Giovanni Riccardo Baldelli Gli Ordinamenti Militari Italiani alla prova della Guerra 1940 – 1945

  

Convegno di Studi e Ricerca

“Ad un anno dal centenario. Chi siamo, Cosa facciamo, Cosa vogliamo, Dove andiamo”

Roma, 26 marzo 2022 – Sala Grande della Presidenza Nazionale

“Gli ordinamenti Militari Italiani alla prova della guerra – 1940 -1945”

 

  1. Premessa

Reduce da circa un ventennio di incertezze che avevano generato una non meglio definita struttura ordinativa e anche mancati investimenti ed approvvigionamenti di materiali ed armamenti idonei ad affrontare la guerra moderna, il Regio Esercito si approcciava alla fine degli anni 30 del XX secolo con dubbie capacità operative e notevoli lacune materiali.

L’alleanza con la Germania nazista siglata il 27 maggio del 1939 con la firma del Patto d’Acciaio sanciva l’incapacità e la miopia politica di Mussolini che si legava in maniera indissolubile ad un alleato molto più forte ed inevitabilmente destinato a diventare prepotente ed invadente.

La strategia italiana all’indomani della dichiarazione di non belligeranza fu del tutto illusoria in quanto il vertice politico paventava, più che altro con argomenti pretestuosi e privi di ogni fondamento, di condividere con l’alleato germanico gloria e propri tornaconti territoriali e materiali. Con la guerra parallela, alternativa a quella tedesca, Mussolini ipotizzò di poter raggiungere gli obiettivi, dettati più che altro da esigenze di pura propaganda e ricerca del consenso interno, della libertà sui mari e della finestra sull’oceano. Non era quindi più il problema di sapere se l’Italia fosse entrata in guerra, ma solo conoscere il momento e in che modalità.

Che l’Italia, tra le tre potenze del Tripartito, non potesse sostenere uno sforzo bellico per un tempo in quanto totalmente impreparata, fu evidente fin da subito per una serie di ragioni quali:

  • l’inadeguatezza sia qualitativa sia quantitativa delle dotazioni belliche (il contributo italiano alla guerra di Spagna, la campagna etiopica e l’invasione dell’Albania sembrava non avessero fornito indicazioni valide per porre rimedio alle gravi lacune strutturali e dottrinali;
  • l’inadeguatezza delle concezioni strategiche e tattiche;
  • l’inadeguatezza dell’organizzazione delle forze e del comando;
  • la mancanza di una benché minima visione degli aspetti di come dovesse essere pianificata e condotta la guerra moderna, caratterizzata dall’ampio ricorso alla motorizzazione e al mezzo aereo;
  • l’assenza di una pianificazione operativa che potesse garantire la piena sicurezza delle linee di comunicazione marittime ed aeree con la Libia;
  • la carenza di cooperazione tra le tre forze armate che considerarono il proprio ambiente operativo come a sé stante, anziché come elemento interdipendente;
  • la superficialità con la quale si affrontò il problema costituito da Malta, come se non costituisse il centro di gravità del teatro di guerra mediterraneo;
  • l’assenza, nelle fasi iniziali del conflitto, di un Comando Supremo che non fu tale almeno fino al dicembre del 1940.

Prima di addentrarci nell’analisi delle cause e dei motivi strutturali ed ordinativi che generarono la sconfitta italiana, è opportuno procedere ad un esame dell’organizzazione di vertice con la quale le Forze armate e il Regio Esercito entrarono in guerra il 10 giugno 1940 ovvero, rispettivamente:

  • lo Stato Maggiore Generale che con la sua mobilitazione assumeva la denominazione di Comando Supremo delle Forze armate;
  • lo Stato Maggiore del Regio Esercito (denominato convenzionalmente Superesercito dal 12 giugno 1940).

Con l’entrata in vigore del Regio Decreto legge del 6 febbraio 1927, n. 68 Istituzione della carica di Capo di Stato Maggiore Generale e relative attribuzioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia (d’ora in poi GURI) n. 30 del 7 febbraio 1927, convertito dalla Legge 24 dicembre 1928, n. 3088 pubblicata in GURI n. 13 del 16 gennaio 1929, il Capo di Stato Maggiore Generale (d’ora in poi CASMG) – scelto tra i Marescialli d’Italia, i generali di Armata (comandanti designati o di squadra), gli ammiragli di Squadra, il Maresciallo dell’Aria, i generali d’Armata Aerea (designati o di squadra) e i generali di Squadra Aera -, veniva posto alle dirette dipendenze del Capo del Governo. Tale autorità verticistica militare doveva coordinare tutte le attività militari dello Stato, svolgendo azioni di consulenza a favore dell’esecutivo, procedere alla sistemazione difensiva del Paese e pianificare eventuali azioni di guerra.

