IL CORPO ITALIANO DI LIBERAZIONE (C.I.L.)

  

IL CORPO ITALIANO DI LIBERAZIONE  (C.I.L.)

(22 marzo 1944 – 25 settembre 1944)

 

Occupato Monte Lungo il I Raggruppamento rimase sulle posizioni fino al 21 dicembre, dopo di che, riorganizzate le sue file, si trasferì nella zona di S. Agata dei Goti ove, ai primi di gennaio, passò sotto il controllo diretto della 5ª Armata Americana.

Alla fine di gennaio 1944 il comando del Raggruppamento venne assunto dal Generale Umberto Utili e, nel marzo, si trasformò, trasferendosi nella zona di Scapoli, in “Corpo Italiano di Liberazione”.

Del Corpo Italiano di Liberazione fecero parte:

  • un Reggimento di fanteria: il 68° su due battaglioni (forza circa 1.800 uomini);
  • un Reggimento bersaglieri: il 4° su due battaglioni, XXIX e XXXIII (forza circa 1.250 uomini);
  • un Reggimento artiglieria: l’11°” su tre gruppi (forza circa 600 uomini);
  • un battaglione paracadutisti: il CLXXXV su tre compagnie (forza circa 450 uomini);
  • un battaglione alpini: il “Piemonte”, con una btr. da 75 mm. someggiata (forza circa 600 uomini);
  • un battaglione arditi: il lX reparto d’assalto (forza circa 600 uomini);
  • unità dei Carabinieri, del Genio e dei Servizi.

Era un complesso di forze di tutto rispetto.

Il battaglione alpini ” Piemonte “, costituito il 4 di dicembre 1943 a Nardò in Puglia con alpini ed artiglieri della Divisione “Taurinense”, passò in febbraio alle dipendenze del costituendo C.I.L., in quel momento inquadrato nella 2ª Divisione del Corpo di Spedizione francese comandato dal Generale Juin. Il battaglione ebbe il compito di occupare Monte Marrone (alto m. 1.806), con una impervia parete rocciosa di circa 800 metri a strapiombo su Scapoli.

Occupata il 31 marzo, con un colpo di mano da manuale, la cima del monte, Ia reazione nemica non si fece attendere. Infatti già il 2 aprile i tedeschi, con un’azione esplorativa, si avvicinarono ad 800 metri dalle postazioni italiane, per tornarvi poi il giorno dopo, alle ore 05.30, più in forze e con l’intento di occuparle.

Con le armi puntate sulle tute bianche indossate dai tedeschi, per confondersi con la neve, gli alpini attesero il combattimento ravvicinato e, quando le sagome bianche furono a soli 20 metri, aprirono il fuoco. Pronta la reazione dei tedeschi acquattati tra i larici e fu duello generalizzato.

Funzionò anche lo sbarramento minato disposto dagli alpini. I tedeschi furono messi in fuga ma tornarono in forze il 10 aprile, la notte di Pasqua, agguerriti e decisi a buttare nel vuoto gli alpini in bilico sugli strapiombi. Tre battaglioni di Gebirgjấger: due furono bloccati dal fuoco di sbarramento di artiglieria, uno penetrò nei camminamenti italiani. Lotta in casa, quasi mischia nel buio della notte. Quando gli alpini della 1ª compagnia che occupavano la cima furono in difficoltà, l’intervento tempestivo di quelli della 3ª, appostati sul fianco destro, fu determinante. Il fuoco di sbarramento delle artiglierie impedì ai rincalzi tedeschi di raggiungere i reparti avanzati, mentre gli alpini esploratori, rioccupata la vetta che dominava la sottostante trincea italiana già conquistata in parte dai tedeschi, li snidarono e li misero in fuga.

Gli sviluppi favorevoli conseguenti alle brillanti azioni di Monte Marrone non tardarono a farsi sentire. Il 24 maggio venne dato l’ordine al 4° Reggimento bersaglieri, agli alpini del battaglione “Piemonte”, al CLXXXV Reparto paracadutisti, al IX Reparto d’assalto ed al IV Gruppo artiglieria someggiato di avanzare per l’alto lungo la direttrice M. Marrone, M. Mare, valle Venafrana, Picinisco. La resistenza tedesca si irrigidiva sul monte Irto e Monte Pietroso che sbarrano l’accesso alla valle di Fondillo, ovunque avanzando, il 28 fu raggiunto Picinisco. Il fronte orientale aveva ceduto con un attacco per l’alto.

Rudolf Boehmler, autore di “Monte Cassino”, scrisse che “se il Generale Clark (Comandante della 5ª Armata Americana) avesse dato maggiore ascolto a Juin (Comandante del Corpo di Spedizione francese-marocchino) e se avesse seguito il suo progetto di avanzare per l’alto verso Atina lungo la valle del Liri, le sanguinose battaglie di Cassino non avrebbero avuto mai luogo”. Ci riuscirono gli italiani nei giorni che precedettero la caduta di Cassino: gli arditi del IX Reparto d’assalto misero in fuga l’ala sinistra della 5q “Gebirg Division” (austriaca), occupando Picinisco e i sobborghi di Atina e forzando la linea Gustav sulla direttrice operativa sulla valle del Liri.

Era la realizzazione del sogno di Juin, ma fu anche l’ordine di tornare indietro, quando i soldati italiani del Corpo Italiano di Liberazione già gridavano “Roma, Roma!”. Gli Alleati, in particolare i Britannici, non vedevano di buon occhio l’entrata a Roma delle Unità italiane.

