Approfondimenti – L’Impero italiano si amplia

  

Alessia Biasiolo[1]

 

Con le ultime fasi della prima guerra mondiale, il Regno d’Italia assunse il protettorato sull’Albania che con il Trattato di Tirana del 20 luglio 1920 e il successivo accordo del 2 agosto, si concluse con il riconoscimento dell’indipendenza del Paese. Le truppe italiane lasciarono Valona, mantenendo però il controllo militare del Canale di Otranto.

Il Regno di Grecia aveva già occupato alcune zone dell’Albania di cui la popolazione greca era parte integrante, ma i presidi vennero allontanati. I contrasti tra il governo italiano e quello greco vennero risolti da trattati più o meno rispettati, anche se la questione più spinosa era il controllo del Dodecaneso che era stato occupato dall’Italia. La crisi vera e propria ci fu nel 1923, quando una commissione italiana inviata a delimitare il confine tra Albania e Grecia venne trucidata in territorio greco. Mussolini il 29 agosto fece bombardare e occupare dalla Marina l’isola di Corfù in risposta all’eccidio.

In settembre la crisi sembrò rientrare su pressione internazionale e con l’indennizzo da parte greca per i morti, ma l’attrito tra le due potenze rimase evidente fino al trattato sottoscritto nel 1928.

Nel 1925, vennero stipulati con l’Albania accordi e trattati, in modo particolare riguardanti il petrolio, le banche e l’eventuale utilizzo del territorio nel caso di guerra nei Balcani. Quando il presidente albanese Zog si proclamò re del Paese, l’unico governo a riconoscerlo fu quello italiano, rinforzando quindi i legami albanesi con l’Italia. Nel 1933 divenne obbligatorio l’insegnamento nelle scuole albanesi della lingua italiana.

In Grecia, dopo un breve governo repubblicano, venne restaurato sul trono re Giorgio II di Grecia e nel 1936 venne istituito un governo di ispirazione fascista, in alcuni aspetti simile a quello italiano. Ad esempio, venne abolita la libertà di stampa e attuato un forte controllo dalla censura; venne attuato il confino di polizia; venne istituita un’Opera per i giovani ed imposto il saluto romano e anche il governo greco dimostrò simpatie per la Germania nazista.

Nel 1939 un nuovo trattato in otto punti rinsaldò l’alleanza militare tra Italia ed Albania, sancendo la possibilità per l’Italia di intervenire nel Paese in caso di sommosse o disordini, permettendo lo sfruttamento di risorse sul suolo albanese da parte italiana con precisi accordi economici, ma soprattutto sottoscrivendo che i cittadini albanesi in Italia e quelli italiani in Albania avrebbero goduto degli stessi diritti. Pertanto i cittadini italiani, più numerosi colti e organizzati, avrebbero potuto predominare sul territorio albanese, tanto che l’accordo non venne firmato dal re Zog I.  Questo comportò l’attacco militare da parte italiana nell’aprile 1939, con sbarchi soprattutto a Durazzo e Valona. La resistenza locale non poté nulla contro l’Esercito e la Marina italiani e l’Albania venne occupata con oltre ventimila uomini. Il nuovo re albanese divenne Vittorio Emanuele III il 26 aprile 1939, con particolare soddisfazione del ministro degli Esteri Galeazzo Ciano che si fregiò del successo dell’impresa. Ciò attuò la possibilità per molti italiani di recarsi nel Paese e insediarvisi sia per costruire strade e ferrovie, sia per costruirvi case con appezzamenti di terreno coltivabile.

La fascistizzazione dell’Albania con la presa del potere da parte italiana, impensierì il governo greco che temeva un tentativo di sconfinamento italiano, tanto da stringere un accordo con Francia e Gran Bretagna, impegnatesi a difendere la Grecia in caso di attacco.

Infatti, Mussolini incaricò lo Stato Maggiore dell’esercito di studiare un piano di attacco per il quale il generale Guzzoni chiese un anno di tempo per i preparativi. Da parte sua, il governo greco preparò la mobilitazione delle sue forze armate in modo particolare lungo il confine albanese.