L’intelaiatura base delle grandi unità divisionali era stata stabilita dall’ordinamento Pariani che prevedeva un organico su base binaria con due reggimenti di fanteria e uno di artiglieria.

Le divisioni di fanteria erano a loro volta suddivise in base all’impiego in:

  • divisioni di fanteria normale;
  • divisioni di fanteria da montagna;
  • divisioni di fanteria autotrasportabile;
  • divisioni di fanteria autotrasportabile tipo A.S..

 

  1. La battaglia delle Alpi

La battaglia delle Alpi non fu quindi caratterizzata da scontri tra unità organiche a livello divisione e/o reggimento, ma da azioni belliche perpetrate da colonne di livello battaglione rinforzato che riuscirono ad ottenere successi limitati nel tempo e di terreno, di cui un chiaro esempio fu quello della Colonna Boccalatte.

Infatti, i combattimenti locali, preludio dell’azione offensiva, furono condotti solamente quando i comandanti non attuarono quanto stabilirono dalle norme dottrinali, ma facendo ricorso invece alle tattiche di infiltrazione.

D’altronde, le operazioni condotte secondo la dottrina vigente avrebbero richiesto maggiori e migliori disponibilità di armamento ed equipaggiamenti, personale adeguatamente addestrato e motivato e un’organizzazione logistica capace di sostenere anche questa tipologia di operazioni.

Come se non fosse bastato lo smacco subito dalle forze armate italiane sulle alpi occidentali, anche le operazioni che vennero condotte in Africa Settentrionale nell’arco temporale compreso tra il 10 giugno 1941 e il febbraio del 1941, furono messe in atto da motivazioni di carattere politico, senza fare però le dovute considerazioni sulle reali capacità operative disponibili in quel teatro. In particolare, oltre alla mancata analisi della quantità di forze e del tempo necessario per lo sviluppo dell’azione, non fu fatta alcuna considerazione sulle qualità e la tipologia delle forze impiegabili. Dopo la campagna etiopica erano stati posti in essere diversi provvedimenti riduttivi circa la presenza di unità terrestri in Africa Settentrionale; infatti alcune unità costituita in quel teatro furono soppresse mentre quelle inviate dalla Madrepatria furono rinviate in Italia. Con il mutare della situazione politica internazionale nel 1938, furono presi dei provvedimenti volti a potenziare, in chiave difensiva, lo scacchiere nord-africano. Lo schema operativo prevedeva di fare massa contro l’avversario più debole nel settore occidentale con la Tunisia, mediante azioni difensive manovrate, mentre, alla frontiera orientale con l’Egitto si sarebbe dovuta condurre un’offensiva, definita travolgente, che avrebbe avuto come obiettivo in profondità la città di Alessandria. Per portare a termine tale piano Balbo appresentò che sarebbe stato necessario impiegare un maggior numero di unità del livello divisionale attualmente disponibili e di previsto invio in teatro (quattro divisioni metropolitane già in loco, due divisioni libiche e quattro divisioni metropolitane precettate per la costituzione del corpo di spedizione di rinforzo del quale si stavano già accantonando le dotazioni). Pariani a cui fu presentato il progetto, dopo averlo approvato in linea di massima, prospettò il suo pensiero al riguardo stabilendo in diciotto divisioni il numero minimo necessario per la realizzazione del piano (14 autotrasportabili, 2 libiche e 2 della milizia). Di cui dodici autotrasportabili avrebbero dovuto essere impiegate nell’offensiva verso l’Egitto mentre le restanti due autotrasportabili, le due libiche e le due della milizia avrebbero costituito il blocco difensivo alla frontiera occidentale con i territori coloniali francesi.

