Massimo ColtrinariLa legislazione tedesca all’origine dei crimini di guerra e dei crimiti contro l’umanità

  

 

il “Katastrophenerlass”, ovvero il “Decreto in caso di catastrofi”.

 

Scrive Gerhard Scriber:

Detto decreto trae origine dall’estate 1943. Nel corso dei violenti bombardamenti subiti dalla città di Amburgo il “Hohere SS- un Polizeifuhrer, la più alta autorità delle SS e della polizia, aveva ordinato di propria iniziativa di fucilare  “senza sottoporli ad un qualsiasi giudizio, dei saccheggiatori stranieri colti sul fatto”. Himmler approvò questa procedura a posteriori dandone comunicazione a quanto pare con una circolare a tutti gli Hohere ss-un Polizizeifuhrer. E nell’autunno del 1943 lo stesso Himmler decise di sostituire detta circolare con un decreto speciale per attribuire un “sicuro fondamento giuridico” a quelle condizioni che si sarebbero dovute d’ora in avanti applicare a casi simili. Non si deve infatti ignorare che nel corso e in seguito ai succitati bombardamenti, detenuti evasi dal carcere ed elementi stranieri avevano saccheggiato la città anseatica commettendo gravissimi crimini. Come “Geheime Reichssache (documento segretissimo di interesse del Reich) questo decreto doveva essere “portato a conoscenza di tutti gli uffici esecutivi interessati.” Le autorità del Reich non pubblicarono mai in forma ufficiale detto Katastrophenerlass, ma anche dopo il 1945 alcuni giuristi hanno sostenuto che malgrado ciò il decreto fu giuridicamente vincolante.”[1]

Il decreto in questione permise a qualsiasi tedesco in divisa e non, o che esercitasse una qualsiasi funzione pubblica di compiere i più efferati atti criminali con la convinzione di essere nel giusto e di fare il bene della Germania. Come in ogni loro cosa i Nazisti erano maestri in questa loro intossicazione di ogni comportamento verso i propri simili.

Un altro aspetto che va ascritto al popolo tedesco in senso negativo che rappresenta una forma larvata di vigliaccheria e di arbitrio è una norma che per tutto il secondo dopoguerra è stata ampiamente evocata durante i processi a militari tedeschi accusati di crimini contro l’umanità.

 

Questa norma permetteva nel 1945, ed anche negli anni precedenti, ad ogni tedesco armato di compiere i più efferati delitti e crimini contro i suoi simili, senza che ne fosse chiamato a rispondere; in pratica lo trasformava da uomo pensante in un animale feroce senza freni. Quello che abbiamo definito per i nostri militari Internati in Germania l’”inferno nell’inferno” origina da questa norma giuridica che di legale e civile a poco e nulla e a riportato un paese che si definiva civile alla più pura barbaria.

Il Paragrafo 47 del Codice MIlitare Penale Tedesco

Un’altra norma che incise fortemente nel comportamento dei militari tedeschi è il paragrafo 47 del Codice Militare Penale tedesco. Un paragrafo che nel dopoguerra offrì a tutti gli accusati di crimini di guerra una comoda via d’uscita per liberarsi delle responsabilità personali dei crimini commessi.

 

Scrive ancora Gerard Schreiber.

“se nell’esecuzione di un ordine di servizio viene violata una legge penale il solo responsabile e il superiore che ha impartito quell’ordine”. In un ambiente dove vigeva il principio di ordine e obbedienza il disposto del paragrafo serviva probabilmente nei casi dubbi a togliersi qualche peso dalla coscienza. Il dipendente poteva essere tuttavia accusato di concorso nel reato qualora avesse ecceduto nell’eseguire l’ordine o fosse stato a conoscenza che l’ordine del superiore riguardava un’azione finalizzata ad un reato di carattere civile o militare.

Il paragrafo 47, quindi, mentre stabiliva che gli appartamenti e le Forze Armate tedesche non avevano né la facoltà né il dovere di eseguire ordini criminali, sottraeva nel contempo da ogni procedimento giudiziario tutti coloro i quali, avendone o meno il diritto, si fossero difesi in modo convincente appellandosi alla clausola della consapevolezza. E’ lecito supporre che quel paragrafo 47 non facesse che cresce l’ignoranza ed attenuasse gli scrupoli morali specie in tempo di guerra quanto erano in gioco delle vite umane, ossia il bene più prezioso in uno stato di diritto.”[2]

 

Vari furono gli eccidi che si commisero a danno degli internati italiani in Germania. Nel 1944 si diffusa la voce ripetuta da varie fonti che a Leopoli, oggi in Ucraina, furono uccisi 2000 soldati italiani. Nel 1988 si sparse la voce, soprattutto ad opera di giornalisti polacche che a Leopoli i tedeschi avevano ucciso 10.000 soldati italiani, per lo più internati a Leopoli. Inoltre altre fonti attestano che dai 1000 ai 2000 soldati italiani siano stati uccisi a Siedice e a Chelmo. Una commissione di militari e di storici di alto livello nominata dall’allora Ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, dopo un anno di indagine, accertò con prove inconfutabili che tutte le fonti erano infondate e che, alla prova dei fatti. Il numero dei soldati presenti nel  1944 e 1945 nell’area di Leopoli non ammontava alle cinfre indicate. Inoltre incideva molto il fatto che in questa area erano stati allestiti diversi magazzini militari italiani di vestiario ed equipaggiamento e con la crisi del settembre 1943 furono abbandonati, e successivamente saccheggiati dalla popolazione; pertanto molti indossarono divise italiane, ma non erano soldati italiani.[3]

 

Una costellazione di eccidi in quel marzo aprile 1945, spesso senza significato apparente, che colpiva non solo gli italiani ma tutti gli internati in Germania, che a buon ragione permette di dire che gli ultimi due mesi di guerra in Germania sia veramente stato “l’inferno nell’inferno”, ulteriore caratterizzazione di questo fronte, che per lo più è anche di difficile documentazione.

 

[1] Schreiber G., Gli Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich. 1943 -1945.Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1992. Pag. 744 e segg.

[2] Schreiber G., Gli Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich. 1943 -1945. Cit. pag. 746 e segg.

[3] Ministero della Difesa, Commissione Ministeriale d’indagine sul presento eccidio di Leopoli avvenuto nell’anno 1943, Relazione conclusiva, Roma, 1988. Inoltre vd. Schreiber G., Gli Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich. 1943 -1945. pag. 752 e segg.