GIUSEPPE CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO

  

Nacque a Roma il 26 maggio del 1901 in una famiglia di antica tradizione militare originaria di Mondovì, in provincia di Cuneo. Arruolatosi volontario a soli diciassette anni e assegnato alle truppe mobilitate in zona di guerra del 1° reggimento Alpini, ricevette il battesimo del fuoco il 31 agosto del 1918. Al termine del conflitto, promosso Sottotenente di complemento e assegnato al 1° reggimento Genio, il 2 novembre del 1919 prestò giuramento di fedeltà al Re e ai suoi successori.

Nel gennaio successivo, si congedò e riprese gli studi universitari, interrotti due anni prima, al Regio Politecnico di Torino. Conseguita la laurea in Ingegneria civile, il 29 luglio 1923, trovò lavoro come ingegnere progettista e, nell’agosto successivo, sposò Amalia Dematteis, da cui avrà cinque figli: Manfredi, Andrea, Lydia, Ysolda e Adriana.

La vocazione militare, però, non era sopita: il 18 dicembre del 1924 fu nominato Tenente del Genio. Nel gennaio del 1928, col grado di Capitano, ottenne il comando della 1ª Compagnia del reggimento Ferrovieri del Genio di Torino e cominciò a insegnare Scienza delle Costruzioni alla Scuola di Applicazione di Artiglieria. Dal 1930, per tre anni, frequentò la Scuola di Guerra ove si classifico primo e il 27 novembre del 1934 fu nominato 1° Capitano al comando del Corpo d’Armata di Torino.

Allo scoppio della guerra d’Etiopia, nell’ottobre del 1935, Montezemolo venne richiamato a Roma all’Ufficio Servizi del Corpo di Stato Maggiore. ln seguito, ottenuto il comando di un battaglione del 1° reggimento Genio a Vercelli, nel settembre del 1937 si arruolò nel Corpo Truppe Volontarie italiano in partenza per la Spagna e, divenuto capo di Stato Maggiore della Brigata “Frecce Nere”, ottenne la promozione a Tenente Colonnello per merito di guerra e una Croce di Guerra al Valor Militare.

 

Alla vigilia dell’entrata in guerra del Regno d’Italia, il 4 giugno del 1940, fu trasferito al Comando Supremo dell’Esercito e posto a capo dell’Ufficio Operazioni dello scacchiere africano. Nel maggio 1943, ottenne la promozione a Colonnello con anzianità primo luglio 1942 e gli venne conferita la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. La sua presenza fu determinante nei principali vertici militari con le autorità tedesche: partecipo anche al drammatico incontro di Feltre, il 19 luglio 1943, quando ormai era profondamente deluso dal fascismo e persuaso che la sconfitta fosse inevitabile. Ebbe infatti un ruolo di spicco nel progetto volto a destituire Mussolini promosso dal capo di Stato Maggiore Generale Ambrosio, succeduto a Cavallero. Dopo la caduta del regime fascista, il nuovo capo del governo, Badoglio, lo volle accanto a sé e gli affidò la direzione della sua segreteria particolare. Ma a Montezemolo non poteva che andar stretta una mansione di tipo politico e, sollevato dall’incarico su sua esplicita richiesta, si mise a disposizione del Generale Carboni che lo pose al comando dell’11° Raggruppamento Genio motocorazzato.

L’armistizio con gli Alleati, l’8 settembre 1943, lo sorprese mentre era impegnato nell’allestimento dell’unità combattente. Nelle ore immediatamente successive, la furia tedesca si abbatté sulla capitale. Il Colonnello, lasciato senza ordini superiori, partecipò strenuamente alla difesa di Roma e fece parte della delegazione italiana che il 10 settembre raggiunse il comando del Maresciallo Kesselring per concludere la resa, ottenere il riconoscimento dello status di città aperta per la capitale e stabilire i rapporti che sarebbero intercorsi con le autorità occupanti.

Calvi di Bergolo, comandante della città aperta, lo pose a capo della direzione dell’Ufficio affari civili e quando, il 23 settembre 1943, venne fondata la Repubblica Sociale, Montezemolo non ebbe esitazioni: rifiutò di prestare giuramento di fedeltà al fascismo rinato a Salò e riconobbe nel Governo del Sud l’unico legittimo. È proprio in quelle ore che in lui prese corpo il progetto di un’organizzazione militare clandestina che resistesse ai nazifascisti e proteggesse la popolazione: il Fronte Militare Clandestino di Resistenza. In pochi mesi, il FMCR poté contare su un organico che raggiunse dodicimila patrioti operanti nelle bande interne, entro le mura della capitale, e diciassettemila effettivi nelle bande esterne che, grazie a Montezemolo, vennero legittimamente riconosciute come un Reparto delle Forze Armate italiane rimasto isolato in territorio occupato, formato da combattenti regolari in servizio militare presso le varie zone d’operazione. L’organizzazione clandestina stabilì un contatto radio col Comando Supremo trasferitosi a Brindisi che, tra le sue prime comunicazioni, designò il Colonnello suo diretto rappresentante in Roma col compito di predisporre e dirigere la lotta di liberazione. Siglati da una “M”, i messaggi che quotidianamente il FMCR fece pervenire al Governo del Sud e, suo tramite, agli Alleati, rappresentarono un’inestimabile fonte di informazioni strategiche che agevolarono grandemente le operazioni angloamericane.