Senza specificare i combattimenti effettuati dalle unità del Regio Esercito in Africa Settentrionale tra il 1940 e il 1941, che esulano dallo scopo della presente relazione, tra gli spunti d’interesse riguardo agli aspetti ordinativi merita di essere approfondito quanto scritto da diversi autori che nell’analizzare i combattimenti si soffermano su diversi punti che di seguito riporteremo:

  • le divisioni di fanteria non impegnate nelle operazioni di rottura effettuando solo attacchi locali, non dimostrarono le inefficienze riscontrate da unità simili nel corso della battaglia delle Alpi Occidentali, ma palesarono una scarsa capacità controcarri;
  • lo sviluppo dell’azione offensiva delle forze italiane su Sidi El Barrani, ossia la conquista dell’Egitto, non avrebbe potuto essere portata a compimento se non si fossero create le opportune premesse di carattere tattico-ordinativo (adeguata disponibilità di carri armati, automezzi e aerei) e logistiche (elevate disponibilità di rifornimenti e mantenimento delle linee di alimentazione);
  • il dispositivo difensivo messo in atto all’indomani delle prime fasi offensive, campi trincerati e capisaldi, non erano appoggiati da forze motocorazzate che avrebbero dovuto operare negli intervalli. I capisaldi inoltre non avevano una copertura a 360° e non erano adeguatamente rafforzati, vuoi per la tipologia di terreno su cui erano stati predisposti e anche per la scarsezza dei materiali destinati al loro rafforzamento. Infine, le forze che li presidiavano erano utilizzate in puntate offensive o nella scorta ai rifornimenti;
  • le divisioni della milizia e quelle libiche, che per tipologia risultavano le meno idonee alle operazioni difensive, sia per costituzione sia per una predisposizione quasi “naturale”, derivante dallo spirito delle truppe libiche e dal presunto arditismo delle unità CC.NN, essere utilizzate in azioni offensive e non adatte alla resistenza e presidio di posizioni;
  • le divisioni libiche considerate forze mobili, in quanto erano in grado di sostenere le marce del deserto meglio di quelle nazionali, erano di dubbia operatività visto che impiegavano poche artiglierie e mitragliatrici (per lo più residuati bellici scartate dalle unità nazionali), disponevano di molti quadrupedi, prive di qualsiasi addestramento alle forme di guerra moderna,
  • tanto che dopo la sconfitta subita nel dicembre 1940 non saranno più ricostituite e le unità libiche saranno utilizzate nei presidi del deserto e delle oasi;
  • il successo nella guerra moderna in ambiente desertico era possibile solo grazie all’utilizzo combinato dei carri, del fuoco di artiglieria e del supporto aereo e non solo utilizzando i primi due, come invece fino a quel momento sostenuto dalle alte gerarchie militari italiane e, pertanto, si rendeva quanto mi improcrastinabile una ristrutturazione ordinativa ed organica.

 

Dal punto di vista ordinativo, tra le unità impiegate nello scacchiere africano settentrionale merita di essere menzionato il Raggruppamento Maletti, che risulterà impegnato nella offensiva di Sidi El Barrani e nella successiva controffensiva britannica nel corso della quale, il comandante da cui prendeva nome, rimase colpito a morte. Costituito l’8 luglio del 1940 al fine di poter disporre di una grande unità speciale motorizzata, dotata di forte autonomia tattica e logistica, destinata ad essere impiegata in regioni desertiche con scarse risorse idriche e di vettovagliamento, si componeva di:

  • tre comandi di gruppo;
  • sette battaglioni libici;
  • un battaglione sahariano;
  • due gruppi di artiglieria;
  • un battaglione misto carri su:
  • una compagnia carri medi M11;
  • una compagnia carri leggeri L3;
  • due compagnie controcarri con cannoni da 47/32;
  • una compagnia mortai da 81;
  • due batterie contraerei da 20/65 mm;
  • una compagnia genio-collegamenti;
  • una compagnia genio idrici.

 

