IL GENERALE BELLOMO: CRIMINALE DI GUERRA O EROE?

  

Nel corso dell’anno 2010 nel nostro periodico sono stati pubblicati articoli di assoluto interesse che si ritiene opportuno riproporre.

E’ l’alba dell’11 settembre 1945, nel forte di Nisida (NA) viene fucilato il generale italiano che, un mese e mezzo prima, era stato dichiarato “criminale di guerra” dal tribunale militare inglese, insediato per l’occasione nell’aula della Corte d’Assise di Bari. A premere i grilletti è un plotone dello stesso reggimento inglese al quale, esattamente due anni prima (11 settembre ’43), il gen. Nicola Bellomo (questo il nome dell’ufficiale giustiziato) aveva consegnato la città di Bari ed in particolare il suo grande porto.

L’11 aprile 1951, a quasi 6 anni dall’esecuzione, il gen. Bellomo viene Decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare (1) per aver liberato il porto di Bari dalle truppe tedesche. Passano altri 7 anni e questa volta è il Comune di Bari a rendere omaggio al suo cittadino (2) e con delibera n. 616 del 4 aprile 1958 intitola una strada di un quartiere moderno al gen. Bellomo. Non è finita! Ancora 18 anni (27 novembre 1976) e la salma di Bellomo viene traslata dal fossato di Pozzuoli (NA) ed inumata con tutti gli onori in un sacello di granito rosso nel Sacrario dei Caduti Oltremare che sorge a Bari in via Gentile.

Ma a questo punto sorge un dubbio: il Gen. Bellomo era o no un criminale di guerra? Secondo il Tribunale inglese si! Ma il processo, come vedremo, non fu condotto con tutte le garanzie previste per la difesa, e furono praticamente trascurate quasi tutte le prove favorevoli all’imputato. Per tanti altri, invece (storici, giornalisti. semplici cittadini ecc..), la risposta categorica è: no! Chi ha ragione? Alla maniera di Pilato, il Ministero della Difesa italiano non ha mai fatto chiarezza in proposito, ed ha trattato il caso con imbarazzo e contraddizioni. A pag. 470 della dispensa n. 6 del B.U. ‘1941, tanto per fare un esempio, lo SMD indica la morte del generale con queste parole: “Fu collocato in congedo I’1’1.9.45. Deceduto a Nisida per ferite d’arma da fuoco”.

Si coglie in queste brevi note la natura profondamente controversa del caso: “l’esecuzione” diventa “decesso”; la “fucilazione” viene indicata come “ferite d’arma da fuoco”. Ma cos’era successo esattamente? Anche se il caso è ampiamente noto, sento il dovere, a 55 anni di distanza, di ricordare sinteticamente gli episodi e le motivazioni che portarono alla condanna a morte di questo eroe discusso e controverso, ma sicuramente ricco di umanità, che, oltre ad essere mio conterraneo, è stato anche socio della Federazione che ho l’onore di presiedere.

