Davide Dragonetti. L’Operazione Colossus. Il primo raid britannico di paracadutisti in territorio nemico (10 11 febbraio 1941- Calitri – Avellino)

  

L’Operazione Colossus:
il primo raid britannico di paracadutisti in territorio nemico

Davide Dragonetti

L’Operazione Colossus, svoltasi nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1941 nei pressi di Calitri (Avellino), rappresenta il primo impiego operativo di paracadutisti britannici su suolo nemico. L’obiettivo era demolire il ponte/canale dell’acquedotto pugliese sul torrente Tragino per interrompere la fornitura d’acqua nel Meridione, compromettere le attività militari nel Mediterraneo e potenzialmente fomentare un’insurrezione popolare.
In Italia, l’evento fu minimizzato dalla censura e poco trattato dalla storiografia militare, mentre la stampa anglosassone gli diede grande risalto nonostante tutti i commandos fossero stati catturati e l’acquedotto non avesse subito i danni dichiarati.
La Gran Bretagna affrontava una situazione drammatica dopo l’evacuazione delle sue truppe da Dunkerque il 6 giugno 1940. Nonostante il salvataggio del British Expeditionary Force (BEF), l’esercito britannico era stato sconfitto e il paese si trovava ad affrontare la possibilità di un’invasione tedesca, essendo l’ultimo avversario della Germania nell’Europa occidentale.
L’Italia dichiarò guerra il 10 giugno 1940, con Mussolini che annunciava dal balcone di Palazzo Venezia che era giunta “l’ora delle decisioni irrevocabili” contro le democrazie occidentali. Già nel febbraio 1939 aveva dichiarato che l’Italia era “prigioniera nel Mediterraneo” con sbarre rappresentate da Corsica, Tunisia, Malta, Cipro e sentinelle a Gibilterra e Suez.
Nonostante fosse considerata una potenza europea, l’Italia era militarmente impreparata: l’economia era prevalentemente agricola con alti tassi di analfabetismo e povertà. Le forze armate, seppur numericamente consistenti, erano dotate di armamenti obsoleti e attraversavano uno stallo tecnologico per mancanza di carburante e materie prime. Questa impreparazione emerse immediatamente nelle operazioni contro la Francia e nelle colonie d’oltremare.
Dopo la ritirata del BEF, Winston Churchill rimase determinato a passare all’offensiva. Il 4 giugno 1940, inviò una nota al War Office richiedendo di “preparare azioni offensive con truppe con addestramento speciale che possano imporre un regno di terrore sulle coste nemiche”. Il 17 luglio emanò una direttiva che, oltre a segnare la nascita del Special Operations Executive (SOE), pose le basi per la costituzione delle unità di commandos.
Questi nuovi soldati presero il nome dai “Commandos”, termine derivato dall’afrikaans “kommando”, riferito ai guerriglieri boeri. Il loro atteggiamento aggressivo e la rapidità d’azione rappresentavano una tattica innovativa rispetto alla postura difensiva convenzionale dell’esercito britannico. La loro struttura non ortodossa, inizialmente composta da dieci troops di soli 50 uomini, permetteva grande adattabilità.
Fu creato il Combined Operations Headquarters (COHQ) sotto la guida dell’Ammiraglio Sir Roger Keyes, per assicurare supporto nella pianificazione dei raid attraverso la cooperazione delle tre forze armate britanniche.
A differenza delle altre potenze europee, la Gran Bretagna non aveva ancora istituito un corpo di paracadutisti e fu sorpresa dalle potenzialità di queste tattiche, soprattutto dopo le azioni dei Fallschirmjäger tedeschi al forte di Eben Emael. Il 22 giugno 1940, Churchill richiese direttamente al War Office la creazione di un’unità aviotrasportata di almeno 5.000 uomini, data che viene ricordata come la nascita dei paracadutisti britannici. Si decise che il No.2 Commando fosse costituito esclusivamente da paracadutisti con una forza di 500 uomini.