  1. L’Africa Orientale

Il teatro operativo dell’A.O. fu caratterizzato da un ordinamento poco razionale per quanto riguardava la difesa portata da minacce esterne. Aver impiegato forze totalmente prive di automezzi in uno scacchiere così vasto e con una conformazione geografica varia, comportò l’utilizzo in prevalenza di unità coloniali. Al riguardo, in A.O., contrariamente a quanto avvenne in Libia dove le unità coloniali furono riunite in divisioni, avvenne esattamente il contrario in quanto l’ordinamento delle forze metropolitane (nazionali) fu adeguato a quello delle unità coloniali. Sicuramente, inquadrare le unità coloniali in divisioni non avrebbe garantito benefici, ma non l’aver riunito in maniera organica la metà delle forze dislocate nella regione in divisioni, lasciandole inquadrate in battaglioni autonomi, era sicuramente aderente alle ipotesi di impiego in operazioni di polizia coloniale. D’altro canto tale ordinamento, non poteva sorbire per le unità quegli effetti desiderati per quanto atteneva alla compattezza morale, organica e alle capacità operative propedeutiche del combattimento in campo aperto contro un avversario ben definito. Scindere organicamente le unità nazionali con personale volontario o richiamato, con un’età superiore ai 30 anni, provocò effetti negativi sul rendimento operativo dei reparti. Le due divisioni nazionali, la Granatieri di Savoia e la Cacciatori d’Africa, non vennero mai impiegate, con i loro 12 battaglioni di fanteria e i 3 di CC.NN., in maniera unitari, ma utilizzate quale volano, a ragion veduta, per l’invio di rincalzi e rinforzi nei vari scacchieri. I reggimenti di queste divisioni, sebbene costituiti da unità di diversa natura e tradizione (granatieri, bersaglieri, alpini e CC.NN.), furono impiegati per aliquote, erodendone la struttura organica in operazioni di combattimento o di presidio. L’errato ordinamento che fu attribuito alle forze presenti in A.O. non è il principale motivo dell’insuccesso, ma, come più volte rimarcato, è da attribuire alla mancanza di mobilità, dalla carenza e insufficienza qualitativa e quantitativa dell’armamento controcarri e controaerei, senza dimenticare l’assenza di un adeguato supporto di forze aeree.

L’errato ordinamento delle forze terrestri in A.O. è comunque imputabile a:

  • la mancanza di unitarietà e coordinamento in molti combattimenti sostenuti durante la campagna;
  • le notevoli difficoltà di cooperazione di unità eterogenee diverse per addestramento, mentalità, lingua, procedimenti tattici inserite in un complesso di forze non addestrate ad operare insieme.[1]

Come in Africa Settentrionale anche in Africa Orientale all’inizio delle operazioni il numero degli effettivi delle forze italiane sovrastava quello degli avversari britannici; fattore che a campagna conclusa fu ampiamente sfruttato ai fini propagandistici dagli inglesi.[2]

Le truppe coloniali che nel 1940-1941 costituivano circa il 75% della forza presente in zona d’operazioni, operarono lontano dalle famiglie e addirittura abbandonandole durante le operazioni o in altri casi queste assecondarono il capofamiglia seguendolo negli spostamenti operativi. Le forze terrestri colpite da diserzioni in massa e gravate dalla presenza dei famigliari dei militari coloniali, furono anche lacerate da problematiche logistiche e morali che non possono, per brevità di tempo, descritte in questa sede e per le quali si rimanda a studi specifici.

 

  1. La campagna di Grecia

E’ vero certamente, d’altro canto, affermare, come giustamente afferma Montanari, che tutto ciò che accadde in Grecia non è da attribuirsi unicamente alla divisione binaria, strutturata su due soli reggimenti di fanteria, però in quel particolare ambiente operativo come quello greco esercitò un’influenza totalmente negativa che non ebbe paragoni in altri scacchieri, nei quali operò il Regio Esercito, dove la totale mancanza di fanterie dotate di mezzi motorizzati e corazzati superò abbondantemente qualsiasi difetto strutturale organico ed ordinativo.

[…]…In Albania, dove la divisione di fanteria in quanto tale poteva considerarsi adeguata – a prescindere dall’equipaggiamento e dall’armamento delle nostre unità – all’ambiente naturale ed il nemico disponeva anch’esso di fanteria a piedi, la binaria fallì e, senza molta esagerazione, coinvolse nel fallimento piani e dispositivo. […][3]

L’inefficacia del provvedimento istitutivo della divisione binaria fu chiara già dall’agosto del 1940, visto che Visconti Prasca prospettò a Mussolini, alla presenza di Ciano e Jacomoni, l’esigenza di inviare altri battaglioni di fanteria per rinforzare le divisioni già presenti in Albania, anziché inviarne altre, portandoli da 9 a 12 e conferendo così alla grande unità una maggiore efficienza tattica. Il fallimento dell’offensiva all’inizio delle operazioni e il successivo dramma del ripiegamento, indussero a maturare delle convinzioni negative nei confronti della divisione binaria.[4]

