Una pagina di Storia attraverso una mostrina
( Nella foto la Mostrina dei Paracadutisti)
Leonardo Prizzi
Le mostrine
Ogni collettività ha il bisogno di riconoscersi, di identificarsi in simboli che sintetizzino e ricordino visivamente ai propri membri, ma anche a chi non ne fa parte, la storia, le caratteristiche peculiari, il modo di essere di quella collettività. Le collettività militari utilizzano da sempre questi simboli identitari. Fra questi, hanno un particolare rilievo le mostrine che richiamano le glorie e i sacrifici, talvolta secolari, di ogni unità. Non sono, quindi, dei semplici ornamenti dell’uniforme, ma sono il simbolo più proprio dell’unità e della sua peculiare identità. I militari le indossano non per essere più eleganti, ma per mostrare l’orgoglio dell’appartenenza a quella unità.
Quanto di seguito descritto è una ulteriore dimostrazione di quanto affermato e, nel contempo, del perdurante fascino della ricerca storica.
Una foto a Penne
Un pomeriggio, durante una ricerca di documenti nell’Archivio Storico del Comune di Penne, attinenti alla liberazione della città – avvenuta il 13 giugno 1944, per opera dei paracadutisti della Divisione Fanteria “Nembo” (184^), che faceva parte del Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.), a sua volta inserito nel V Corpo d’Armata britannico dell’8^ Armata britannica – ne incontro il Sindaco, anche lui appassionato di storia. Dopo averlo aggiornato sui risultati fino allora da me acquisiti, egli mi mostra delle foto, scattate dall’unico fotografo a suo tempo esistente nella città e relative proprio alla liberazione di Penne. Foto che lui aveva ricevuto in dono dal fotografo stesso, anni prima. Sicuro di prendere visione di inedite prove della liberazione della cittadina effettuata dai “Garibaldini dell’aria”(1) (foto n. 1), guardo le foto. Sulla fronte di una di queste (2) (foto n. 2), si vede un caporale del nostro Esercito accanto a una moto, quasi sommersa dai fiori, attorniato dalla popolazione festante.
Affermo subito che l’uniforme e l’armamento in dotazione – il Moschetto Automatico Beretta (MAB) 38-A, cal. 9 mm – di quel militare lo identificano come appartenente alla 184^ compagnia paracadutisti motociclisti (foto n. 3), punta avanzata della Divisione “Nembo”, che era giunta per prima nella antica capitale dei Vestini, come riportato nel Diario Storico del C.I.L. (foto n. 4 e 5). Dopo queste mie considerazioni, il Sindaco mi mostra che sul retro della foto vi era riportata, con i caratteri tipici delle vecchie macchine da scrivere, la frase : 13 giugno 1944 – LIBERAZIONE DI PENNE – Bersaglieri Italiani della “Nembo”. Commento ancora che quella foto rappresenta una importante prova documentale, poiché riporta con chiarezza la data di liberazione della città e il nome della Grande Unità italiana che l’ha effettuata. Tuttavia, evidenzio l’errore dell’attribuzione ai “bersaglieri” del merito di essere giunti per primi in città. Errore che poteva avere più giustificazioni. Il fotografo poteva essere stato poco esperto di cose militari o condizionato dalla propaganda militare di quel periodo che presentava le moto come mezzo in dotazione alle sole unità dei bersaglieri. Unità queste, spesso presenti nelle forme di comunicazione del Fascismo, visto che Mussolini, arruolatosi da volontario, era stato Caporale dei bersaglieri durante la I Guerra Mondiale. Una più articolata spiegazione poteva essere dedotta dal possibile colloquio intercorso fra il fotografo, sicuramente testimone della liberazione della città, i cittadini pennesi e i loro liberatori. Colloquio quasi sicuramente caratterizzato dalla curiosità dei cittadini sull’origine regionale e sulla unità di appartenenza di quei militari italiani, che nessuno dei primi pensava ancora in armi. Può darsi, quindi, che il Caporale fotografato, nell’indicare correttamente la Divisione di appartenenza, abbia aggiunto che prima di diventare un paracadutista era stato un bersagliere. Affermazione questa veritiera perché, fin dalla costituzione della Specialità dei paracadutisti e per molti decenni successivi, le sue Unità sono state un bellissimo ed efficace “crogiolo” di militari di ogni grado provenienti da tutte le Armi, Corpi e Specialità dell’Esercito.