Il primo passo fu la costituzione della prima scuola di paracadutismo presso l’aeroporto RAF di Ringway. I problemi emersero subito: la RAF non disponeva di velivoli adatti per supportare la scuola con un elevato numero di allievi, poiché tutti gli sforzi erano concentrati sul bombardamento della Germania.
La RAF preferiva lo sviluppo della fanteria trasportata da alianti rispetto ai paracadutisti, come suggerisce il nome scelto per la scuola: Central Landing School (presto ribattezzata Central Landing Establishment – CLE). Si decise che il supporto aereo minimo sarebbe stato di sei bombardieri Armstrong Whitworth Whitley, capaci di trasportare dieci paracadutisti ciascuno.
Lo Squadron Leader Louis Strange e il Major John Rock, pur non avendo esperienza di paracadutismo, assunsero il comando della scuola e svilupparono rapidamente un programma sperimentale e, già a partire dal 9 luglio 1940, i primi volontari iniziarono l’addestramento.
Rock, inoltre, si concentrò sugli indumenti da lancio, prendendo esempio dal materiale recuperato dai paracadutisti tedeschi catturati, sulla formazione di ripiegatori di paracadute e sull’acquisizione di aerei adatti. Anche la preparazione fisica dei volontari fu curata attentamente.
L’Air Ministry progettò e fornì i paracadute. Strange, collaborando con il pioniere americano Leslie Irvin, sviluppò una serie di prototipi che portarono alla produzione del paracadute GQ X-Type “Statischute”, modello base utilizzato dai paracadutisti britannici per i successivi vent’anni.
Per l’addestramento alle tattiche commando, gli uomini frequentarono un intenso periodo presso la Irregular Warfare School di Lochailort nelle Highland scozzesi, dove erano esposti a condizioni estreme simulanti rumore, fatica e tensione mentale.
Il 21 novembre 1940, il No.2 Commando fu ribattezzato 11th Special Air Service Battalion (SAS) Parachute Wing. Il numero “11” derivava da un errore d’interpretazione del “II” romano, mentre “Special Air Service” derivava dall’adattamento aeronautico del termine “Servizio Speciale” delle unità Commando.
Verso fine 1940, il morale dell’unità risentì della mancanza di azioni reali. Mentre i Commando marittimi conducevano già raid nell’Europa occupata, i paracadutisti erano ancora in fase di sviluppo delle tecniche operative. Solo in dicembre emersero le prime indicazioni di un’operazione che avrebbe potuto coinvolgere parte dell’11th SAS Battalion nei primi mesi del 1941.
Tra fine 1940 e inizio 1941, gli Alleati avevano ingaggiato combattimenti terrestri contro gli italiani solo in Africa. Nonostante la guerra contro la Germania proseguisse in aria e in mare, un diffuso senso di stasi pervadeva le forze britanniche. L’Italia appariva come l’anello debole dell’Asse, vulnerabile a pressioni militari.
L’Ing. Ardley, che aveva partecipato alla costruzione dell’acquedotto pugliese, fornì informazioni ritenendo che colpendo alcuni punti deboli, si sarebbe potuta tagliare la fornitura idrica ai porti meridionali e ai due milioni di abitanti locali. L’obiettivo strategico principale era compromettere le operazioni della base navale di Taranto e dei porti di Brindisi e Bari, cruciali per il trasporto delle truppe italiane in Grecia e Albania.
Il rapporto di Ardley fu inizialmente archiviato e riconsiderato solo nel dicembre 1940. L’operazione venne proposta inizialmente come obiettivo per la Royal Air Force, ma la solidità dell’acquedotto e il suo profilo stretto tra le montagne rendevano improbabile il successo di un raid aereo. L’unica alternativa era una demolizione mirata con truppe di terra.
In una riunione tra Ardley, l’Ammiraglio Keyes e il suo staff, comprendente Sir Jonathan Roberts Davidson, si concluse che la demolizione anche di una sola tratta dell’acquedotto avrebbe creato significativi problemi agli italiani, dal cedimento del morale dei civili alla carenza d’acqua che avrebbe ostacolato la lotta agli incendi in caso di successivi bombardamenti.
