VICENDE DEI MILITARI ITALIANI IN RUSSIA.Luigi Reverberi. Relazione sulle azioni svolte dalla DivIsione “Tridentina” al fronte russo. agosto 1942 – gennaio 1943[1]

  

Luigi Reverberi. Relazione sulle azioni svolte dalla DivIsione “Tridentina” al fronte russo. agosto 1942 – gennaio 1943[1

 

COMANDO DELLA 2a DIVISIONE ALPINA “TRIDENTINA”. RELAZIONE SULLE  AZIONI  SVOLTE  DALLA DIVISIONE “TRIDENTINA” AL FRONTE RUSSO

 

Il ciclo operativo della divisione comprende tre periodi:

1° periodo: metà di agosto – 9 ottobre (trasferimento dalla zona di radunata di Nowo Gorlowka – occupazione a difesa del settore di Gorbatowo sul medio Don);

2° periodo: 10 ottobre – 16 gennaio (trasferimento nel settore di Podgornoje e sistemazione difensiva sul Don);

3° periodo: 17 gennaio – 30 gennaio (ripiegamento sotto la pressione nemica e rottura dell’accerchiamento nemico).

PRIMO PERIODO (metà di agosto – 9 ottobre)

Mese di agosto

La divisione il 16 agosto, iniziato il movimento per v.o. per Rostov, diretta al Caucaso, dopo alcune tappe (a causa del cedimento di un tratto della fronte sul Don tenuto da truppe del C.S.I.R.), viene dirottata su Woroschilowgrad per contenere il nemico sulla fronte Jagodny – Bolschoj. Da Woroschilowgrad (data l’urgente necessità di tamponare la minacciosa falla creatasi) i battaglioni del 5° alpini con i soli muli dello scaglione di combattimento vengono autotrasportati (direzione: Willerowo – Karinowskaja), mentre il resto della divisione viene diretto alla fronte per v.o. Dalla zona di Millerowo vengono anche autotrasportati i battaglioni Vestone e Val Chiese del 6° reggimento alpini.

Dal 27 al 30 agosto i reggimenti (dopo successivi passaggi di dipendenze ad altre G.U.) vengono attestati (alle dipendenze della “Celere” e della “Sforzesca”) col:

  • 5° alpini: a sinistra;
  • 6° alpini (meno btg. Verona non ancora giunto): a destra; sulla fronte Jagodny – q. 228 – q. 176,8 – Bolschoj – q. 188.

Mese di Settembre

Il giorno 1 il comando del C.S.I.R. ordina che i battaglioni Vestone e Val Chiese attacchino rispettivamente le posizioni nemiche di Ferma n° 4 – q. 209,6 – q. 236 e Kotowskj – q. 195 per recidere il pericoloso saliente che i russi avevano creato allorchè il settore era tenuto dalla “Sforzesca”.

Forze corazzate germaniche dovevano concorrere all’attacco con azione concomitante sulla destra.

Il 5° alpini (sulla sinistra) doveva tenersi pronto a completare il successo.

Con slancio ed ardimento magnifici i due battaglioni travolgono le resistenze nemiche e raggiungono in poche ore gli obiettivi assegnati. Il btg. Vestone piomba sullo schieramento delle artiglierie di medio calibro e cattura pezzi e scriventi.

Il mancato intervento nella battaglia delle forze corazzate germaniche, non consente il mantenimento delle posizioni raggiunte ed il comando ordina che i battaglioni alpini ripieghino sulle posizioni di partenza.

Nonostante questa decisione, che restituiva al nemico posizioni gloriosamente e sanguinosamente conquistate, l’azione diede immediati e fecondi frutti perché l’altissimo spirito offensivo dimostrato dai nostri alpini e le perdite da loro inflitte valsero a scuotere profondamente il morale dell’avversario, lo costrinsero a passare dalla baldanzosa offensiva ad una netta difensiva, rendendo così inerte il cuneo precedentemente creato.

La brillante azione svolta dai battaglioni del 6° alpini suscita meraviglia e l’ammirazione incondizionata nei camerati del C.S.I.R. e nelle vicine truppe alleate.

Il giorno 9 tutta la divisione agli ordini del suo comandante è schierata su di un fronte di circa 25 km. Tra quota 228 e Bolschoj; zona completamente stepposa e priva del minimo appiglio tattico. Si procede febbrilmente alla costruzione di una posizione difensiva e capisaldi. Gareggiano per bravura, per adattamento, per geniali lavori campali: alpini, artiglieri e genieri. Si distingue in modo particolare il II battaglione misto genio che si prodiga con intelligente perizia.

Il lavoro è particolarmente duro ed estenuante a causa:

  • dell’oneroso servizio di linea;
  • della necessità di dover di massima effettuare i lavori di notte per l’assenza di copertura naturale e per il terreno che non consente alcun defilamento;
  • dell’assenza di materiale di qualsiasi genere;
  • delle considerevoli distanze dalle basi di rifornimento;
  • degli inadatti mezzi di trasporto;
  • del clima.

La divisione malgrado sia impegnata a fondo nell’apprestamento di detta posizione difensiva:

  • stronca con audaci azioni ogni tentativo nemico di intaccare le nostre posizioni;
  • tiene in costante snervante tensione il nemico con riusciti colpi di mano;
  • riesce a consegnare alle truppe rumene (allorquando queste sostituiscono il 9 ottobre la divisione) una sistemazione difensiva quasi ultimata, riscuotendone l’ammirazione per il poderoso e razionale lavoro compiuto.