  • 10-11 febbraio 1941. Il gen. Bellomo, da poco richiamato in servizio, cattura in breve tempo, nella zona del Monte Vulture, un commando inglese di 40 uomini paracadutati che, agli ordini del maggiore Pritchard, stava sabotando l’acquedotto pugliese (operazione Colussus). Bellomo trattiene, come preda bellica, la pistola del magg. Pritchard: una Colt Pocket 1903.
  • 30 novembre ‘1941. Dal campo di prigionia di Torre Tresca (BA) fuggono due prigionieri inglesi: il capitano George Playne ed il tenente Roy Roston Cooke; ma vengono ripresi poco dopo dallo stesso personale di sorveglianza. ll gen. Bellomo, responsabile del campo (3), ordina che i due prigionieri indichino il punto della recinzione dal quale è avvenuta la fuga. Durante la ricostruzione i due tentano nuovamente di evadere: le sentinelle aprono il fuoco. Playne, raggiunto da due colpi, all’orecchio e alla nuca, muore. Cooke, colpito ad un gluteo viene nuovamente catturato. Le autorità italiane aprono due inchieste, una terza inchiesta viene aperta dalla Croce Rossa Internazionale. Il gen. Bellomo, che si era assunto la piena responsabilità dell’accaduto, viene completamente scagionato in quanto le leggi di guerra prevedono l’apertura del fuoco sui prigionieri in fuga; e che questi la stessero tentando era dimostrato dalla posizione delle ferite.
  • 9 settembre 1943. Il Gen. Bellomo, informato nella tarda mattinata che un battaglione di guastatori paracadutisti della Fallschirm Jager Divisionen si era impadronito del porto di Bari ed aveva iniziato a distruggerlo e ad affondare le navi, alla testa di qualche decina di militari racimolati in fretta sul posto (2 ufficiali, 5 marinai, alcuni genieri, 40 camicie nere), conduce un primo assalto fra le 13,45 e le 14,45. Ricevuti altri rinforzi (12 genieri, alcuni fanti, semplici cittadini, un portuale e 48 camicie nere) (4). Bellomo, pur essendo rimasto ferito, guida un secondo assalto, risolutivo, tra le ‘15,00 e le 16.15. I tedeschi, bloccati all’interno del porto, desistono dal portarne a termine la distruzione e chiedono di parlamentare. Bellomo, nuovamente ferito, viene ricoverato all’ospedale; le trattative vengono così condotte dai Comandi superiori che, incredibilmente, concedono al “vecchio alleato” di ritirarsi con “armi e bagagli” e gli procurano persino il treno: ovviamente gratis.
  • 11 settembre 1943. Il Gen. Bellomo consegna solennemente al reggimento inglese, giunto in avanguardia, la piazza di Bari ed in particolare il porto destinato a diventare il perno principale dell’alimentazione logistica delle armate anglo americane nella campagna d’Italia.
  • 15 settembre 1945. Il generale, dimesso ormai dall’ospedale, fa marciare per le strade di Bari esercito e popolo preceduti dalle fanfare militari. È considerato un eroe ed è diventato popolarissimo.

La sua fama è alle stelle ma commette un errore. Un errore che gli costerà la vita. Come riferisce lo storico Emilio Gin, in un recente numero della “Nuova Rivista Storica”, Bellomo si rende protagonista di un’ampia opera di denunzia e di rimozione di tutti coloro che durante gli eventi avevano tenuto un comportamento passivo o sospetto di connivenza con i tedeschi.

Le sue accuse contro quanti il 9 settembre non avevano preso apertamente posizione contro il “vecchio alleato” e anzi ne avevano consentito la facile ritirata dal porto ed il trasferimento in treno verso il nord barese (dove Io stesso “vecchio alleato” perpetrò le stragi e gli eccidi di Barletta, Spinazzola, Murgetta Rossa, ecc.), incominciarono a impressionare seriamente Badoglio e il suo Stato Maggiore, insediatisi nel frattempo a Brindisi.

Oltretutto, costoro, così come sostiene il Prof. Vito Antonio Leuzzi, direttore del Centro Studi dell’Antifascismo di Bari, temevano che Inglesi e Americani, a guerra finita, potessero istituire una Norimberga italiana sui crimini di guerra commessi da alcuni generali italiani, specie nei Balcani. Ma forse si sarebbe potuto scongiurare tale pericolo offrendo, su un piatto d’argento, la testa del Gen. Bellomo alle Autorità Inglesi (sempre severe e intransigenti, malgrado la cobelligeranza, nei confronti dell’Italia che aveva osato sfidare la “perfida Albione”). E perché proprio Bellomo? Perché così si sarebbe eliminato lo scomodo testimone dei fatti dell’8 e 9 settembre. Due piccioni con una fava dunque! Ma come farlo? Semplicissimo! Si fa pervenire alle Autorità inglesi una lettera anonima che accusa Bellomo di essere l’autore materiale dell’uccisione di Playne e del ferimento di Cooke. Bellomo addirittura potrebbe aver sparato con la pistola del magg. Pritchard, la colt pocket ‘1903, trattenuta come preda bellica.