Il piano prevedeva che l’operazione avesse luogo durante il ciclo di luna piena di febbraio 1941. La forza di terra, denominata X Troop, sarebbe stata di 36 uomini, composta da un gruppo di demolizione (Royal Engineers) e un gruppo di copertura (11th Special Air Service Battalion). Gli uomini sarebbero stati lanciati da aerei Whitley partiti da Malta e, conclusa l’azione, si sarebbero diretti verso la costa per essere recuperati da un sottomarino.
La pianificazione presentava lacune: gli aerei avrebbero dovuto rischierarsi a Malta già il 4 febbraio, lasciando poco tempo per la preparazione. Mancavano informazioni precise sull’obiettivo, erroneamente ritenuto in muratura anziché in cemento armato. Esisteva una sola foto per pianificare l’attacco, del 1928, e i britannici ignoravano persino l’esistenza di un secondo acquedotto più piccolo a soli 200 metri di distanza. Le difese militari italiane furono valutate inadeguate a fronteggiare un attacco in profondità, elemento che contribuì alla decisione di procedere con l’operazione.
Appena ricevuto il via libera, iniziò la pianificazione dettagliata dell’Operazione Colossus, nome in codice derivato dall’obiettivo: un acquedotto di grandi dimensioni. Il piano, coordinato da Keyes e dal suo staff, prese forma rapidamente e l’ordine di operazioni fu rilasciato agli Ufficiali superiori il 25 gennaio 1941, quando l’addestramento degli elementi selezionati dell’11th SAS Battalion era già in fase avanzata.
A inizio gennaio 1941, il Lt. Col. Jackson, Comandante dell’11th SAS Battalion, radunò i suoi uomini a Knutsford e chiese volontari per una missione top secret ad alto rischio in territorio nemico. Tutti i 500 uomini fecero immediatamente un passo avanti.
Come leader fu nominato il Major Trevor Pritchard, che selezionò cinque Ufficiali subordinati, i quali a loro volta scelsero cinque uomini ciascuno. Furono selezionati anche tre uomini di riserva. In totale, 38 uomini formarono l’unità denominata “X Troop”. La denominazione X fu scelta molto probabilmente per denotare un qualcosa di nuovo, sperimentale, segreto e presto, infatti, tra gli uomini si sparse la voce che stesse a significare “the unknown” (sconosciuto).
Dopo la selezione, Pritchard e i suoi uomini furono immediatamente isolati dal resto dell’11 SAS e trasferiti in un edificio appositamente costruito all’aerodromo di Ringway. Iniziarono sei settimane di addestramento intensivo, durante le quali fu costruito un modello in legno della struttura dell’acquedotto che erroneamente credevano fosse un ponte. Il Troop venne diviso in due componenti: il Gruppo N. 1 (Covering Party), diviso in tre sezioni affidate al Capt. Lea, al Lt. Deane-Drummond e al 2nd Lt. Jowett, e il Gruppo N. 2 (Demolition Party), composto dai guastatori dei Royal Engineers diviso in due sezioni comandate dal Capt. Daly e dal 2nd Lt. Patterson.
Furono inclusi tre interpreti: il soldato Nicola Nastri (figlio di italiani), il Tenente Pilota Lucky e Fortunato Picchi, 42 anni, capo cameriere al Savoy Hotel e fervente anti-fascista. Per proteggere le loro identità, Nastri divenne John Tristan e Picchi divenne Pierre Dupont.
A Ringway iniziò un rigido programma di addestramento: corsa mattutina, 25 km di marcia, esercitazioni a fuoco, lotte corpo a corpo e lanci notturni. Un modello in scala dell’acquedotto fu eretto a Tatton Park. I Royal Engineers si addestrarono alle tecniche di demolizione, pianificando di minare l’acquedotto con 1.500 kg di esplosivo in un’ora e mezzo.