Durante la seconda guerra mondiale, all’inizio della quale la Grecia si dichiarò neutrale, l’Albania estese i suoi confini verso il Montenegro e la Macedonia, fino al Kosovo, mettendo in atto politiche di albanizzazione forzata ai danni delle popolazioni, soprattutto delle minoranze. Si formarono movimenti resistenziali di varia tipologia, in difesa dei cittadini dei vari territori e, infine, si coalizzarono forze anche contro l’occupante italiano. A Tirana, nel 1941, un operaio albanese attentò alla vita del re Vittorio Emanuele III e questo comportò rappresaglie a scopo “pedagogico” sulla popolazione. Nel 1942 l’esercito italiano intervenne per regolarizzare la situazione che vedeva una forte presenza di partigiani locali. Ci furono casi di rastrellamenti e di rappresaglie contro la popolazione civile, soprattutto perché nei centri la resistenza era diventata un fenomeno di massa che rendeva necessari continui interventi di ordine pubblico. Si sommarono casi di interrogatori violenti, torture e impiccagioni e ci furono villaggi rasi al suolo in operazioni antiguerriglia.

L’esercito e la milizia italiani agivano con l’appoggio del partito fascista locale. La situazione cambiò dopo l’8 settembre, come vedremo.

L’Albania divenne la base di partenza della Campagna di Grecia che il Regno italiano mise in atto nel 1940, a partire dal 28 ottobre fino al 23 aprile 1941, malgrado all’entrata in guerra dell’Italia ci fossero state, seppur vaghe, rassicurazioni al governo greco sul rispetto della sua neutralità. Il Regno italiano denunciò ripetuti appoggi dei greci alle navi e ai sommergibili inglesi, in aperto contrasto con la dichiarata neutralità. E simulò un attacco inglese di una chiesa ortodossa, in agosto, per minare gli accordi greci con la Gran Bretagna e cercare lo spunto per lo scontro, peraltro già ambito precedentemente dalla Francia che sperava di aprire un fronte balcanico contro la Germania. La situazione fu altalenante per alcuni mesi, con Mussolini che convocava Visconti Prasca per chiedergli di preparare un piano d’attacco contro la Grecia; Ciano che voleva ampliare i confini del dominio albanese appunto con i territori ellenici; Badoglio che era contrario ad iniziare un conflitto nei Balcani, tradizionalmente instabili e difficili da controllare; la Germania che premeva per fermare le manovre italiane in Albania, allo scopo di impedire un eventuale ingresso in guerra dell’Unione Sovietica in appoggio ai comunisti slavi. Ancora a metà ottobre 1940 sembrava che le operazioni offensive contro la Grecia fossero dimenticate, ma alla comunicazione che forze tedesche erano entrate in Romania su richiesta del governo locale per tutelare gli importanti giacimenti petroliferi della regione, Mussolini rispose mettendo in atto il suo piano vagamente strategico di allargamento dei confini albanesi. Badoglio ebbe l’ordine di prepararsi all’azione, malgrado lui stesso e il generale Roatta, tra gli altri, affermassero che ci sarebbero voluti almeno tre mesi per i preparativi dell’offensiva. La sorpresa venne meno per il giro di informazioni che prese la via degli ambasciatori e della Bulgaria e, insomma, l’attacco previsto tra il 25 e il 28 ottobre era diventato un segreto di Pulcinella, mentre si creavano occasioni di attrito tra le due potenze e Hitler chiedeva un incontro all’alleato italiano. Ciano redasse un ultimatum alla Grecia a causa dei continui incidenti di frontiera e volutamente inaccettabile, che venne recapitato al capo del governo ellenico il 28 ottobre; Metaxas si rivolse subito agli alleati inglesi, essendo la Francia impossibilitata a mantenere gli accordi prebellici.

Coinvolti nel conflitto furono i “Granatieri di Sardegna”, i “Lancieri di Milano”, i “Lancieri d’Aosta”, i fanti della “Siena”, della “Ferrara”, della “Parma”, della “Venezia”, del “Piemonte”, della “Arezzo”, della “Bari” che preparava uno sbarco anfibio su Corfù, la 131esima Divisione corazzata “Centauro”, la Terza Divisione Alpina “Julia”, i carabinieri, i miliziani; altre divisioni si preparavano a marciare su Atene dove avrebbero dovuto arrivare, secondo le fauste previsione iniziali, in novembre.

Il piano di attacco italiano in capo al generale Sebastiano Visconti Prasca, venne fermato dal maltempo che rese ancor più faticosa l’avanzata e portò a cancellare il previsto sbarco a Corfù, e dagli uomini del generale greco Alexadros Papagos che, con l’aiuto della Royal Air Force, riuscì a fermare l’offensiva e a respingere le forze italiane oltre la frontiera, penetrando anche in territorio albanese. I successi militari italiani si rivelarono ben presto fragili per insufficienza di forze o della loro organizzazione, come nel caso degli alpini della “Julia” che si ritrovarono ben presto isolati se non per i rifornimenti aerei.