L’incontro con il Sindaco termina con il graditissimo regalo di copia delle citate foto.
Pur con la gioia di aver visto un inedito e importante documento storico, la “contraddizione” in esso riportata circa l’appartenenza dei liberatori alla “Nembo” e ai bersaglieri, anche se giustificabile nei termini accennati, fa nascere in me il “tarlo” del dubbio. Appena posso, ingrandisco più volte la foto donatami di quel motociclista, per vedere meglio la mostrina posta sul bavero della sua uniforme. Dall’ingrandimento emerge, pur nella scarsa nitidezza, una “fiamma a due punte”. Mostreggiatura completamente diversa da quella dei paracadutisti dell’epoca (foto n. 6), ma simile a quella dei bersaglieri. Tutto quello che fino a quel momento avevo creduto e affermato perdeva di validità !
Ero sicuro, grazie anche a quella foto, che la 184^ compagnia paracadutisti motociclisti della “Nembo” fosse stata la prima unità in assoluto a entrare nella città di Penne, ma come giustificare la presenza di quella mostreggiatura sull’uniforme di uno dei primi liberatori della città stessa?
Al momento, la risposta più plausibile che mi sono dato è scaturita dalle miserevoli condizioni dell’equipaggiamento dei nostri militari che hanno fatto parte sia del I Raggruppamento Motorizzato sia del Corpo Italiano di Liberazione. Gli sconvolgenti e tragici eventi, successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943, hanno determinato, tra l’altro, la distruzione o l’asportazione delle uniformi custodite nei magazzini del nostro Commissariato a opera delle truppe tedesche, di quelle anglo – americane e anche, bisogna ammetterlo, da parte di italiani che li hanno saccheggiati per bisogno, vandalismo o semplice interesse criminale. Quindi, i militari che hanno deciso di continuare a servire l’Italia nei ranghi delle unità regolari del nostro Esercito lo hanno fatto indossando la stessa uniforme che avevano nell’estate 1943 (!), con scarse o nulle possibilità di sostituirle in parte o integralmente. Soltanto a partire dal settembre 1944, infatti, i militari italiani destinati a far parte dei sei Gruppi di Combattimento – “Cremona”, “Friuli”, “Folgore”, “Legnano”, “Mantova” e “Piceno”- saranno finalmente equipaggiati con nuove uniformi, ma … dell’Esercito britannico!
Sulla base delle citate difficoltà logistiche, ho ritenuto molto probabile che quel motociclista, pur facendo parte di una unità di paracadutisti, in sostituzione della propria giubba originaria non più utilizzabile, ne abbia ricevuta/recuperata un’altra, ma con la mostreggiatura dei bersaglieri.