Il Ministero dell’Aeronautica decise di utilizzare otto Whitley con equipaggi del 51° e 78° Sqn che arrivarono a Ringway il 15 gennaio. Anche per gli equipaggi fu realizzato un modello dell’acquedotto. Il Tenente Deane-Drummond fu inviato a Malta in anticipo per preparare l’operazione. A Tatton Park si tenne una prova generale che fu un fiasco: a causa del forte vento, circa metà degli aerei lanciò i paracadutisti nel posto sbagliato.
Il 7 febbraio 1941 tutti i preparativi erano completi. L’Ammiraglio Keyes salutò gli uomini con parole di incoraggiamento, ma il suo tono serio e basso sembrò a tutti un vero addio. Inaspettatamente, e contrariamente a quanto previsto dal cerimoniere militare, fu lo stesso Keyes a mettersi sulla posizione di attenti facendo il saluto formale agli uomini, dopodiché volle stringere la mano ad ognuno di loro e, apparentemente sentito dal soldato più vicino a lui, sembra che voltandosi mentre andava via, abbia mormorato un profetico “che dannato peccato…”. Forse Keyes era più consapevole di chiunque altro che le possibilità di un ritorno in patria dell’X Troop erano poche.
Alle 22:00 i Whitley decollarono da RAF Mildenhall diretti a Malta.
Gli aerei atterrarono a Malta la mattina successiva. Il 9 febbraio furono imballati i contenitori e riparati i danni agli aerei. A due giorni dall’avvio della missione, si scoprì che esisteva solo una foto datata dell’acquedotto. Fu effettuata una ricognizione aerea che rivelò un secondo ponte a soli 230 metri dal primo, ma il piano rimase invariato.
Il sottomarino HMS Triumph doveva trovarsi alla foce del fiume Sele per recuperare gli uomini. Il 10 febbraio, Pritchard rivelò agli uomini il vero obiettivo della missione. Ogni Whitley avrebbe trasportato sei uomini e quattro contenitori di armi.
Alle 17:00 del 10 febbraio decollarono da Malta i due bombardieri per Foggia (Diversionary Raid) e dieci minuti dopo il resto della X Troop. Il volo fu tranquillo eccetto per una reazione antiaerea sopra la Sicilia. Arrivati nella zona di lancio, l’acquedotto si vedeva al chiaro di luna.
Il primo lancio fu eseguito dalla squadra di Deane-Drummond, gli uomini si lanciarono da 120 metri e atterrarono in una zona abitata, a 90 metri dall’acquedotto. La squadra rastrellò i pochi civili delle case coloniche della zona ma, di fatto, l’acquedotto era senza sorveglianza.
Alle 22:15 arrivarono gli altri aerei, Pritchard atterrò vicino all’obiettivo, mentre altri toccarono terra a circa 2 km. L’aereo di Daly arrivò con un’ora e mezzo di ritardo, lanciando gli uomini a 4 km dall’obiettivo e senza i contenitori con gli esplosivi.
Le squadre si radunarono vicino all’obiettivo. In assenza di Daly, Pritchard ordinò a Paterson di iniziare il sopralluogo. L’acquedotto non era come previsto: il pilastro centrale era più alto e la struttura era in cemento armato, non in mattoni. Dei 1.500 kg di esplosivo previsti, ne recuperarono solo 360, sufficienti per demolire un solo pilastro.
Dodici uomini piazzarono il fulmicotone sul cemento. Alle 00:30 tutto era pronto. Le esplosioni tardarono ma alla fine danneggiarono il pilastro spaccando in due l’acquedotto e interrompendo, di fatto, il flusso d’acqua. I danni furono però limitati in quanto l’acquedotto non era in piena funzione e dopo 24 ore di riparazioni tornò in attività.
Finita la conta dei danni, Pritchard divise gli uomini in tre squadre per raggiungere il punto di estrazione, tutti abbandonarono l’equipaggiamento pesante, portando solo lo stretto necessario.