  • 28 gennaio 1944. Il cap. Perkins, della Military Security, si reca nell’ufficio del gen. Bellomo e gli comunica che il Generale Comandante del Second District, allocato al n’83 di Corso Cavour desidera parlargli in merito alla vicenda del 30 novembre 1941. Negli uffici di Corso Cavour Bellomo viene arrestato e rinchiuso nel campo di prigionia di Grumo. Successivamente a Padula, Afragola e poi a Bari.
  • l4 luglio 1945. Un anno e mezzo dopo il suo arresto, finalmente, Bellomo viene a sapere di essere stato deferito alla corte marziale e che il processo avrà inizio, con comodo, solo nove giorni dopo. La famiglia gli ha procurato un difensore di fiducia, un luminare dell’arte forense, l’Avv. Russo Frattasi. Questo “trascurabile” dettaglio viene “volutamente” tenuto nascosto a Bellomo che non sa nulla dell’avvocato. Addirittura, all’inizio del processo, verrà impedito che Russo Frattasi entri in aula. Il Generale, che comunque avrebbe rinunciato ad un avvocato di fiducia perché orgogliosamente convinto di potersela cavare da solo con dei giudici militari come lui, non può rifiutare il difensore d’ufficio, nominato da tribunale, il capitano Carmichael.
  • 23 luglio 1945. Alla domanda rituale che la Corte gli rivolge in apertura del processo, se si ritiene o no colpevole, Bellomo risponde fieramente “l’m a soldier not a murderer” (sono un soldato non un assassino). Ha inizio così alle 10.00 un processo che andrà avanti a senso unico, verso un epilogo già scritto in partenza, contro cui nulla poterono i generosi sforzi di un volenteroso Carmichael.

A detta di molti, tra i quali il già citato Emilio Gin, la corte militare inglese non solo non prende in alcuna considerazione le risultanze delle tre precedenti inchieste, ma conduce il processo avvalendosi soltanto di alcuni dei testimoni disponibili, escludendo praticamente quasi tutti coloro che avrebbero potuto scagionare l’imputato. A rendere meno liete le prospettive della difesa provvedono alcuni testimoni che nelle precedenti inchieste avevano appoggiato l’innocenza dell’imputato, ma ora cambiano versione (5). Tra i testimoni principali anche il cap. Cooke (tenente all’epoca dei fatti) che, pur avendo per quattro anni testimoniato sempre a favore di Bellomo, all’ultimo momento (Il 5 giugno ’45, cioè un mese prima dell’apertura del processo), cambia idea e presenta alla corte una denuncia contro Bellomo, ritrattando le sue precedenti versioni.

Le ritrattazioni dell’ultima ora sono la prova più evidente che il processo fu manipolato sin dall’inizio, così come ipotizzato dal Prof. Leuzzi. Ma se quest’ultimo può essere sospettato di simpatie verso il suo concittadino, altre fonti non sospette affermano in sostanza la stessa cosa. Peter Hopkins (referente del Servizio Segreto Americano a Roma nel 1944) rileva che il gen. Bellomo fu vittima delle macchinazioni di Badoglio e dei Monarchici che volevano eliminare un testimone pericoloso dei “giorni della fuga” (“Holy Betrayed” New York 1956). E parimenti Ruggero Zangrandi afferma che “la corte britannica fu tratta in inganno da Badoglio e da agenti monarchici che… in tutta segretezza fecero ricorso al falso per favorire la fucilazione di Bellomo che, con le sue denunce, rappresentava una minaccia per il Re e per Badoglio, in quanto rivelavano al mondo lo squallore del loro tradimento”. Sono tantissimi i libri, i saggi, gli articoli che riportano la stessa convinzione; citerò per tutti il saggio scritto sull’argomento da Gianni Di Giovanni, che assistette al processo come inviato della Gazzetta del Mezzogiorno. Un saggio dal titolo inequivocabile: “Bellomo: un delitto di Stato”.

