione nucleare.

Il primo ottobre, il viceministro degli Esteri della Federazione, Sergey Ryabkov, intervenendo ad una discussione pubblica presso il Centro per la politica di sicurezza di Ginevra, ha dichiarato: “Siamo preoccupati per il recente annuncio da parte di Stati Uniti, Regno Unito e Australia sullo sviluppo di un sistema tecnologicamente avanzato di partnership che consentirà all’Australia di entrare nella classifica dei primi cinque Paesi al mondo in questo tipo di armamenti”. Il viceministro russo ha altresì osservato che l’intesa, permettendo a Canberra di costituire una flotta di sottomarini nucleari, rappresenta una “sfida al regime internazionale di non proliferazione nucleare”.

Per quanto riguarda la Cina, da anni questa  espande la propria influenza politica, economica e militare nel mondo, con l’intento di usufruire di risorse territoriali e di allineare gli Stati a suo favore e l’Indo-Pacifico rappresenta una delle principali sfere d’interesse cinese.

La Cina cerca di monopolizzare questa macro regione con la costruzione di porti, infrastrutture e basi militari e sta espandendo la sua influenza economica, tanto che vuole entrare nel patto Trans-pacifico[4]. Questa ricerca di controllo territoriale e marittimo si scontra con gli interessi statunitensi ed occidentali, le cui presenze nel Mar Cinese meridionale sono viste come “destabilizzanti” dal Governo di Pechino.

Negli ultimi anni, tra gli Oceani Indiano e Pacifico, vi e’ stato il consolidamento del concetto marittimo ed il contestuale incremento del peso politico asiatico e questo ha portato ad una sovrapposizione di interessi politico-economico-militari, che ha ridefinito equilibri di potenza e rapporti di forza come già detto causata anche dalle ambizioni regionali e globali della Cina, l’attore statale più accreditato a contendere il ruolo di leadership agli Stati Uniti.

[1] Nazioni di lingua inglese che hanno una stretta cooperazione politica, militare e diplomatica con il Regno Unito

[2] Alleanza di intelligence che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti

[3] Il 19 aprile 2021 il Consiglio dell’Unione Europea (UE) ha approvato le conclusioni su una Strategia dell’UE per la cooperazione nella regione indo-pacifica

[4] Trans-Pacific Partnership (TPP) accordo di libero scambio della regione dell’Asia-Pacifico, che annovera tra i suoi firmatari 12 paesi, di cui 7 Stati del continente asiatico (Australia, Brunei, Giappone, Malesia, Nuova Zelanda, Singapore, Vietnam) e 5 del continente americano (Canada, Cile, Messico, Perù, Stati Uniti).