Secondo quanto annotato da Armellini e riportato da Montanari, lo stesso Mussolini si dimostrò sorpreso, se non indignato, nell’apprendere che la divisione alpina Julia fosse ordinata solo su 5 battaglioni di fanteria alpina e non su 10 battaglioni come credeva che fosse; tanto che diede immediatamente ordine di costituire il terzo reggimento. Dopo che gli fu rappresentata l’impossibilità di procedere con tale provvedimento, Mussolini replicò che avrebbe provveduto direttamente lui con la Milizia e dando disposizioni in tal senso a Starace.[5]

Non vi fu quindi né un’azione decisa da parte dei vertici militari per ripristinare l’ordinamento divisionale su tre reggimenti, ma non furono poste nemmeno obiezioni sulla decisione di sostituire un reggimento di fanteria con una legione della MVSN.[6]

Il battaglione CC.NN, infatti, non poteva disporre di un supporto di fuoco adeguato: i nove mortai da 45 mm erano per numero e capacità intrinseche solo dei miseri palliativi a quello che invece avrebbe dovuto essere un’analoga unità di fanteria. La legione, poi, non disponeva nemmeno di armi anticarro o di supporto alla fanteria, per non parlare della limitatezza dei veicoli a motore di cui avrebbe dovuto disporre.

In definitiva si cercava, more solito, di sopperire in qualche modo alla mancanza di strutture ordinative idonee, di armamenti efficaci e di una benché minima motorizzazione delle unità, arrangiandosi con i concetti dell’arditismo, della sofferenza quasi stoica, della spregiudicatezza, quasi deistica; tutti concetti peculiari tanto cari alla propaganda di Starace e ben radicati all’interno della MVSN.

Tornando all’ipotesi di riordinare le divisioni su base ternaria, non vi fu dunque nessuna critica da parte del Comando Supremo che invece avallò la decisione di formare le divisioni di fanteria su nove battaglioni, di cui 2 di CC.NN. e uno mortai. Vi è quindi una tacita accettazione e conferma del concetto della divisione binaria, ma come afferma Montanari pare addirittura che la sua realizzazione integrale costituisca la soluzione ad hoc. Anche il fatto di considerare il battaglione mortai divisionale alla stessa stregua di un battaglione fucilieri è a dir poco allucinante. Non è chiaro dunque il recondito motivo per cui, nel momento nel quale il concetto di divisione binaria viene rigettato dai vertici politico-militari, vi sia invece una conferma implicita da parte di Mussolini.[7]

Lo stesso Soddu fautore dell’istituzione della divisione binaria, nonostante avesse intenzione di chiedere l’invio di un terzo reggimento di fanteria, anziché altre divisioni, non ebbe tempo di formulare alcun ordine o proposta, visto che ricevette l’esonero dal Comando.

Sebbene i giudizi negativi espressi sulla divisione binaria dei vari Ufficiali generali protagonisti della campagna di Grecia come Visconti Prasca, Soddu e Cavallero, senza dimenticare lo stesso Mussolini, nessuno si fece partecipe e promotore dello scioglimento di un certo numero di divisioni binarie, riducendone il numero e trasformandole in divisioni ternarie più robuste. Ciò avrebbe evitato, come propone Stefani, la costituzione ex novo di 70 reggimenti di fanteria e altrettanti gruppi di artiglieria. Lo stesso Cavallero, che avrebbe avuto l’autorità necessaria per poterlo fare, lasciò le cose come le aveva trovate all’atto dell’assunzione della carica, continuando, anche per il 1942, a calcolare il fabbisogno delle divisioni binarie nonostante avesse stigmatizzato l’ordinamento delle divisioni di fanteria su soli due reggimenti.[8]

Ma non erano solo i vertici della forza armata ad avere alcuni dubbi sull’utilità e validità della divisione binaria, ma le critiche provenivano anche dai livelli gerarchici subordinati:

[…] Anche dal basso partivano, sempre più insistenti, le richieste di tornare all’antico. Il rapidissimo logorio della divisione aveva portato a situazioni drammatiche che non potevano essere ignorate o sottovalutate.[…]

A metà gennaio il gen. Rossi fece il punto alla situazione, segnalando l’usura, la stanchezza, il bisogno di riordino di troppi reparti. Tutti avevano settori sproporzionati agli effettivi. Mancavano così seconde schiere, secondi scaglioni e perfino rincalzi che dessero sufficienti garanzie di fronte ad eventualità non impossibili a verificarsi.[…]