  • 28 luglio 1945. Termina il processo. Alle 13.30 viene letta la sentenza di condanna a morte. Bellomo ha 48 ore di tempo per presentare la domanda di grazia. Non la presenterà mai! Se lo facesse ammetterebbe implicitamente di essere colpevole. Lui sa di essere innocente ma non è tipo di venire a patto con la propria coscienza e preferisce affrontare a testa alta il plotone di esecuzione. Chiede di essere lui stesso a dare l’ordine di fuoco ma i giustizieri della perfida Albione gli negano anche questa soddisfazione. Morirà gridando “Viva l’Italia! “
  • 12 novembre 2005. Viene celebrata a Brindisi, nel piazzale del Monumento al Marinaio, la “Giornata del ricordo dei Marinai scomparsi in mare” (da poco istituita dal Presidente Ciampi), alla quale partecipo in rappresentanza dell’allora Presidente Zanardi. Durante il “vin d’honneur” qualcuno fa notare al Sottosegretario alla Difesa, Sen. Salvatore Costa, intervenuto alla cerimonia in rappresentanza del Governo, che sono passati giusto 50 anni dal processo Bellomo e che perciò dovrebbe essere caduto il vincolo di segretezza sugli atti del processo celebrato a Bari nel lontano 1945. Forse è la volta buona per chiederne ufficialmente la revisione. Costa non se lo fa ripetere due volte. Tre giorni dopo viene nominata la Commissione per la revisione del processo Bellomo, nella quale entro a far parte. Il giorno dopo (15 novembre) la commissione si riunisce per la prima volta presso lo Stato Maggiore della difesa.

La Commissione lavora alacremente. Ci sono varie difficoltà da superare; ad esempio chiedere a Londra gli atti del processo (migliaia di pagine finora Top Secret), tradurli ed esaminarli. C’è però da superare anche quella che sembra una piccola formalità. È necessario che la domanda di revisione sia firmata da Andrea il figlio maggiore del generale. Ma questi oppone un netto rifiuto. Troppo tempo è passato, la famiglia ha già sofferto tanto. I resti del padre sono stati inumati con tutti gli onori nel Sacrario di Bari. Questo può bastare. Lasciamolo riposare in pace.

Cala il sipario sul dramma Bellomo. Definitivamente? Non sappiamo. La Commissione si è sciolta senza poter raggiungere lo scopo desiderato da tanti, tantissimi. Resta in ognuno di noi il cruccio che da qualche parte, sulle rive sabbiose del Tamigi, resterà dimenticato in un archivio polveroso un fascicolo (migliaia di pagine ormai non più Top Secret) firmato Maggiore Generale Cloves (presidente della corte), Brigadiere Generale Calwell, Colonnelli Dracula e Cunning (giudici) nel quale risulta che il gen. Bellomo fu condannato a morte perché ritenuto criminale di guerra da un tribunale inglese. Unico caso in Italia nel dopoguerra!

Bari 11 settembre 2010

Gen. Giuseppe Dr. Picca (Presidente della Federazione di Bari)

NOTE:

(1) ll gen. Bellomo era già stato Decorato nella prima guerra mondiale di una Medaglia d’Argento al Valor Militare ed era Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia

(2) Bellomo era nato a Bari il 12 febbraio 1881

(3) Dal 26 febbraio 1941 il gen. Bellomo aveva assunto il comando della XII Zona della Milizia e del Presidio Militare di Bari.

(4) Fra questi, il quattordicenne Michele Romito fu decorato di Medaglia d’Oro ed è stato Socio effettivo dell’Istituto fino al 2009, anno della sua morte.

(5) Nomi e cognomi, e relative ricompense per aver cambiato versione, sono riportati nel libro “ll generale Bellomo” di Federico Pirro (edizioni Palomar 2004).

Medaglia d’Argento al Valor Militare concessa con Decreto Presidenziale 21 aprile 1951 al Generale di Divisione Nicola Bellomo in servizio presso il comando del IX Corpo d’Armata 

“Avuto sentore che nuclei nemici avevano con azione fulminea attaccato gli impianti portuali per tentarne la distruzione, alla testa di pochi ardimentosi si lanciava all’attacco dell’avversario riuscendo a sconcertarne i piani. Ferito, organizzava un nuovo attacco. Lasciava poi il terreno della lotta, a seguito di nuova ferita e dopo il sopraggiungere dei rinforzi”  Bari, 9 settembre 1943