 

  1. SECONDO PERIODO (10 ottobre – 16 gennaio)

Mese di Ottobre

Avvenuta la sostituzione della “Tridentina” con una divisione rumena (8 – 10 ottobre) la divisione si trasferisce per v.o. nel settore di Podgornoje.

Le truppe percorrono brillantemente con tappe continuative circa 400 km.

Le particolari difficoltà stagionali dovute al fango ed ai primi freddi furono vinte dalla tenacia e dall’alto spirito delle truppe che percorrendo l’intero fronte dell’A.R.M.I.R. suscitarono la ammirazione ed il plauso di comandi ed unità italiane ed alleate.

 

Mese di Novembre

Il 6 novembre la divisione assume la responsabilità del settore sul Don (tenuto fino allora dalla 23a divisione ungherese) che va dalla zona di Karabut fino a quella di Bassowka su di un fronte di circa 28 km. Il settore per ragioni varie era stato dagli ungheresi organizzato a difesa molto embrionalmente ed in modo che assolutamente non si prestava ad un presidio invernale.

Anche in questo settore battaglioni e gruppi si prodigano con indomita volontà e tenacia compiendo sforzi sovrumani per creare una sistemazione difensiva che garantisca contro le offese del nemico ed i rigori dell’inverno russo.

Nel valutare lo sforzo richiesto e la mole dei lavori compiuti occorre considerare che l’alpino, l’artigliere, il geniere hanno dovuto costruire tutto; dai ricoveri alle postazioni, agli osservatori, ai posti di comando; dai reticolati ai fossi anticarro ed ai campi minati.

Se si considerano le condizioni ambientali e di clima, e si tiene presente che mentre si procede nella sistemazione difensiva vengono effettuate, quasi giornalmente, azioni di pattuglia allo scopo di conoscere lo schieramento, le intenzioni e le forze del nemico, del quale viene sempre rintuzzata ogni velleità offensiva, si ha un’idea dello sforzo al quale vengono sottoposti tutti i reparti della divisione.

 

Mese di Dicembre

È caratterizzato da audaci e brillanti colpi di mano che hanno per scopo di sondare più a fondo le intenzioni del nemico e sconvolgerne gli apprestamenti difensivi, che con il loro accentuarsi dando esatta sensazione che anche su questo settore esso voglia iniziare qualche azione in concomitanza di quella che sta svolgendo su altri settori più a sud.

 

Mese di Gennaio (da giorno 1 al giorno 17)

L’aumentata attività aerea ed un rincrudimento delle azioni di fuoco, specie di artiglieria, danno ormai certezza di un prossimo attacco.

Nei giorni 15 – 16 e 17 gennaio, forze nemiche valutate all’incirca a due reggimenti, appoggiate da numerose batterie, da mortai di ogni calibro e da katiusche, sferrano violenti attacchi nella zona di giunzione tra la “Tridentina” e la “Vicenza”.

Superbo il comportamento dei battaglioni investiti, che mantengono inviolata la posizione nonostante le perdite non lievi.

Il Vestone ributta il solo giorno 15 ben sette attacchi e conta davanti alle sue linee circa 800 cadaveri nemici. L’idolo nei giorni 15 – 16 e 17 spezza la furia selvaggia del nemico senza perdere un metro di terreno, lo contrassalta e lo mette in fuga, impadronendosi di molto materiale e stroncando sul nascere un attacco di carri già pronti a scattare.

Dolorose le perdite nostre, ma evidenti i risultati conseguiti con l’impedire al nemico di rompere la fronte del C.A. Alpino e puntare nel cuore delle sue retrovie tagliando la linea di arroccamento ferroviario – rotabile: Podgoroje – Rossosch.

 

  1. TERZO PERIODO (17 – 30 gennaio)

Ma tanto valore dei nostri alpini non bastò a dare la gioia di conservare le posizioni tenute a prezzo di tanto sangue.

Eventi creatisi su altri settori costrinsero le superiori autorità ad ordinare il ripiegamento della Tridentina nel solco di Pogornoje.

Il ripiegamento viene eseguito su tre colonne sotto la protezione di una forte retroguardia.

Vengono abbandonate tutte le impedimenta, tutti i mezzi di trasporto vengono caricati di munizioni, viveri e materiali sanitari.

Nonostante il dolore per l’abbandono di una linea creata con tanta passione e tenuta a prezzo di sacrifici, il morale delle truppe è intatto, né lo affievoliscono le particolarmente avverse condizioni atmosferiche.

Alla sinistra della Tridentina dovevano ripiegare le altre divisioni del C.A. Alpino (Vicenza – Cuneense – Julia), alla destra la 23a divisione ungherese.

 

Giorno 18

Nella notte sul 18 la divisione si schiera a difesa del solco di Podgornoje: fronte ad est.

Gli avvenimenti frattanto incalzano. Il comando del C.A. Alpino (giunto a Podgornoje con i resti delle truppe e servizi di C.A. che sono messi alle dipendenze della £Tridentina”), venuto a conoscenza che il nemico, muovendo per le ali, tende al tergo delle nostre truppe, sollecita la ripresa del movimento.