A Filottrano, in Provincia di Ancona, mesi dopo, tuttavia …
La “Nembo” a Filottrano
Mi trovavo a Filottrano per l’annuale commemorazione della battaglia per la sua liberazione effettuata dai paracadutisti della Divisione “Nembo”, il 9 luglio 1944, a un mese esatto dalla liberazione di Chieti. La distanza che separa le due Città è di circa 250 km, che i paracadutisti – tranne quelli della 184^ cp. motociclisti e del 184° rgt. artiglieria – hanno percorso a piedi, con armamento individuale, di reparto e relativo munizionamento trasportato a spalla! Quella battaglia è stata la più sanguinosa fra quelle combattute dalla “Nembo” e dall’intero C.I.L. e forse da tutte le unità delle nostre F.A. fino al 2 maggio 1945. Centotrentacinque sono stati i nostri Caduti e i Loro nomi sono riportati sulle lapidi poste sul Palazzo Comunale. Filottrano – che è situata sulla sommità di una collina di soli 270 m s.l.m., ma che domina a giro d’orizzonte il territorio circostante e, quindi, ogni possibile direttrice di attacco – rappresentava una posizione importante sia per la manovra difensiva tedesca, sia per la manovra aggirante alleata tesa alla conquista di Ancona. I paracadutisti della “Nembo” – scattato l’attacco diretto alle posizioni tenute dai tedeschi, l’8 luglio – riescono, nonostante il predominio dei campi di vista e di tiro da parte delle unità nemiche, a raggiungere l’abitato e iniziare un duro combattimento casa per casa. Sul lato destro, lungo la direttrice principale d’attacco, i nostri riescono a penetrare nell’Ospedale Civile, attraverso un varco scoperto per caso nel muro di cinta del complesso. Inizia così una lotta furibonda con i tedeschi asserragliati ai piani superiori del nosocomio e lungo scale, corridoi, stanze di degenza, fra il terrore di ricoverati, medici, infermieri e suore – infermiere. Alla fine, i parà riescono a liberare l’intero Ospedale. Sottoposti a numerosi contrattacchi tedeschi, che hanno l’appoggio di carri armati, gli uomini della “Nembo” sono costretti ad abbandonare le posizioni fino allora sanguinosamente conquistate nell’abitato, tranne quella dell’Ospedale ove si barricano. Il Comando del V Corpo d’Armata britannico, comprendendo la situazione di crisi delle unità italiane e interessato alla rapida conquista di Filottrano per il successivo attacco ad Ancona, propone al Gen. Giorgio Morigi, Comandante della “Nembo”, di far intervenire l’aviazione alleata per bombardare e “ammorbidire” la resistenza tedesca nella cittadina. Il Gen. Morigi rifiuta, consapevole che l’intervento proposto avrebbe determinato la distruzione di Filottrano e il massacro della popolazione che non aveva abbandonato le proprie abitazioni (3). Dopo un giorno di combattimenti ravvicinati ininterrotti, i tedeschi iniziano a ritirarsi e il 9 mattina e i parà non trovano sistema migliore, per comunicare l’avvenuta liberazione della cittadina ai propri Posti Comando, che issare il Tricolore sull’alta mole del serbatoio d’acqua comunale (foto n. 7).
Se una simile battaglia facesse parte della storia dell’Esercito statunitense, sicuramente più registi americani avrebbero contribuito a renderla nota ai compatrioti di tutte le generazioni, realizzando su di essa più film epici. Gli italiani, invece, devono affidarsi al poco che è stato divulgato su quella battaglia, a questo mio modesto scritto e alla propria immaginazione!
Un’altra foto a Filottrano
Ero proprio accanto al monumento che ricorda quei fatti eroici (foto n. 8), posto all’ingresso del citato Ospedale Civile, con il Dottor Giulio Morigi – figlio del Comandante della “Nembo”, che da giovanissimo partigiano, con il fratello maggiore, aveva raggiunto il padre attraversando le linee – quando mi sento apostrofare da uno dei presenti: “Scusi, Lei è stato un Comandante del “Nembo” ? Alla mia risposta affermativa, mi mostra, con commozione, una vecchia tessera militare di riconoscimento – che in vero non avevo mai visto, neanche nei testi militari più specialistici – sulla cui copertina campeggiavano le scritte “NEMBO”, “COMPAGNIA CICLISTI PER DIVISIONE PARACADUTISTI” e il disegno di un paracadute, uguale al distintivo in stoffa che i parà di quel tempo portavano sulla manica sinistra della giacca dell’uniforme (4) (foto n. 9). All’interno (foto n. 10), erano riportati i dati del titolare del documento, che si riportano per chiarezza:
Grado: Paracadutista; Cognome: Bartolini; Nome: Benito; Di: Enrico e di: Donnari Assunta; Nato a: Montegranaro; Il: 19 – 04 – 23; Matricola: 2077492; Distretto: Ascoli Piceno.
