II – Grecia

  

Per iniziare una ricerca sulle ricompense militari greche crediamo bene rifarci alle primissime fonti storiche di questo popolo e quindi alla mitologia, la quale perchè tramandata per tradizione orale dai più antichi progenitori può conservare, nel suo passaggio tra questi, traccia dei loro usi e costumi.

Il prototipo dell’eroe in genere, specificatamente di quello greco è senz’altro Eracle, l’eco delle cui epiche gesta non si spegnerà mai nei secoli. Di lui sappiamo come alla sua seconda impresa, avendo liberato Tebe dal tributo che si doveva a quei di Orcòmeno, vincendoli in guerra, ottenesse dagli Dei come ambita ricompensa, una splendida armatura.

La principale e più antica fonte alla quale dobbiamo riferirci per conoscere la vita greca del IX secolo, è l’Iliade. In questo celeberrimo poema epico troviamo come gli stessi vincitori usassero togliere le armi al nemico vinto e le indossassero quale segno d’onore; a tale proposito basterà ricordare quel mirabile episodio della morte di Ettore, che, vinto Patroclo, il più caro amico dell’invulnerabile Achille, ne riveste le armi, aumentando il furore di quest’ultimo nella lotta che gli sarà fatale.

La costumanza di rivestire armi o oggetti appartenenti al nemico vinto risulta anche da un episodio dell’Eneide di Virgilio, il quale nella compilazione del suo capolavoro avrà certo tenuto presenti i costumi dell’antica epoca a cui si riferiva, costumi a lui noti dei materiali allora esistenti, certo in più larga abbondanza che non ai nostri giorni. L’episodio cui accenniamo è il duello tra Turno ed Enea; questi infatti dà il colpo di grazia all’avversario supplice avendogli scorto indosso il balteo (cintura di spada) di Pallante, suo indivisibile amico, ucciso poco tempo prima dal fiero Re dei Rutuli.

Tornando alle corone come segno di distinzione, è da notare quanto hanno constatato alcuni studiosi [1] e cioè, che nell’Iliade non si parla mai di esse, donde appare che il loro uso provenne alla civiltà greca probabilmente dall’Oriente dopo il IX secolo. Ad ogni modo si riscontra in seguito un’invasione di tale ornamento che veniva adoperato in diverse circostanze, specialmente in segno di letizia e nei banchetti, come pure, per uso religioso, nei sacrifici e negli oracoli. Le corone onorifiche esistevano in Grecia e ne abbiamo notizia da molti scrittori i quali incidentalmente ci dicono come a questo o a quel personaggio fossero state assegnate. Pare inoltre che fossero concesse anche a titolo di ricompensa militare e che fossero di diverse specie a seconda delle azioni da premiare. Questo si arguisce dal fatto che Demostene pronunziò un discorso sulla «Corona navale » mentre Diodoro ricorda come Denis di Siracusa decretasse a tale Archilo, il quale scalò per primo le mura di Motye, una corona che si potrebbe benissimo chiamare muralis. Abbiamo poi da antichi testi notizia di molti generali greci tra i quali Conone e Lisandro, i quali offrirono agli Dei tali segni d’onore ricevuti in premio.

Le corone onorifiche dovevano certamente essere ambitissimo distintivo se si pensi che venivano assegnate solo in base a un decreto del senato e del popolo. Tutto questo avveniva però dopo il V secolo a. C. e perciò cerchiamo di stabilire gli usi delle ricompense militari precedentemente.

E’ universalmente nota l’importanza attribuita dai Greci ai giuochi ginnici e l’istituzione di gare per stimolare e spingere i giovani a sviluppare e perfezionare il fisico. I giuochi olimpici ebbero così gran parte nella vita greca e grandissima fu la considerazione di cui era circondato il vincitore. Questi era paragonato agli eroi d’imprese leggendarie. Presso gli Spartani marciava in guerra avanti a tutti ed era suo privilegio far scudo col suo corpo al re. E’ da credere perciò che le ricompense a lui assegnate fossero eguali a quelle attribuite ai soldati più valorosi.

Dai resoconti rimastici sulle manifestazioni che si svolgevano ogni quattro anni in Olimpia, e specialmente dalle odi di Pindaro, sappiamo come al vincitore dei giuochi olimpici s’imponesse sul capo, tra il clangore delle trombe e le grida di giubilo di migliaia di spettatori, una corona di ulivo. Però su un vaso attico troviamo dipinta la figura di un atleta con tale corona in mano e sulla testa un curioso copricapo a punta, sul tipo di quello dei maghi medioevali, dalla cui estremità pende una lunghissima benda, mentre sul braccio sinistro all’altezza del bicipite, tiene legato a fiocco un altro nastro di colore scuro, probabilmente di porpora; altrettanto si vede sulla coscia sinistra. Questo ci richiama passi di autori greci in cui si parla di bende, le quali, in sostanza, erano attributo di divinità e l’insignito godeva fama di semidio, per cui niente di più facile che colui il quale avesse intrapreso imprese eroiche contro il nemico ottenesse tale ricompensa.

A convalidare l’ipotesi che si usassero eguali premi tanto per onorare i soldati valorosi quanto per gli atleti vincitori si può ricordare che Plutarco, nella vita di Temistocle, raccontando come Sparta premiò il suo ammiraglio Euribiade ed il grande capitano ateniese, trionfatori della celeberrima battaglia di Salamina (480 a. C.) dice che i Lacedemoni « diedero premio di fortezza ad Euribiade e di sapienza a Temistocle, il qual premio consisteva in una corona di olivo » la quale, a sua volta, come abbiamo già visto, non era altro che l’ambitissima ricompensa del vincitore dei giuochi olim- pici e che certamente veniva assegnata anche a coloro che si distinguevano nei fatti d’arme. Vi erano, inoltre, le palme ma queste servivano piuttosto per onorare i ginnasti e gli artisti; esse divennero così sinonimo di vittoria ed è perciò che il loro nome ricorre tanto spesso, specialmente nelle composizioni poetiche.

[1]DAREMBERG et SAGLIO: “Dictionnaire des antiquitésgreques et romaines”.