In conseguenza viene disposto che la divisione, nella notte, muova verso ovest su due colonne:

  • a sinistra: 5° alpini e gruppo Valcamonica
  • a destra: 6° alpini – II btg. genio – gruppi Vicenza e Bergamo – servizi divisionali.

 

Giorno 19

Il 5° alpini che punta su Skeroryb giunge ben presto a contatto del nemico, che, occupato il paese con mezzi motorizzati muoveva incontro alle nostre colonne. Il combattimento si accende subito violento: necessita raggiungere il paese che trovasi in posizione dominante.

Lo slancio ed il valore degli alpini del 5°, appoggiati validamente dalle artiglierie del Valcamonica, hanno ragione delle resistenze russe. Si occupa il paese e si catturano un buon numero di soldati russi, armi e munizioni: si distruggono i primi carri armati nemici.

Il 6° alpini, che punta per Repjewka su Postoyalyj, trovata questa ultima località occupata dal nemico, l’attacca col battaglione Verona.

Il combattimento iniziatosi favorevolmente per il Verona (non potendo essere sostenuto dagli altri battaglioni rimasti indietro per ragioni varie) è proseguito poi con alterna vicenda, si svolge a favore del nemico in conseguenza del sopraggiungere di notevoli rinforzi corazzati. Il Verona è costretto a ripiegare su Repjewka ma riesce a contenere – sebbene a prezzo di sanguinose perdite – la pressione del nemico.

Il grosso della colonna giunge intanto a Opyt, ed a sostegno del Verona (asseragliatosi a Repjewka) viene avviato in Val Chiese.

Ad Opyt (sud-est di Repjewka) erano affluiti nella notte sul 19 il comando della divisione “Tridentina”, il comando del C.A. Alpino, il comando del XXIV° C.A. tedesco, numerosi alpini della Julia ed un migliaio di sbandati ungheresi. Un colonnello magiaro che si trovava fra questi ultimi, informa che la divisione ungherese che doveva ripiegare sulla nostra destra era stata tagliata in più parti e che i resti di essa cercavano scampo alla morsa nemica.

Nelle prime ore del mattino del giorno 19 affluivano ancora ad Opyt un altro migliaio di sbandati ungheresi, qualche migliaio di tedeschi (resti del XXIV° C.A.) con numerosissime slitte, 4 carri d’assalto, una batteria di katiusche ed un gruppo d’artiglieria (5 pezzi) di medio calibro.

I carri, le katiusche e le artiglierie tedesche (queste sono agli ordini del maggiore Fischer) vengono posti alle dipendenze della “Tridentina”.

La situazione si andava in parte chiarendo ma purtroppo si palesava molto grave.

Infatti:

  • del XXIV° C.A. tedesco (che doveva agire sulla sinistra del C.A. Alpino) non rimanevano più che dei resti, la maggior parte dei quali, passando attraverso le altre divisioni del C.A. Alpino si erano riversati sulla “Tridentina”;
  • il C.A. ungherese che doveva ripiegare sulla nostra destra era in rapido ripiegamento scoprendo l’ala destra della “Tridentina”;
  • unità russe di consistenza imprecisata, ma senza dubbio notevoli, fronteggiavano la nostra divisione.

Dato che le altre divisioni erano in ritardo rispetto al movimento della “Tridentina”, il comandante del C.A. Alpino ordina alla nostra divisione di sostare il giorno 19 sulle posizioni raggiunte per riprendere l’attacco il giorno 20, con obiettivo la zona di Postoyalyj.

In base agli ordini predetti ed in considerazione:

  • dei gravissimi avvenimenti che non lasciavano più alcun dubbio sull’accerchiamento della divisione;
  • dell’enorme intasamento provocato dalle colonne di fuggiaschi, soprattutto alleati, che ostacolavano gravemente il movimento;

si provvide a:

  • riordinare nei limiti del possibile la marea degli sbandati che si accalcava nell’abitato di Opyt;
  • a rinforzare la difesa di Opyt, per garantire tale zona di raccolta da eventuali attacchi nemici, e darle modo di proteggere l’indomani il deflusso di tutti i reparti ivi radunati;
  • avviare i rimanenti reparti del 6° alpini, le unità tedesche messe alle dipendenze della “Tridentina”;
  • riorganizzare gli sbandati ungheresi in battaglioni di formazione;
  • riunire in colonne tutte le impedimenta (slitte, salmerie, ecc.).

Vengono poi emanati gli ordini per l’attacco:

  • il 6° alpini deve impadronirsi di Postoyalyj e procedere subito per Nowo Karkowka;
  • il 5° alpini deve concorrere all’azione del 6° con azione avvolgente sulla sinistra e quindi seguirlo nel movimento in avanti.

 

Giorno 20

Alle ore 2 il nemico attacca da nord la zona di Opyt, ma viene respinto dagli eroici alpini della 54a cp. del Vestone e dalla 25a btr. che si battono da leoni.

Quest’attacco dà la certezza che la destra della divisione è completamente scoperta.

Viene anticipato per l’alba il deflusso dei servizi, dei comandi, delle colonne di sbandati e delle impedimenta. Non appena si iniziano i movimenti, un intenso tiro di mortai, artiglierie ed armi automatiche si abbatte su tutta la zona. Il nemico nella notte, favorito dall’oscurità, ha manovrato a largo raggio e tenta l’accerchiamento.