Soprattutto, la tessera conteneva la foto del giovane militare che sull’uniforme, in chiara evidenza, porta le mostrine “sottopannate” dei …. bersaglieri – paracadutisti: sopra, fiamma a due punte di color cremisi, sotto, ala a sette penne caricata di un gladio in un rettangolo color cielo (ingrandimento in foto n.11)! Non avevo mai visto delle mostrine di questo tipo, neanche fra le mostreggiature presenti sul sito del nostro Esercito e che ritenevo fossero tutte quelle realizzate nel tempo. Le mostrine “sottopannate” o “sovrapposte” nascono soprattutto per evidenziare l’appartenenza di un militare a una unità inserita organicamente in un’altra, ma di Arma diversa. Ad esempio: i militari di un reggimento di artiglieria facente parte di una Divisione di Fanteria. In tal caso, la mostrina dell’Arma di Artiglieria è posta “sopra” quella della G.U. di Fanteria, che è situata “sotto” e in parte coperta dalla sovrastante. Le mostrine “sottopannate” evidenziate in quella fototessera, invece, rappresentano una eccezione alla regola sopra enunciata, perché derivano dalla sovrapposizione delle mostreggiature di due Specialità della stessa Arma. Da qui, l’eccezionalità della scoperta, dello “scoop”, di questo tipo di mostrine di cui si era persa memoria!
A Filottrano, appena il figlio di quel bersagliere – paracadutista mi mostra la tessera di riconoscimento del suo papà, intuisco che quel documento avrebbe contribuito significativamente alla soluzione del “caso storico e uniformologico” nato mesi prima a Penne, che immediatamente mi è ritornato alla mente. Il fotografo di quella cittadina non si era sbagliato nello scrivere, sulla foto scattata il 13 giugno 1944, bersaglieri e “Nembo”. Non c’era alcuna contraddizione. Esistevano i bersaglieri inseriti nella Divisione paracadutisti “Nembo”! Per chiarire completamente il “caso” era necessario, tuttavia, esaminare le specifiche vicende della Compagnia Ciclisti per Divisione paracadutisti “Nembo”.
La conclusione
Il giorno dell’armistizio, l’8 settembre 1943, la Divisione Fanteria “Nembo” (184^) era dislocata, in gran parte, in Sardegna quale riserva del Comando Forze Armate della regione per contrastare eventuali sbarchi dal mare o aviosbarchi degli Alleati sull’isola. Nella struttura ordinativa della “Nembo” in quel periodo (5) (foto n. 12) si nota la presenza della 184^ compagnia motociclisti e della 284^ compagnia ciclisti, a conferma della veridicità della citata tessera militare. L’annuncio dell’armistizio produce laceranti e tragici effetti sulle nostre unità anche in Sardegna. Infatti, le unità della “Nembo” sono da mesi coinvolte in addestramenti comuni con le unità della 90^ Panzergrenadierdivision, altra “pedina” della riserva dell’Alto Comando regionale italiano. Addestramenti che rafforzano (6), anche, il cameratismo fra paracadutisti e granatieri corazzati e che renderà particolarmente tragica la crisi morale che coinvolgerà i singoli e le unità della “Nembo” al momento dell’armistizio (7). A superare quella dolorosissima crisi contribuisce l’ordine di trasferimento sul continente dell’intera “Nembo” per partecipare alla liberazione d’Italia. Il futuro impiego rende necessaria una significativa riorganizzazione ordinativa della Divisione anche per colmare i vuoti di chi che si è allontanato per continuare a combattere a fianco dei tedeschi, ma anche dei numerosi paracadutisti che, nei mesi di permanenza sull’isola, si sono