Malgrado il cambio al comando italiano, dato che Visconti Prasca continuava a concentrarsi sull’offensiva dell’Epiro (per la quale si preparava ad arrivare anche la Seconda Divisione alpina “Tridentina”) e a non pensare preoccupante la situazione, il fronte non si stabilizzò fino a febbraio, quando poi l’esercito italiano cercò di sferrare la controffensiva per respingere i greci dal territorio albanese, con scarso successo. Solo nel mese di aprile le forze tedesche riuscirono ad avere la meglio invadendo la Iugoslavia e la Grecia e costringendole alla capitolazione, in aiuto all’alleato. Lo smacco politico fu evidente e per Mussolini si riassunse con una pessima reputazione nei confronti dell’alleato che non aveva intenzione di aprire il fronte balcanico, ma vi si vide costretto per necessità di prestigio politico.

Già il 23 novembre si era cercato un capro espiatorio e Farinacci aveva accusato lo Stato Maggiore, ottenendo le dimissioni da parte di Badoglio che venne sostituito dal Re con Ugo Cavallero. Questi venne inviato sul campo ad affiancare il comandante Soddu fino a dicembre, quando Soddu venne chiamato a Roma e Cavallero prese pieni poteri sulle armate in lotta.

Proprio il 23 novembre la Romania aderì al Patto Tripartito, seguendo l’Ungheria, su proposta di Hitler che si era assicurato ancora la neutralità turca e che aveva messo in atto un’azione di intervento nell’area perché vedeva chiaramente la minaccia del consolidamento della posizione della Gran Bretagna nel Mediterraneo, grazie alla collaborazione con la Grecia. Inoltre, il comando militare tedesco non concordava con le lungaggini della lotta italiana nell’area, avendo supposto almeno un’azione rapida come era stata in primavera l’avanzata tedesca in Europa verso la Francia; fatto che forse era anche nelle intenzioni di Mussolini.

Cavallero cominciò a pensare, quindi, di riprendere Himara e Porto Edda, ma con terribili risultati. Cavallero riprese le idee di attacco nel febbraio 1941, mente i greci, non senza simili problemi interni ai comandi e dopo la morte del capo del governo, cercavano di dare la spallata a Valona. L’offensiva di primavera ebbe come spettatore Mussolini, giunto appositamente in Albania per vedere l’azione dell’artiglieria e dei bombardieri organizzata per aprire la strada al Settimo Corpo d’Armata del generale Gastone-Gambara, circa 50mila uomini. Anche questa operazione portò a pochi risultati sul campo e in marzo ci fu l’erroneo affondamento della nave ospedale “Po” da parte inglese, probabilmente organizzato perché a bordo della nave doveva esserci la figlia di Mussolini, in soccorso ai feriti che venivano riportati in patria.

Nel frattempo, appunto, la Germania decise l’invasione della Iugoslavia e, di conseguenza, della Grecia, a seguito di rivolte antinaziste a Belgrado e della rinuncia iugoslava di firmare il Patto Tripartito. La rete ferroviaria del Paese era troppo importante e la situazione diventava di ora in ora troppo pericolosa, vicina alle alleanze inglesi, per poter tergiversare ancora. L’attacco simultaneo tedesco ai due Paesi iniziò il 6 aprile 1941, mentre Cavallero ricevette l’ordine di ripiegare sul fronte iugoslavo-albanese per difenderlo da eventuali azioni in quella zona. L’attacco alla Iugoslavia fu fulmineo e lo stesso avvenne per la Grecia che non riuscì ad opporre l’adeguata resistenza; le truppe italiane occuparono le aree lasciate libere dai greci in ritirata, non senza confusioni quando si trattò di accettare le clausole dell’armistizio, dato che i greci non si volevano arrendere agli italiani e che la situazione sul campo a volte non era chiara. Il 23 aprile, tuttavia, Jodl e Ferrero firmarono l’armistizio con i greci. Il 27 aprile le truppe tedesche entrarono in Atene e la Grecia venne divisa tra i Paesi alleati dell’Asse, su decisione tedesca.

[1]Alessia Biasiolo è Membro Associato al CESVAM, professoressa, docente del Master di 1° Livello in Storia Militare Contemporanea, Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, Socio dell’Istituto del Nastro Azzurro