Il 10 dicembre del 1943, per definire e precisare i compiti affidati al dispositivo militare, Montezemolo scrisse di suo pugno le “Direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia” e le diramò ai comandanti militari regionali del FMCR. In esse si chiariva che, per evitare rappresaglie tedesche sulla popolazione, la guerriglia sarebbe stata ammessa esclusivamente al di fuori del territorio urbano. Tale impostazione strategica era in netto contrasto con quella adottata dai partiti, soprattutto dal Partito Comunista, le cui avanguardie armate praticavano la lotta aperta senza quartiere anche all’interno delle mura cittadine. Ma per Montezemolo le divergenze ideologiche e tattiche non avrebbero dovuto pregiudicare l’unione di tutte le forze antifasciste. La cooperazione con esse doveva essere cercata, promossa e consolidata superando ogni pregiudiziale politica ed istituzionale per dare al movimento di liberazione qualche speranza di successo. Grazie all’impegno del suo capo, il FMCR fu in grado di instaurare un rapporto di costante e proficua collaborazione coi partiti del Comitato di Liberazione Nazionale e fu il punto di riferimento delle organizzazioni di Resistenza dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Marina e dell’Aeronautica, che afferirono ad esso come centro di coordinamento delle azioni di sabotaggio, per il sostegno finanziario e per il rifornimento di armi e di documenti falsi.

Come affermò Kappler, a Roma Montezemolo era il nemico numero uno dei tedeschi e per questo mise una grossa taglia sulla sua testa. L’occasione propizia per arrestarlo si presentò nei giorni successivi allo sbarco di Anzio, avvenuto il 22 gennaio 1944. Montezemolo fu fermato il 25 gennaio, verosimilmente in seguito a delazione. Rinchiuso per cinquantotto giorni nella cella 1-a del carcere di via Tasso, venne barbaramente torturato. Ma a nulla valsero gli estenuanti interrogatori: il Colonnello non parlò e, al contrario, riuscì a far trapelare dalla prigionia informazioni assai utili per i suoi collaboratori. Ogni tentativo di liberarlo risulto vano. Non venne sottoposto a processo né condannato a morte perché, evidentemente, era una personalità troppo conosciuta e le autorità tedesche paventavano una sollevazione della cittadinanza. Poi, il 24 marzo del 1944, Kappler ebbe finalmente modo di sbarazzarsene quando lo inserì personalmente nelle liste dei 335 Todeskandidaten, i detenuti meritevoli di morte, trucidati alle Fosse Ardeatine.

Nel luglio del 1944, al Colonnello Montezemolo è stata concessa dal Re motu proprio la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.

«Ufficiale superiore dotato di eccezionali qualità morali, intellettuali e di carattere, dopo l’armistizio, fedele al Governo del Re ed al proprio dovere di soldato, organizzava, in zona controllata dai tedeschi, un’efficace resistenza armata contro il tradizionale nemico. Per oltre quattro mesi dirigeva, con fede ed entusiasmo inesauribili, l’attività informativa e le organizzazioni patriote della zona romana. Con opera assidua e con sagace tempestività, eludendo l’accanita vigilanza avversaria, forniva al Comando Supremo alleato ed italiano numerose e preziose informazioni operative, manteneva viva e fattiva l’agitazione dei patrioti italiani, preparava animi, volontà e mezzi per il giorno della riscossa, con una attività personale senza soste, tra rischi continui. Arrestato dalla sbirraglia nazifascista e sottoposto alle più inumane torture, manteneva l’assoluto segreto circa il movimento da lui creato, perfezionato e diretto, salvando così l’organizzazione e la vita ai propri collaboratori. In occasione di una esecuzione sommaria di rappresaglia nemica, veniva allineato con le vittime designate nelle adiacenze delle catacombe romane e barbaramente trucidato. Chiudeva così, nella luce purissima del martirio, una vita eroica, interamente e nobilmente spesa al servizio della Patria.» — Roma, Catacombe di S. Calisto, 24 marzo 1944

Sabrina Sgueglia della Marra

Rivista Militare n. 3/2021