CITTA’ DI SCHIO – M.A.V.M.

  

SOCIO D’0NORE DELL’ISTITUTO DAL 1984

Medaglia d’Argento al Valor Militare

«Per l’immediata e coraggiosa resistenza opposta all’occupazione nazista da larga parte dei suoi cittadini, operanti in aiuto dei perseguitati, a sostegno o partecipi delle formazioni armate dislocate sui monti circonvicini, in opposizione nelle fabbriche contro soprusi e minacce, in una costante e lunga lotta alla quale la Città di Schio ha dato un alto tributo di sofferenze, di Caduti e di deportati nei campi di sterminio, per riaffermare i valori di libertà. Schio, 8 settembre 1943 – 29 aprile 1945»

Schio, nella provincia di Vicenza, aveva pagato cara l’opposizione al fascismo da parte di molti suoi abitanti. In quella zona, gli occupanti nazisti e i loro alleati repressero l’antifascismo in modo particolarmente feroce. Inoltre, la zona divenne un punto di raccolta di truppe tedesche verso la fine del conflitto, provocando fortissime tensioni con la popolazione ed innumerevoli violenze.

Il 14 aprile 1945, le Brigate Nere arrestarono il partigiano scledense Giacomo Bogotto, lo torturarono, e lo uccisero). Il 29 aprile quattro fascisti, ritenuti implicati per le torture e l’assassinio di Bogotto, furono passati per le armi e i loro cadaveri abbandonati in Valletta dei Frati a Schio. A Pedescala 79 civili, 2 militari ed 1 partigiano furono uccisi per rappresaglia dai tedeschi in ritirata.

Nel carcere mandamentale di Schio erano detenuta persone fermate per indagini su eventuali loro corresponsabilità col la R.S.I., tuttavia la maggior parte non era stata coinvolta direttamente in reati. Il 6 luglio un gruppo di ex-partigiani appartenenti alla Polizia Ausiliaria Partigiana, agli ordini di Valentino Bortoloso (“Teppa”), nella notte del 6 luglio entrò nel carcere e non disponendo di elenchi di fascisti, li cercarono ma, non avendoli trovati, le vittime furono scelte tra i 99 detenuti del carcere. Dopo il tentativo di fare una cernita tra i rimanenti, che suscitò contrasti tra gli stessi partigiani, alcuni proposero che fossero risparmiate almeno le donne, che in genere non erano state arrestate per responsabilità personale ma solo fermate per legami personali con fascisti o per indurle a testimoniare nell’inchiesta in corso. I detenuti e le detenute vennero ammassate in due celle, al piano terra ed al secondo piano delle carceri quindi alle 00:15 vennero uccise a colpi di mitragliatore 54 persone, tra cui 14 donne (4 sotto i 21 anni quindi minorenni), e ne vennero ferite altre 17 (la più giovane 16 anni).

Il governo militare alleato, nella persona del generale Dunlop governatore militare del Veneto, affidò le indagini agli investigatori John Valentino e Therton Snyder. In due mesi di indagini identificarono quindici dei presunti autori della strage, di cui otto erano scappati in Jugoslavia prima dell’arresto e sette vennero arrestati. Il processo istituito dalle autorità militari alleate si svolse nell’autunno del 1945. La Corte militare alleata assolse due degli imputati presenti e condannò gli altri cinque, tre di essi furono condannati a morte, due furono condannati all’ergastolo, altri tre imputati furono condannati in contumacia a ventiquattro e a dodici anni di reclusione (le condanne a morte verranno commutate nel carcere a vita).

Nel 1946 fu approvata l’amnistia Togliatti, di cui beneficiarono migliaia di fascisti e collaborazionisti, ma anche partigiani autori di eccidi e di moltissimi altri casi simili di giustizia sommaria.

 

LA TARGA CHE RICORDA I 54 MORTI DI SCHIO