Tutti i reparti disponibili vengono impiegati per arrestare lo sforzo nemico che, riuscendo, avrebbe distrutto o catturato i comandi e tagliato in due la divisione incuneandosi fra le colonne operanti del 5° e del 6° alpini.

I reparti, compreso il Quartier Generale della divisione, compiono prodigi di valore, ma non riescono nell’intento.

Non rimane alla mano che il II btg. genio che per ordine del comandante della divisione contrattacca con irruenza decisiva su un fianco del nemico, lo arresta. Lo ributta ed elimina così il gravissimo pericolo incombente.

Il contrattacco condotto con slancio irresistibile costa sanguinosissime perdite agli eroici genieri (più del 60% della forza), ma il loro sacrificio consente il deflusso della maggior parte dei comandi e delle unità di raccolta in Opyt.

A Postoyalyj intanto il 6° rgt. Alpini, appoggiato dai gruppi Bergamo e Vicenza e dalle unità tedesche, dopo alcune ore di violento combattimento, durante il quale si svolgono sanguinosi attacchi all’arma bianca, riesce a sgominare il nemico ed a occupare il paese. Il valorosissimo comportamento del 6° alpini, a detta dei prigionieri, stupisce lo stesso nemico.

Dopo brevissima sosta il reggimento prosegue per Nowo Carkowka.

Il 5° regg. Alpini ed il Valcamonica hanno con la loro azione, validamente concorso al successo del 6°.

Così verso le ore 13 di questa giornata densissima di avvenimenti, che per parecchie ore crearono per noi una situazione quasi disperata, veniva rotto il primo cerchio nemico e frustrato il tentativo russo di frantumare la “Tridentina”. L’incrollabile tenacia di tutti, alpini, artiglieri, genieri e la loro ferma volontà di aprirsi un varco a qualunque costo avevano trionfato.

Qui furono riconfermate e superate le tradizionali virtù delle truppe di montagna. Innumerevoli furono gli atti di eroismo che ha del leggendario, se si considera che in questa e lunga giornata i vari combattimenti ebbero luogo:

  • contro forze soverchianti appoggiate da numerosi carri armati;
  • in condizioni di clima avverse;
  • con gli uomini affaticati da lunghe marcie quasi senza soste;
  • con collegamenti eseguiti solamente a mezzo staffette, essendo andati distrutti quelli radio e telefonici;
  • con l’intralcio provocato dall’incolonnamento della enorme massa di impedimenta e dei servizi.

Il comando del C.A. Alpino, giunto a Postoyalyj verso le ore 14, convintosi che ormai più che sul tergo le offese nemiche si sarebbero pronunciate sulla direttrice di marcia volendo il nemico sbarrarci il cammino, ordina che il 6° alpini (meno il btg. Verona) rinforzato dai carri d’assalto tedeschi, dai gruppi Bergamo e Vicenza, dal gruppo Fischer e dalla batteria di katiusche costituisca forte avanguardia per rompere ogni ostacolo ed aprire la strada al resto della colonna. Data l’importanza del compito ne affida il comando allo stesso comandante della divisione al quale dà come obiettivo della giornata Nowo Carkowka.

A sinistra (secondo gli ordini emanati la sera precedente) doveva operare la divisione Cuneense col compito di raggiungere anche essa il solco di Nowo Carkowka.

In conseguenza di tali ordini, il comandante della “Tridentina” (lasciato il comando delle rimanenti truppe divisionali al comandante del 5° rgt. Alpini e date le disposizioni affinchè il battaglione Verona non appena terminato il compito che attualmente assolve di distaccamento fiancheggiante passi in retroguardia di tutte le truppe divisionali) fa riprendere il movimento.

Da Postoyalyj è indispensabile sfruttare una sola direzione di movimento a causa della neve alta.

L’avanguardia con movimento celerissimo raggiunge Nowo Carkowka alle ore 17; trovatala occupata dal nemico si dispone ad un immediato attacco. L’avversario che presidia tale località con una forza valutata a due battaglioni rinforzata da carri armati, artiglierie e mortai, si difende rabbiosamente: ma, sopraffatto dall’irruenza dell’attacco che non gli consente di spiegare come vorrebbe le sue forze, deve cedere terreno.

Inutili diventano ormai le puntate difensive dei carri armati che, messi in breve fuori combattimento, devono desistere dalla lotta.

Il paese viene subito da noi sistemato a difesa contro l’eventuale sopravvenire di forze motorizzate.

Intanto il rimanente della colonna divisionale ha seguito il movimento respingendo insidiosi se non importanti attacchi di partigiani che approfittano delle numerose macchie boscose per intralciare la nostra marcia.

Il battaglione Verona, lasciato a protezione – come è stato detto – del fianco destro della colonna, sebbene già duramente provato il mattino ed il giorno precedente, respinge, dopo accaniti combattimenti, una colonna russa che tenta di colpire il nostro fianco destro ed in azioni vivaci ed irruente di contrassalto la mette in fuga. Passa quindi in retroguardia della “Tridentina”.

Così nella notte sul 21 si poteva considerare rotto e superato il secondo sbarramento che il nemico aveva creato sul nostro itinerario di ripiegamento.

 

Giorno 21

Il comando del C.A. alpino, raggiunta nella notte sul 21 Nowo Carkowka, ordina di proseguire il movimento su Lymarewka e Scheljakino.

