LE ULTIME CARICHE: ISBUSCENSKIJ E POLOI

  

da “IL NASTRO AZZURRO”  N° 6-2012

La steppa russa e la Croazia, nella seconda metà del 1942 furono il teatro delle ultime cariche della cavalleria italiana.

In Russia l’avanzata delle truppe dell’Asse fu rapida e nell’estate del 1942 si stabilizzò lungo il fiume Don. il 20 agosto scattò improvvisamente una controffensiva sovietica che riuscì a sfondare il tratto di fronte tenuto dalla Divisione “Sforzesca” ed il raggruppamento Truppe a Cavallo, costituito dai reggimenti “Savoia Cavalleria“,”Lancieri di Novaro” ed Artiglieria a Cavallo “Voloire“, ricevette l’ordine di contenere l’avanzata nemica, avviando una manovra avvolgente in direzione del Don. Alle prime luci dell’alba del 24 Agosto il “Savoia Cavalleria“, composto da circa 700 cavalieri che avevano bivaccato in mezzo alla steppa in quadrato protetti dai cannoni delle Batterie a cavallo, si stava preparando a riprendere la marcia verso l’obiettivo del giorno. Nottetempo però tre Battaglioni di Fanteria siberiana, quantificabili in circa 3.000 uomini, si erano portati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche formando un ampio semicerchio fra i girasoli, pronti a sferrare un attacco a sorpresa e far cadere gli italiani in una trappola mortale. Prima di togliere il campo però, una delle due pattuglie a cavallo italiane mandate in avanscoperta s’imbatté negli avamposti russi. Partì quindi il primo colpo di moschetto italiano che scatenò un fuoco di reazione di mitragliatrici, mortai ed artiglieria leggera. Una vera e propria pioggia di fuoco si abbatté sul quadrato di “Savoia” che si apprestava a ripartire, ma che invece in poco tempo si trovò quasi del tutto circondato. La sorpresa durò soltanto un momento: i pezzi d’artiglieria iniziarono a rispondere al fuoco russo con precisione; ma la situazione necessitava di un diversivo immediato. Il Colonnello Sandro Bettoni Cazzago, comandante di “Savoia“, fatto scoprire lo Stendardo trasmise gli ordini al 2° Squadrone, il quale, una volta salito a cavallo simulò un ripiegamento, ed improvvisamente, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricò a ranghi serrati a colpi di sciabola, raffiche di mitra e bombe a mano. A questo punto la situazione si capovolse, in quanto furono i russi ad essere colti di sorpresa, paralizzati dalla violenza dell’attacco e dal frastuono assordante. Nell’infuriare della battaglia, che ben presto entrò nel vivo della sua violenza, trasformandosi in un corpo a corpo furibondo, diversi cavalli e cavalieri rimasero colpiti, ma nonostante ciò quello che rimase del 2° Squadrone riuscì a ritornare alla carica a fronte inverso. Per alleggerirne l’impegno venne quindi inviato il 4° Squadrone appiedato al comando del Capitano Silvano Abba. La fanteria sovietica, sfavorita nella visuale a causa del l’altezza dei girasoli, in buona parte si sbandò, ma comunque tenne ancora il terreno e provocò sensibili perdite tra le fila italiane. Il Comandante del Reggimento decise allora di impegnare il 3° squadrone a cavallo che effettuò una carica nel mezzo del fronte sovietico che, nonostante il soverchiante numero di militari e mezzi, fu costretto a ripiegare. Le perdite del “Savoia” ammontarono a 32 uomini, tra cui il Magg. Alberto Litta Modigliani e il Cap. Silvano Abba, entrambi Medaglie d’Oro al Valor Militare.

Lo Stendardo del Reggimento, per il fatto d’arme, è stato Decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare.

“Temprato ad ogni arditezza e sacrificio, nel corso di operazioni offensive per la conquista di importante regione industriale e mineraria assolveva con immutata dedizione ed inalterato coraggio le missioni gravose, complesse e delicate fiancheggiando grandi unità impegnate nell’inseguimento di rilevanti retroguardie avversarie. Divampate repentinamente la battaglia contro il nemico che, con la potenza del numero dei mezzi, irrompevo bramoso sulla riva meridionale del Don, piombava con fulminea destrezza sulle colonne avversarie delle quali domavo più volte la pervicacia, sventandone le insidie e contribuendo, con rara perizia e maschia temerarietà allo sviluppo efficace della manovra di arresto. Affrontato all’improvviso da due battaglioni avversari durante la rischiosa e profonda esplorazione, ne contenevo l’urto con la valentia dei reparti appiedati ed avventurandosi in arcioni sul fianco degli aggressori, ne annientava la belluina resistenza, restituendo alla lotta, con l’impeto corrusco delle cariche vittoriose, il fascino dell’epoca cavalleresca ed illustrando il suo nome alla pari dei fasti del Risorgimento e delle sue secolari tradizioni”.(Fronte russo: bacino minerario di Krasnj-Lutsch, luglio 1942; Simowskij, quota 200, quota 236,7, quota 209,9 di Val Krisaja, Ciglione di Jsbuschenskij, Bachmutin, quota 226,7 di Jagodnij, 2l-30 agosto 1942).

