7 aprile 1944: Eccidio della Benedicta

  
benedicta.jpg

Alla Benedicta, antico convento in rovina trasformato in cascinale, sull’Appennino Ligure-Piemontese, era stata posta l’intendenza della 3° Brigata d’assalto Garibaldi “Liguria”. La località era divenuta meta di molti giovani delle vallate viciniori che, per sfuggire ai bandi repubblichini di chiamata alle armi, andavano a ingrossare due diverse unità partigiane: la Brigata Autonoma “Alessandria”, comandata dal capitano dei granatieri Gian Carlo Odino (Italo) e la “Liguria”, comandata dal capitano degli alpini Edmondo Tosi.

Per quanto forti complessivamente di circa mille uomini, le due formazioni non costituivano per i tedeschi un pericolo immediato poiché i loro effettivi, scarsamente armati, erano suddivisi in molti distaccamenti, dispersi su un territorio vasto e assai accessibile. Nella primavera del 1944 i tedeschi perciò decisero un rastrellamento mirante a distruggere tutte le formazioni attestate intorno alla Benedicta. L’operazione ebbe inizio all’alba del 6/4/1944.

Circondata tutta la zona tra la val Stura, la val Scrivia, la val Polcevera, e chiuse le rotabili poste ai margini di quel settore montano, tre colonne puntarono verso il centro del territorio occupato dalle bande partigiane.
Sotto l’urto della colonna proveniente da Voltaggio, i distaccamenti della Brigata Autonoma ripiegarono verso l’interno dell’altipiano, in direzione del cascinale della Benedicta, lasciando alla retroguardia un gruppo di trenta uomini guidati da Giuseppe Merlo, con il compito di distruggere i documenti del Comando e di occultare il materiale non trasportabilie. La seconda colonna tedesca, dopo aver infranto l’accanita resistenza del 1° Distaccamento della Brigata Garibaldi. esclusivamente composto di partigiani russi si diresse rapidamente verso il villaggio Capanne di Marcarolo, dove si trovavano gli altri distaccamenti della “Liguria”, formati da un esiguo numero di ex militari bene armati e da molti giovani volontari del tutto inesperti. Sotto l’improvviso attacco alcuni distaccamenti si dispersero, mentre altri si frazionarono in piccoli gruppi nel tentativo di sfuggire all’accerchiamento
A rendere più tragica la situazione dei partigiani sopraggiunse la terza colonna tedesca. I comandanti dei gruppi ordinarono di affrettare la marcia verso la Benedicta dove però vennero immediatamente catturati dai tedeschi insieme a tutti gli appartenenti alla Brigata Autonoma.
All’alba dell’indomani (era il Venerdì Santo) ebbe inizio la rappresaglia: settantacinque prigionieri, per la maggior parte ragazzi non ancora ventenni, vennero condotti nel cortile del convento e fucilati.
Il rastrellamento della zona continuò il 7 e l’8 aprile, con altre vittime. Trenta partigiani, raccolti dal tenente Casalini sul monte Orditano e sorpresi dai tedeschi nei pressi di passo Mezzano, il 6 aprile si batterono valorosamente fino all’ultimo: quattordici di essi caddero nei combattimento. Il tenente Casalini, che tenne un contegno fierissimo, venne fucilato a Voltaggio dove, a due riprese, altri sedici partigiani subirono la stessa sorte. Altri quaranta, sorpresi tra Rossiglione e Campoligure, furono tradotti a Masone: tredici di essi vennero fucilati a Villa Bagnara. Altri diciannove membri delle due brigate partigiane, tra i quali il capitano Odino, Walter Ulanovski ed Isidoro Maria Pestarino, vennero condotti alla Casa dello studente a Genova. Dopo essere stati torturati, furono fucilati il 19 maggio al Colle del Turchino, insieme a una quarantina di altri detenuti politici genovesi.