Il concetto informativo dell’azione nemica è ormai chiaro: interdire il movimento con successivi sbarramenti sulle rotabili che tagliano l’asse di marcia della nostra colonna, sfruttando i mezzi motorizzati di cui ha grande abbondanza.

Quali provvedimenti si potevano prendere per frustrare la manovra nemica e raggiungere le forze alleate che informazioni aeree davano più ad occidente del meridiano di Waluiki e cioè ad oltre 90 km. in linea d’aria?

  • non concedere tregua al movimento a costo di sforzi sovrumani allo scopo di non dar tempo alle forze nemiche di organizzarsi su posizioni retrostanti e disorientare i comandi avversari con rapide azioni;
  • effettuare i movimenti in buona parte nelle ore notturne allo scopo di lasciare incerto il nemico sulla direzione di ripiegamento e sfuggire almeno all’azione a massa dei carri armati ed all’offesa aerea;
  • cercare di impedire all’enorme massa di elementi delle altre G.U. italiane ed alleate che affluivano verso la “Tridentina” e di frammischiarsi ai reparti combattenti perché non ne fosse rotta la compagine organica e non ne venisse intralciata l’azione;
  • sfruttare durante le brevi soste di riposo gli abitati per dar ricovero alle truppe che già cominciavano a subire le conseguenze degli estremi rigori del freddo (circa -30 nella notte).

Concetti semplici ma di difficile attuazione date le particolari contingenze ed all’esecuzione dei quali si doveva pervenire ad ogni costo con abilità e ferrea volontà da parte dei comandanti di ogni grado. Ogni infrazione, tergiversazione o debolezza poteva compromettere il risultato che si cercava: sfuggire alla cattura o alla distruzione.

Alle ore 2 del giorno 21 si riprende il movimento.

Il II btg. genio, in considerazione della forza esigua superstite (circa 150 uomini su 700 effettivi) viene riordinato in una cp. di formazione, messa alle dipendenze del 6° reggimento alpini.

L’avanguardia dopo una marcia effettuata in eccezionali cattive condizioni atmosferiche entra in Lymarewka verso le ore 8; dopo aver completamente annientato alcune formazioni di regolari e partigiani che cacciati da Nowo Carkowka, cercavano di sbarrare il passo sulle colline antistanti il paese.

Data la stanchezza delle truppe e l’imperversare di una furiosa tormenta, la sosta diviene indispensabile.

 

Giornata particolarmente dura per l’eccezionale freddo è stata quella del 21 gennaio.  L’enorme colonna che non poté trovare sufficiente ricovero subì gli atroci morsi del freddo e lasciò sul suo cammino non pochi elementi colpiti da congelamento e da assideramento.

Intanto si facevano sempre più necessari i mezzi di trasporto per feriti, congelati e ammalati e diminuivano i mezzi sanitari disponibili.

Per quanto tali considerazioni fossero di estrema gravità per le conseguenze che potevano portare, la mancanza di carburante rese necessaria l’abbandono delle autocarrette che fino allora avevano seguito il movimento. Tutta la benzina doveva essere impiegata per il traino delle artiglierie. La maggior parte dei mezzi di trasporto doveva servire per le munizioni ed i viveri. Dura ma imprescindibile necessità.

Si videro allora i più generosi esempi di cameratismo: alpini che si caricavano del carico dei compagni più stanchi; alpini che portavano barelle con feriti ed ammalati; alpini che sostituivano i quadrupedi nel traino delle slitte. La generosità del gran cuore italiano scrisse in quel giorno forse le sue pagine più belle. Tutto ciò che era umanamente possibile fu escogitato e messo in opera dai soldati della Tridentina perché la meta fosse raggiunta e perché della Vittoria potesse godere il maggior numero di compagni italiani ed alleati.

 

Giorno 22

Obiettivo della giornata: Ladomirowka.

Per raggiungerlo occorreva attraversare il solco di Scheljakino che era logico presumere fosse occupato in forze dal nemico data l’importanza dell’abitato e della rotabile Rossosch – Alexajewka che lo attraversa.

Alle prime luci del giorno l’avanguardia prosegue il movimento.

La marea di quanti convergono sulla scia della “Tridentina” è in aumento impressionante. Si costituiscono posti di blocco e speciali reparti per disciplinarne il movimento.

Non appena l’avanguardia raggiunge (verso le ore 10) la sella di Scheljakino che domina il paese, viene accolta dal violento fuoco di armi automatiche, di artiglierie e di mortai.

I battaglioni ed i carri d’assalto tedeschi si schierano ed iniziano l’attacco sostenuti ed appoggiati dai gruppi Bergamo e Vicenza.

Sopraggiunto il battaglione di testa del 5° alpini, l’Edolo, riceve il compito di avvolgere il paese per la sinistra.

Proprio in quel momento una colonna di carri armati russi fa irruzione da sud nel paese dove già si infiltrano i primi reparti della avanguardia. Il momento è delicato, ma la fortezza dei comandanti (che sapevano della manovra in sviluppo da parte dell’Edolo) e la saldezza delle truppe che già avevano vittoriosamente stroncato altri attacchi di mezzi corazzati, domina la situazione. Immobilizzata parte dei carri, controbattute e fatte tacere le artiglierie, snidati i difensori dalle case, sviluppatasi l’azione dell’Edolo, la battaglia è vinta.

Centinaia di cadaveri nemici, numerosi pezzi di artiglieria abbandonati, moltissime armi automatiche lasciate sul terreno, segnano la formidabile difesa nemica, l’asprezza della lotta e la grandezza della vittoria.