Il Reggimento “Cavalleggeri di Alessandria”, inquadrato nella Divisione Celere “Eugenio di Savoia” il 17 ottobre era in trasferimento verso Primisije dove erano segnalate ingenti forze partigiane di Tito. Alle 14 il Reggimento agli ordini del Colonnello Antonio Ajmone Cat, in formazione a losanga, col 2° squadrone in testa, il 3° a sinistra, il 4° a destra, il 1° in coda; raggiunto il trivio, che portava a sud a Primislje, e ad est al ponte di Cika sul Korana, si radunano le forze per passare il torrente con tutti i reparti; raggiunti i costoni di riva sinistra del Korana, dominanti il ponte, si rileva che questo era interrotto, essendo rimasta la sola intelaiatura, senza tavole, e veniva battuto dalla riva destra. Aperto il fuoco sul nemico, questo si dimostrava ancor più aggressivo, guadava il Korana, a monte ed a valle del ponte, per attaccare il Reggimento ai fianchi ed a tergo. Valutate le forze nemiche ad almeno un battaglione, bene armato ed equipaggiato Ajmone Cat decide di sganciarsi e ripiegare. Alle 13.00, in località Poloj viene attaccato sul fianco sinistro e sul tergo da un intenso fuoco di armi automatiche di nuclei di partigiani. La reazione degli squadroni ed il fuoco della sezione di artiglieria arrestano l’attacco nemico. All’imbrunire il reggimento inizia un ripiegamento verso Perjasica, ma viene nuovamente attaccato dai partigiani. Il l° squadrone d’avanguardia viene investito da ogni lato dal fuoco avversario ed il suo Comandante, il Capitano Antonio Petroni, lanciandosi al galoppo ordina la carica sguainando la sciabola. Al suo seguito il Comandante del Reggimento, il Colonnello Ajmone Cat, con lo Stendardo e lo squadrone comando caricano a loro volta. Il 3° squadrone superata un’orda di uomini, donne, ragazzi scesa dalle alture dominanti, con forche, coltelli, si gettava anch’esso contro le formazioni partigiane regolari scendente dalle alture a sinistra, altrettanto fa il 2° squadrone sulla destra. Il 4° squadrone carica ripetutamente il nemico che si sta avvicinando all’artiglieria ed agli automezzi. Gli squadroni di Alessandria superano in questo modo il primo profondo sbarramento ed in successione un secondo ed un terzo, aprendo un varco a coloro che seguono. Riordinate le fila i Cavalleggeri, a piedi o a cavallo continuano a combattere ed a reagire con estremo accanimento. Il nemico, sebbene in posizione favorevole, numericamente preponderante ed in possesso di numerose armi automatiche, non riesce a trarre dall’azione i risultati che si ripromette. Il Reggimento riesce a rientrare a Perjasica senza lo Stendardo andato perduto nella battaglia. L’indomani il Comandante dello squadrone mitraglieri lo ritrova impigliato al ramo di un albero.

Il Reggimento perde I29 uomini (tra cui i comandanti del 1°’ e del 4° squadrone) e 160 cavalli. I caduti del 17 furono, per ordine dei partigiani ai civili del luogo, subito seppelliti, onde evitare possibili epidemie. In fosse affrettatamente scavate dai civili, in più punti, dove il terreno di natura carsica si prestava meglio, furono calati, insieme, partigiani, soldati italiani e cavalli. Tutti gli italiani furono privati, dai partigiani, delle uniformi, delle armi, delle munizioni e dell’equipaggiamento; impossibile, quindi ogni riconoscimento di salme, da parte dei civili; dalle giubbe degli ufficiali i partigiani strappavano i distintivi di grado e li indossavano. Tanto sacrificio venne ricompensato con l2 Medaglie d’Argento al Valor Militare e numerose Medaglie di Bronzo e Croci di Guerra. Lo Stendardo del Reggimento non ebbe alcuna Decorazione. Probabilmente l’aver combattuto contro i partigiani di Tito fu considerato un elemento penalizzante!

I drappi degli Stendardi di “Savoia Cavalleria” e dei “Cavalleggeri di Alessandria” consegnati dopo la proclamazione della Repubblica ad Umberto II a Cascais dai rispettivi Comandanti, sono ora conservati per volontà dell’ultimo Re d’Italia, dopo la sua morte, nel museo delle Bandiere al Vittoriano, insieme a quelle dei Reparti ora non più in vita.

Carlo Maria Magnani