ammalati di malaria. In particolare, i Reggimenti di Fanteria paracadutisti, 183° e 184°, vengono articolati su due soli battaglioni e viene disciolta la compagnia ciclisti, i cui effettivi vengono assegnati alle unità dei due citati Reggimenti. Lo testimonia, tra l’altro, proprio il bersagliere – paracadutista Benito Bartolini che dalla 284^ cp. ciclisti viene trasferito alla 40^ cp. fuc. del XIV btg. del 184° rgt. f. (par.), unità con cui sbarca il 2 maggio 1944 a Napoli e combatte nei mesi successivi. Viceversa, la 184^cp. motociclisti rimane nella struttura ordinativa della “Nembo” e il suo organico viene ampliato, non solo perché rappresenta l’unica unità di fanteria veramente “mobile” della G.U., ma anche perché il Gen. Umberto Utili, Comandante del C.I.L., è un deciso sostenitore del ruolo operativo che le unità motociclisti potevano svolgere su un territorio come quello italiano e su rotabili sconvolte dalle distruzioni e rese insidiose dal largo uso delle mine (8). Sicuramente, quindi, alcuni bersaglieri ciclisti, già in possesso della relativa patente di guida o rapidamente addestrati alla loro guida, sono stati trasferiti alla 184^ cp. paracadutisti motociclisti per rinforzare l’organico della più “celere” unità esplorante della “Nembo” e dell’intero C.I.L..
L’esame di avvenimenti tragici, di fatti d’arme eroici, di riorganizzazioni ordinative e di difficoltà logistiche, ecc. alla fine hanno permesso di comprendere la presenza dei bersaglieri – paracadutisti della “Nembo” nella liberazione della cittadina di Penne!
Gen. D. (ris.) Leonardo Prizzi
48° Comandante del 183° Reggimento Paracadutisti “Nembo”
N O T E
(1) Espressione usata dai cittadini di Chieti sui manifesti affissi sui muri della città subito dopo la liberazione della stessa il 9 giugno 1944 (foto n. 1), effettuata dai parà della “Nembo”. Vds. anche articolo della stesso Autore in Rivista Militare n. 6 del 2015.
(2) Foto pubblicata su gentile concessione del Sindaco di Penne pro – tempore, Dott. Mario Semproni.
(3) E’ necessario ricordare che la costante presenza di popolazione civile, e italiana per di più, nell’area della battaglia rappresenta una delle tante differenze – ai livelli geopolitico, strategico, operativo e tattico – che hanno caratterizzato l’impiego dei paracadutisti della “Nembo” rispetto a quelli della “ Folgore”.
(4) Documento pubblicato su gentile concessione del figlio del parà, Sig. Enio Bartolini.
(5) Cfr. Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, “I Gruppi di Combattimento, Cremona – Friuli – Folgore – Legnano – Mantova – Piceno (1944 – 1945)”, Roma, 1974, pag. 229.
(6) La G.U. tedesca era reduce dai combattimenti in Africa Settentrionale (A.S.) e, di sicuro, nel suo ambito le qualità dei paracadutisti italiani erano già note. Parimenti, numerosi paracadutisti, di ogni grado, della “Nembo” avevano combattuto con la “Folgore” in A. S., dove certamente avevano apprezzato le capacità delle unità tedesche.
(7) Per maggiori dettagli sugli avvenimenti in Sardegna e sulla “Nembo”, nei giorni dell’armistizio, vds. Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, “Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre – ottobre 1943”, Roma, 1975, da pag. 276 a pag. 301.
(8) Sulle valutazioni del Gen. Umberto Utili in merito all’impiego delle unità motocicliste, cfr. il suo libro “Ragazzi, in piedi !… La ripresa dell’Esercito Italiano dopo l’8 settembre”, Mursia, 1979.