Tutti hanno gareggiato in bravura: alpini ed artiglieri. Non vi è più distinzione di unità: i battaglioni siano essi del 5° o del 6° sanno che dal comune sforzo uscirà la salvezza ed affiancato il loro impeto, il loro ardimento.

Magnifico il comportamento dei reparti tedeschi che in uno slancio di perfetto cameratismo plaudono alla vittoria italiana.

Ma anche il successo non può conoscere soste, anche le perdite che già hanno assottigliato le file dei reparti non consentono pietismi e respiro: bisogna andare avanti.

Mentre cala la sera l’avanguardia prosegue su Ladomirowka seguita da tutta l’immensa colonna.

Purtroppo le vicende della faticosa giornata non sono finite.

Nuove forze nemiche (in parte corazzate) giungono da sud ed investono sul fianco la colonna che, per non essere travolta, diverge in parte verso nord; sulla strada che porta a Warwarowka. E’ in questa località che il Morbegno, scontratosi con altri reparti provenienti da nord, scrive pagine gloriose sacrificandosi per dar modo ai reparti che hanno dirottato di salvarsi prendendo la via di occidente sulla quale marciava il grosso della divisione.

Eroismo e generosità fusi in mirabile connubio.

Nella notte, quando le tenebre sono fitte, l’obiettivo della giornata è raggiunto.

Si chiude così questo giorno memorando con la rottura del nuovo accerchiamento teso da un nemico forte di mezzi e potentemente appoggiato da unità corazzate che si misurò contro reparti che marciavano da 5 giorni tra innumerevoli difficoltà ed inenarrabili patimenti.

Fame, congelamenti, perdite, non intaccarono lo spirito, la fede suprema e la volontà dei nostri alpini.

 

Giorno 23

Prima che spunti l’alba il movimento viene ripreso e condotto velocemente per sfruttare le conseguenze della sconfitta inflitta al nemico il giorno precedente.

Le truppe, benché stanche, sentono la necessità che urge ed assecondano con mirabile sforzo la volontà dei comandanti.

Non si trovano tracce avversarie fino a Nikolwjewka dove una formazione di regolari sostenuta da 4 pezzi di medio calibro vuol contrastare il passo agli alpini.

Ma la volontà che ha potenziato fino allora i loro sforzi diventa spasmodica ed in un assalto ardimentoso, più che in vera e propria azione combinata, gli alpini, nella scia dei carri tedeschi, piombano sui russi ed in breve ne hanno ragione.

Talmente rapida e violenta è stata l’azione di avanguardia, che la colonna non ha avuto modo di sentirne la ripercussione.

Si procede sempre in una bufera di neve – si continua – si avanza finché lo sforzo fisico è ridotto agli estremi. Nella notte già alta la colonna si arresta nella zona di Kowalew.

Pochi sono i ricoveri per gli uomini; ma il venir meno di ogni energia si impone anche alla legge della steppa che vuole un rifugio per uomini e animali: pena la morte.

Ma nella truppa la visione onnipresente della Patria che li rincuora e li spinge, ha ragione delle avversità, del clima e della sorte.

 

Giorno 24

L’alba che sorge tra un mulinare violento di neve trova nuovamente la colonna in cammino.

Sono le ore 10 quando dal paese di Malakejewka si pronunziano le prime offese nemiche. Artiglierie di medio calibro battano l’avanguardia. Non c’è tempo da perdere perché la giornata terribilmente fredda minaccia di provocare una catastrofe se la marcia viene arrestata.

Le artiglierie sono schierate in un attimo: i carri d’assalto tedeschi circondati dagli alpini del Vestone e del Val Chiese muovono direttamente sul paese.

Descrivere il combattimento è impossibile – è un frazionarsi di azioni, è un rifulgere di iniziative –  è una nuova brillante affermazione di cooperazione fra le armi, di fraternità fra i combattenti.

Il risultato dà la sensazione dello sforzo: alle 12 il paese è conquistato; più di 600 cadaveri nemici sono contati, 12 pezzi di medio calibro vengono inutilizzati, decine di morti, mitragliatrici e parabellum sono abbandonati dai resti del nemico volto in fuga.

Si prosegue su Romankowo con una temperatura di -40° e sotto una bufera di neve divenuta violentissima. I soldati stanno esaurendo le riserve di viveri. Alpini e muli fanno tacere i morsi della fame e della sete mangiando neve: ma lo spirito è sempre elevato ed i nostri magnifici alpini, che sotto gli occhi ammirati dei camerati tedeschi avevano deciso in breve anche questo nuovo scontro col nemico, tendono ogni sforzo per corrispondere al comando dei capi.

A notte alta si giunge a Romankowo che viene occupata senza resistenza ed ivi si pernotta.

Il battaglione Verona è tornato alle dipendenze del 6° alpini.

 

Giorno 25

Nella solita formazione all’alba si riprende il movimento puntando su Nikitowka. Per fortuna la zona è ricca di abitati nei quali tutti si provvedono dei viveri più svariati ed impensati. Nikitowka viene occupata dopo sporadiche resistenze di partigiani e regolari.