Dal canto suo, il gen. Bancale, rientrato in Italia dopo aver lasciato il comando dell’VIII corpo al Gen. Gambara presentò un promemoria al ministero della Guerra – che lo inoltrò al Comando Supremo e allo S.M.R.E. – sulle esperienze ricavate dai primi tre mesi di guerra e sull’argomento si espresse senza ambagi: “E’ riconosciuta la necessità di ritornare alla divisione ternaria”. Ebbene, l’idea di modificare l’ordinamento tanto deprecato, non risulta sia stata nemmeno presa in considerazione e la binaria regnò per tutta la durata della seconda guerra mondiale.[…][9]

Lo stesso Badoglio che si era dimostrato sempre contrario alla binaria fin dalla sua adozione, malgrado non fu mai consultato al riguardo, visto che avrebbe in qualche modo espresso il suo dissenso, accettò comunque il nuovo ordinamento divisionario.[10]

La campagna di Grecia mise quindi in rilievo la totale inadeguatezza della divisione binaria italiana nei confronti di quella ternaria greca che disponeva di un rapporto di forze la grande unità ellenica disponeva infatti di:

  • tre reggimenti di fanteria su tre battaglioni, una compagnia mortai da 81 mm su 4 armi ed una sezione di artiglieria da 65 mm con 3 pezzi;
  • un gruppo di artiglieria da 75 mm e uno da 105, ciascuno su due batterie da 4 pezzi ciascuna.[11]

D’altro canto, come noto, per fare un giusto raffronto sui rapporti di forza esistenti, le nostre divisioni di fanteria, erano ordinate su:

  • due reggimenti di fanteria, su tre battaglioni, una compagnia mortai da 81 mm da 6 armi e una batteria di accompagnamento da 65/17;
  • una Legione CC.NN.[12] (non presente in tutte le divisioni), ordinata su due battaglioni ed eventualmente su una compagnia mitraglieri[13];
  • un battaglione mortai divisionale da 81 mm su due compagnie ciascuna su 6 armi;
  • una compagnia cannoni da 47/32 su 8 pezzi;
  • un reggimento artiglieria su tre gruppi (uno da75/13, uno da 75/27 e uno da 100/17), ciascuno su tre batterie da 4 pezzi.

 

  1. La fine del triennio

Dover condensare in poche righe gli avvenimenti e gli aspetti ordinativi del periodo tra il 1942 e l’8 settembre 1943, è un’impresa ardua a cui sono stati dedicati volumi e tomi di storia militare.

Gli ordinamenti che caratterizzarono il periodo riguardarono essenzialmente:

  • la revisione degli organici delle divisioni di fanteria destinate all’Africa Settentrionale (tipo AS 42;
  • la creazione di nuove unità (divisioni di occupazione, divisioni costiere, divisione aerotrasportabile);
  • l’incremento delle divisioni paracadutiste (divisione Nembo e Ciclone);
  • la costituzione di unità speciali (X reggimento arditi, raggruppamento Centri militari/frecce Rosse);
  • la ricostituzione della divisione corazzata Ariete II che con nuovi materiali, ancorché di breve durata, rappresentava con i mezzi a disposizione quanto di meglio l’industria nazionale e, specificatamente, il Regio Esercito potessero mettere in campo in quel frangente;
  • la motorizzazione della divisione Piave.

Per ciò che concerne le modifiche organiche alle unità di fanteria destinate all’Africa Settentrionale, nel 1941 dopo le esperienze maturate durante il primo ciclo di operazioni in Africa settentrionale lo Stato maggiore dell’Esercito adombrò la possibilità di modificare le divisioni autotrasportabili in divisioni motorizzate tipo A.S.[14].