Il Maresciallo Alexander, Comandante del XV Gruppo Armate, già non si rassegnava all’idea che Roma sarebbe stata liberata solo dalla 5ª Armata Americana e tanto meno era disposto a consentire che a questa liberazione partecipassero unità del Corpo Italiano di Liberazione. Da qui l’ordine di dirottare il CIL trasferendolo sul versante adriatico. Gli Alleati dimenticavano, però, che della 5ª Armata faceva parte la 210ª Divisione di fanteria ausiliaria composta da italiani. Con un colpo di mano, tutto all’italiana, il 7 giugno 1944 essi riuscirono ad entrare a Roma, tra l’entusiasmo dei romani, con una rappresentanza costituita da una compagnia di fanti, con musica e bandiera , del 67° fanteria, quello di Monte Lungo che, dopo aver sfilato in Piazza Venezia, andò a montare la guardia al Palazzo del Quirinale, dove, due giorni prima si era trasferito il Principe Umberto di Savoia, Luogotenente Generale del Regno.

Per effetto della sempre maggiore fiducia che le truppe italiane avevano saputo conquistare con il loro ottimo comportamento, su proposta del Generale Utili, gli Alleati autorizzarono un potenziamento delle forze italiane che portò gli effettivi del C.I.L. ad un organico di circa 25.000 uomini. Era la prima volta che tutte le Unità combattenti italiane si trovavano riunite in un unico settore sotto comando italiano.

Con urgenza si imponeva il problema della costituzione, nell’ambito del C.I.L., di comandi intermedi e raggruppamenti di forze con diretta responsabilità operativa. Il 1° giugno 1944 il C.I.L. venne quindi organizzato su due Brigate, una Divisione ed un Comando artiglieria:

  • la I Brigata era costituita dal 4° Rgt. bersaglieri, dal 3° Reggimento alpini, con i battaglioni “Piemonte” e “M. Granero”, dal CXXXV Reparto paracadutisti, dal IV Gruppo artiglieria someggiato;
  • la II Brigata era costituita dal glorioso 68° Reggimento fanteria, che combatté a Montelungo, dal IX Reparto d’assalto, dal Rgt. Marina “San Marco” (battaglioni Marina “Bafile” e “Grado”, giunto in un secondo tempo), dallo squadrone volontari “Guide”, dal V gruppo artiglieria someggiato;
  • La Divisione “Nembo”, sbarcata dalla Sardegna che manteneva integra la sua costituzione iniziale su due Reggimenti paracadutisti (183° e 184°) ed un Reggimento artiglieria;
  • Il Comando di artiglieria che inquadrava prevalentemente il glorioso 11° di Monte Lungo.

Dopo aver raggiunto il suo definitivo assetto organico, il C.I.L. dall’8 giugno iniziò una travolgente offensiva che doveva portarlo da Guardiagrele al Metauro. L’avanzata ebbe soste obbligate in quanto il LXXVI Corpo d’Armata germanico condusse una manovra in ritirata da manuale. Tre mesi di tempo, dal giugno al settembre, guadagnati cedendo circa 200 km.

Lo sfondamento della linea invernale l’8 giugno portò alla conquista di Canosa Sannita, Guardiagrele e Orsogna. Mentre dopo questa operazione la II Brigata rimase a presidio del settore, i bersaglieri e gli alpini della I Brigata proseguirono l’avanzata ed occuparono Bucchianico. I paracadutisti uscendo dal settore del C.I.L., raggiungevano Chieti ed alcune località sulla costa.

Nei giorni 11, 13 e 15 giugno elementi della I Brigata raggiunsero rispettivamente Sulmona, L’Aquila e Teramo. Dura poi fu la resistenza tedesca sul Chienti, ma, serrati sotto i reparti che nella rapida avanzata si erano scaglionati per decine di chilometri, a fine giugno furono occupate Tolentino e Macerata ed il Chienti fu superato in direzione di Cingoli. La zona di Filottrano costituiva per il difensore tedesco la posizione più forte, ma la sua conquista era indispensabile per la presa di Ancona.

Inizialmente fu sottovalutata la difficoltà dell’operazione ed oltre 300 paracadutisti del “Nembo” morirono per la sua conquista, anche perché i tedeschi contrattaccarono con carri armati ed intenso fuoco di artiglieria a massa. All’alba del 9 luglio i paracaduti del “Nembo” issarono il tricolore sulla torre comunale.

A metà di luglio i polacchi conquistarono Ancona ed il C.I.L. riprese il suo movimento lungo la direttrice più interna rispetto a quella costiera’

Fu una logorante guerra di movimento fin quasi a ridosso della linea invernale Gotica e il Corpo Italiano di Liberazione giunse al fiume Metauro completamente stremato, dopo aver abbandonato lungo la strada la maggior parte dei logori mezzi che, se avevano miracolosamente resistito ad una guerra di posizione con la 5ª Armata, risultarono inaffidabili per una guerra di movimento con l’8ª Armata.

L’alto morale dei Reparti italiani, il loro entusiasmo, la decisa volontà di battersi per la liberazione del suolo della Patria, destarono l’ammirazione degli Alleati che stabilirono di aumentare, in notevole misura, le possibilità d’impiego dei Reparti italiani e di assegnare loro armi ed equipaggiamenti più moderni.

Venne deciso quindi di costituire con i Reparti del C.I.L., integrati da nuove forze italiane provenienti dalla Sardegna, sei Divisioni che avrebbero dovuto assumere la denominazione di “Gruppi di Combattimento“.

Ed il 25 settembre 1944, il C.I.L. venne ripiegato dal fronte e sciolto.

Tratto da “Le Forze Armate dalla Guerra di Liberazione alla nascita della Repubblica 1943-1947” Gen.C.A. Luigi POLI – Prof. Gianni Oliva