I battaglioni Verona e Vestone, la 255^ cp.  del Val Chiese, una batteria del gruppo Bergamo ed i carri d’assalto tedeschi facenti parte della avanguardia, proseguono e si arrestano per ragioni di sicurezza e di ristoro ad Armankowo, qualche chilometro oltre Nikitowka dove sosta il rimanente della colonna.

Il comando della divisione che aveva riunito alle sue dirette dipendenze ormai tutte le truppe, impartendogli ordini per il giorno seguente:

  • partenza contemporanea alle ore 6 dell’avanguardia (già spinta innanzi un paio d’ore) e della colonna divisionale;
  • attacco di Nikolajewka (centro importante su grande rotabile di arroccamento fra due località che si sapevano fortemente presidiate dal nemico) da sferrare dall’avanguardia sostenuta dal resto della colonna divisionale che avrebbe dovuto, forzando il movimento serrare sotto, e tenersi in grado di intervenire all’azione.

 

Giorno 26

Nella notte sia l’avanguardia che la rimanenza del Val Chiese, che era attestata allo sbocco di

Nikitawka vengono attaccati da partigiani e da regolari russi. Dopo alcune ore in cui si ebbero

perdite da ambo le parti, il nemico viene respinto. Si anticipa di conseguenza la partenza della colonna per non rimanere più oltre frazionati.

Ma la colonna poco dopo l’uscita dall’abitato e cioè nei pressi di Armankowo è attaccata da numerose forze nemiche che impegnano duramente il Tirano ed il gruppo Bergamo con l’evincente scopo di separare il grosso della divisione dall’avanguardia. La lotta si svolge con alterne vicissitudini. Nel momento culminante del cruento combattimento, il nemico tenta di aggirare il Tirano facendo intervenire nuove truppe che imbaldanzite per il successo ritenuto sicuro avanzano cantando. Ma gli alpini del 5° reggimento con impareggiabile e con abile manovra investono a loro volta le forze sopraggiungenti, spezzano la reazione avversaria e la travolgono aprendosi un varco sufficiente ad assicurare il deflusso dell’enorme massa di raccogliticci che, privi di armi e di ogni capacità combattiva, seguiva inerte la divisione, affidando ad essa le sue sorti.

Dalle colonne fuggiasche del nemico, dai suoi caduti, dalle armi distrutte e da quelle catturate si poté desumere che i russi erano intervenuti nell’attacco con non meno di tre battaglioni. Il sacrificio eroico di molti ufficiali e di molti alpini aveva risolto anche questa critica situazione che minacciava di rompere in due tronconi la colonna e compromettere l’esito del combattimento di Nikolajewka.

Intanto i battaglioni del 6° alpini giungevano in vista di Nikolajewka e ne iniziavano l’attacco. L’efficienza dei reparti era però stata assai scossa dai durissimi combattimenti sostenuti e dalle condizioni atmosferiche particolarmente avverse che avevano provocato grandi vuoti nelle file. Scarseggiavano le munizioni; ciononostante, vincendo la violentissima reazione di armi automatiche, artiglierie e mortai, i reparti superano la ferrovia situata al margine anteriore del paese ed alle ore 11 sono nell’interno dell’abitato, ove si combatte leoninamente. Ma nuove forti perdite creano una situazione di crisi. I reparti sebbene rinforzati da quanti posseggono armi, sono costretti ad arrestarsi e quindi a retrocedere oltre la ferrovia dove mantengono contatto col nemico contro il quale continuano a combattere.

Verso le ore 12 incomincia ad arrivare il grosso della colonna.

Venne allora ordinato:

  • che tutte le artiglierie si schierassero e sostenessero la ripresa dell’attacco
  • che avanzassero al più presto i reparti del 5° alpini
  • che tutti coloro che non avevano specifico impiego formassero reparti al comando di

ufficiali e si inserissero nei battaglioni:

  • che ad ordine determinato l’attacco venisse ripreso.

Ma la difesa nemica era oltremodo efficiente: violentissima sempre la reazione dei mortai e delle artiglierie alle quali si unì anche l’offesa aerea da parte di numerosi apparecchi comparsi nel cielo della battaglia.

E’ facile immaginare il risultato di tale concentramento di fuoco contro una massa prevalentemente

composta di slitte, quadrupedi ed automezzi condotti da soldati di varia nazionalità, parlanti lingue diverse e quindi difficilmente disciplinabili.

L’attacco sferrato con energia e trascinato dai carri d’assalto tedeschi che venivano guidati in persona dal comandante la divisione ottenne un primo risultato: la ferrovia fu superata, si penetrò nel paese.

Ma le numerose – si possono dire tragiche – perdite abbattutesi soprattutto negli ufficiali, mettevano nuovo freno al magnifico slancio dei reparti del 6° alpini.

La massa che seguiva le oscillazioni della battaglia e già si era mossa in avanti, a tale urto titubò e iniziò un pauroso movimento retrogrado.

Sopraggiungevano però in quel momento, stanchi ma non domi, i reparti del 5° che eccitati dal successo già ottenuto dai camerati del 6° si affiancavano e con essi in gara fraterna riprendevano l’attacco.

A questo nuovo rabbioso impeto che ha dell’epico perché chi non ha più cartucce combatte con le bombe, chi non ha più bombe combatte all’arma bianca: perché l’artigliere lascia il pezzo che non ha più munizioni per essere alpino fra gli alpini, perché il conducente lascia il mulo per sostituire il compagno caduto ed imbraccia il fucile, il nemico non resiste: chi non cade fugge abbandonando sul campo ogni sorta d’armi.