Nei giorni seguenti tutte le squadre furono catturate dalle forze italiane che, coadiuvate dalla popolazione locale organizzatasi in gruppi armati, vennero messe subito in allarme. La squadra di Pritchard fu la prima ad essere presa quando venne circondata da circa 400 persone nei pressi di Teora e si arrese. La squadra di Lea fu catturata presso un ponte mentre cercava di attraversare un paese tentando di farsi passare da soldati tedeschi. La squadra di Jowett tentò di resistere e fu l’unica che reagì aprendo il fuoco e causando la morte di tre italiani. ma fu salvata da un ufficiale italiano da un’esecuzione sommaria. La squadra di Daly fu l’ultima a essere catturata.
L’intera X Troop fu riunita nella prigione di Napoli, contestualmente il Generale Bellomo riuscì ad impedire la loro fucilazione. Il sommergibile Triumph non raggiunse mai il punto d’incontro perché la sua missione fu bloccata quanto si seppe che uno dei Whitley del Diversionary Raid ebbe problemi ad un motore ed effettuò un atterraggio di emergenza proprio alla foce del fiume Sele, attirando le truppe italiane nella zona. Tutti gli uomini furono imprigionati nel campo di concentramento di Sulmona, eccetto Picchi che fu fucilato per alto tradimento. Dopo l’armistizio, alcuni fuggirono e combatterono con la Resistenza, altri tornarono in patria partecipando successivamente ad altre operazioni.
Sicuramente si può concludere con la certezza che l’Operazione Colossus rappresenta un momento cruciale nella storia delle operazioni militari speciali, ponendosi come punto di svolta nell’evoluzione della guerra moderna e nell’utilizzo delle forze aviotrasportate. Volendo fare un raffronto moderno di questa missione dal punto di vista strategico e storico, emergono molteplici aspetti che anticipano le moderne dottrine di guerra non convenzionale.
Da un punto di vista storico, l’operazione si colloca in un momento decisivo della Seconda Guerra Mondiale, quando il Regno Unito cercava disperatamente modalità innovative per colpire le forze dell’Asse. Il raid dimostrò la capacità britannica di condurre operazioni audaci in profondità nel territorio nemico, aprendo nuove prospettive nella guerra moderna.
Le lezioni apprese dall’Operazione Colossus risultano sorprendentemente attuali nelle moderne operazioni militari. L’importanza cruciale della ricognizione (reconnaissance), della pianificazione dettagliata (deep planning) e delle fonti (intelligence) rimane un cardine fondamentale. Le moderne unità speciali continuano a sottolineare l’esigenza di informazioni precise e aggiornate, proprio come evidenziato dai limiti riscontrati nel raid del 1941.
Dal punto di vista tecnologico, l’evoluzione è stata radicale. Mentre nel 1941 i paracadutisti disponevano di equipaggiamenti limitati, oggi le forze speciali utilizzano sistemi di comunicazione satellitare, dispositivi di visione notturna, droni per ricognizione preventiva e attrezzature estremamente specializzate.
L’aspetto più rivoluzionario dell’Operazione Colossus risiede nella dimostrazione della fattibilità di missioni aviotrasportate profonde nel territorio nemico. Questo concetto è oggi pienamente sviluppato nelle dottrine militari globali, con unità specializzate in grado di condurre missioni di inserimento, sabotaggio e ricognizione in teatri operativi complessi.
Le attuali operazioni speciali, come quelle condotte contro obiettivi terroristici in Afghanistan, Iraq o durante l’eliminazione di Osama Bin Laden, mantengono l’essenza di quella missione: colpire obiettivi strategici con unità altamente addestrate, minimizzando le perdite e massimizzando l’impatto operativo.
La vera eredità dell’Operazione Colossus risiede nella dimostrazione che la creatività, l’audacia e la preparazione possono compensare limitazioni tecnologiche e numeriche. Un principio che continua a essere centrale nelle moderne operazioni militari speciali.
In conclusione, quella che nel 1941 sembrava un’operazione dai risultati controversi, si è rivelata un momento fondamentale nell’evoluzione della guerra moderna, gettando le basi per le successive dottrine di impiego delle forze speciali e dimostrando che l’innovazione militare nasce spesso da tentativi apparentemente “imperfetti” ma intrisi di coraggio e visione strategica.