Il nuovo accerchiamento è rotto. Tutta la colonna può scendere a Nikolajewka ed ivi sostare per la notte.

E’ questa la giornata degli eroismi più fulgidi; è questa la giornata in cui pur pagandolo a carissimo prezzo, i reparti della divisione acquistano il maggior titolo di gloria. Più di 40 ufficiali cadono morti o sono feriti (fra questi ultimi i comandanti del 5° alpini e del 2° regg. artiglieria alpina); non calcolabili le perdite della truppa.

Alpini – artiglieri – genieri – tutti meravigliosi – tutti pari nel gettare in olocausto la propria vita all’idea della glorificazione delle armi italiane in terra di Russia al cospetto di mille e mille soldati degli eserciti alleati.

Artiglierie di piccolo e medio calibro, morti di ogni specie, innumeri armi automatiche sono là inerti a testimoniare la crudezza della lotta, la grande superiorità morale del combattente d’Italia.

La rottura dell’ultimo cerchio di Nikolajewka per opera della “Tridentina” (che aveva compiuto oltre 200 km. di marcia asprissima, sempre combattendo, privi di ogni rifornimento e bersagliata dall’aviazione avversaria, apriva definitivamente la sacca anche al resto della colonna (all’incirca 40.000 uomini) che alla “Tridentina” si appoggiava inerte e passiva affidando al valore degli alpini la sua sorte nella certezza di mettersi in salvo.

 

Giorno 27

Il comando della divisione allo scopo di non dare tempo al nemico di far affluire altre forze e di non abbandonarsi ai numerosi partigiani rimasti alla periferia dell’abitato ed in considerazione della grave deficienza di munizioni, fatti riordinare rapidamente… (nel documento dell’Archivio Resta non è stata riportata la pag. 22 N.d.A).    …………strumenti di guerra dopo averne catturato decine e decine al più agguerrito nemico. Ma la vita di un eroe serve molto di più alla Patria di un vecchio cannone.

Il 29 – 30 e 31 gennaio, la divisione compie le lunghe e le estenuanti tappe Bessarab – Bolsche Troizkoje – Shebekino.

Shebekino rappresenta il vero ritorno alla vita degli invincibili alpini che pur portando i segni dei patimenti subiti o delle sofferenze senza limiti, serrano ancora gli assottigliati ranghi intorno alle Bandiere da loro glorificate con tanta fede, tenacia, volontà, abnegazione e sacrificio.

Si separano qui dalla divisione le grosse schiere degli alleati tedeschi ed ungheresi che ritornati alla vita per virtù degli alpini della “Tridentina” portano in Patria il ricordo ammirato del combattente italiano che in terra straniera ha sfidato innumerevoli volte la morte perché la bandiera dell’Italia sia sempre ed ovunque rispettata.

Ma lo sforzo è stato grande – ha superato ogni limite dell’umana previsione.

Mentre si ricompongono i ranghi e si contano i rimasti, vinto dalle fatiche sopportate e dalla somma dei dolori sofferti, muore il Colonnello Paolo Signorini, comandate del 6° alpini.

Forse il destino ha voluto che questo magnifico soldato,  splendida tempra di alpino, testimoniasse al mondo col suo sacrificio quale era stata la spaventosa somma di tribolazioni e di sacrifici che i soldati della Tridentina avevano sopportato non soltanto per salvare le Bandiere sacre della Patria, non soltanto per portare a salvamento migliaia di camerati delle divisioni italiane ed alleate, ma soprattutto per arginare l’irruente avanzata nemica, consentire la ricostruzione di una linea e creare la indispensabile premessa per la ripresa.

E’ questo il riconoscimento al quale hanno diritto gli alpini della “Tridentina” i quali leggendo del nuovo favorevole ciclo operativo che si sta sviluppando al fronte dell’est, pensano giustamente con orgoglio che i loro morti, i loro feriti, i loro congelati i loro patimenti senza misura ne hanno costituito la sicura e più valida premessa.

Ma a loro va riconosciuto altro grande merito: quello di essersi imposti all’ammirazione del mondo in una delle più difficili e pericolose situazioni di guerra: il ripiegamento.

Bello è combattere quando si avanza; facile è conservare l’integrità dei reparti, la compattezza dei ranghi quando splende il sole della vittoria; sicuro e fermo è il cuore quando l’obiettivo è oltre la trincea nemica e l’avversario soggiace alla nostra volontà: ma quando suona l’ora tragica del ripiegamento ed oscura è ogni previsione, soltanto soldati di purissimo acciaio possono fare prodigi pari a quelli compiuti dalla “Tridentina”.

Ad essa non era data la soddisfazione stimolatrice ed allettante di grossi centri da conquistare, non nomi di città cui unire il ricordo delle loro imprese – ma un dovere oscuro e grande: sacrificarsi per contenere e ritardare l’avanzata del nemico infliggendogli il maggior numero di perdite. Il Generale Comandante, Luigi Reverberi

P.C.C.  IL CAPO DI STATO MAGGIORE. Ten. Col. A. Ambrosiani

 

 

 

 

[1] Archivio Resta, N. 1, DS. Tridentina. Cap. Vito Caruso. Relazione adel Fronte Russo. 15 Agosto 1942 – 30 gennaio 1943. USSME (H9). La Relazione consta di 23 fogli