L’organico di questa nuova tipologia di divisione prevedeva:[15]

  • un comando di divisione;
  • un comando della fanteria divisionale;
  • una compagnia motociclisti (un plotone comando, due plotoni motociclisti, un plotone motomitraglieri e un plotone fucili o mitragliere controcarro);
  • due reggimenti fanteria ciascuno su:
  • comando di reggimento;
  • compagnia comando di reggimento (plotone comando, plotone collegamenti e plotone servizi);
  • due battaglioni fucilieri ciascuno su: tre compagnie fucilieri (un comando di compagnia, tre plotoni fucilieri e un plotone fucili e mitragliere anticarro), una compagnia accompagnamento e controcarro (un comando di compagnia, due plotoni mitraglieri ciascuno con 4 mitragliatrici e due contro carro autotrainati ciascuno con 2 pezzi);
  • un battaglione controcarro ed accompagnamento su: una compagnia cannoni da 20 (quattro plotoni con 8 cannoni da 20), una compagnia pezzi controcarro autotrainati (due plotoni per un totale di 8 pezzi contro carro autotrainati), una compagnia mortai da 81 (tre plotoni mortai con 9 armi) e una compagnia mitraglieri (12 mitragliatrici);
  • un battaglione controcarro ed accompagnamento divisionale su: una compagnia cannoni da 20 (quattro plotoni con 8 cannoni da 20), una compagnia pezzi controcarro autotrainati (due plotoni per un totale di 8 pezzi contro carro autotrainati), una compagnia mortai da 81 (tre plotoni mortai con 9 armi);
  • un reggimento artiglieria divisionale su:
  • un comando di reggimento;
  • un gruppo obici da 100/17 su tre batterie da 4 pezzi ognuna;
  • due gruppi da 75/27 ciascuno su tre batterie da 4 pezzi ognuna;
  • un reparto munizioni reggimentale;
  • una batteria da 47/32 autocarrata controcarri (due sezioni da 4 squadre con un pezzo ciascuna);
  • un gruppo misto di batterie contraerei auto campali su: due batterie da 75/46 o 75/27 C.K. (ciascuna su 8 pezzi), ed una da 20 (su quattro sezioni ciascuna da 2 armi);
  • un battaglione misto del genio su: comando di battaglione, una compagnia speciale artieri autocarreggiata con parco (un plotone artieri, un plotone idrici, un plotone artieri d’arresto, un parco di compagnia autocarreggiato) e una compagnia collegamenti (un plotone telegrafisti, un plotone fototelegrafisti, un plotone marconisti e un parco telefonico);
  • una sezione sanità;
  • un ospedale da campo;
  • un nucleo chirurgico;
  • un’ambulanza odontoiatrica;
  • una sezione di sussistenza;
  • una squadra panettieri;
  • un’officina autocarreggiata per materiali dei collegamenti;
  • un’officina mobile pesante;
  • un reparto soccorso stradale;
  • un nucleo movimento stradale;
  • un autogruppo misto per divisione motorizzata tipo A.S.;
  • un reparto complementi per divisione motorizzata tipo A.S..

 

  1. Gli altri Corpi

Non vanno poi tralasciati anche gli altri corpi armati dello Stato che nel corso del conflitto operarono a fianco al Regio Esercito:

  • l’Arma dei Carabinieri Reali, che con le sezioni mobilitate, i battaglioni mobilitati, il I battaglione CC.RR: paracadutisti;
  • il Corpo della Regia Guardia di Finanza, che con i suoi battaglioni mobilitati concorse in particolar modo sul fronte greco-albanese alle operazioni belliche;
  • il Corpo degli Agenti di P.S. che con il Battaglione Agenti di Polizia Motociclisti operante in Montenegro e il Battaglione Speciale “Fiume” impiegato in Croazia, meritarono, entrambi, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare (uniche decorazioni al Valor Militare di cui si fregia la bandiera della Polizia di Stato),
  • la Polizia dell’Africa Italiana che con il battaglione “Romolo Gessi” fu impiegato in Africa Settentrionale come unità esplorante del Corpo d’Armata di Manovra, la colonna Cheren che all’8 settembre del 1943, durante la difesa di Roma, si oppose tenacemente ai tedeschi;
  • le unità coloniali, non ultime in fatto di elencazione e di valore militare, che seppero essere fedeli ai propri comandanti e ad una bandiera, che in teoria non era la loro.

 

 

 

 

 

 

 

[1]     Filippo STEFANI, La storia e la dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano Volume II Tomo 2°, op. cit., p. 210

[2]     USSME, La guerra in Africa Orientale, op. cit., p. 327

[3]     Mario MONTANARI; La campagna di Grecia. Tomo I (Testo), USSME, Roma 1980, p. 911

[4]     Ivi, pp. 921-922

[5]     Ivi, p. 922

[6]     Ibidem

[7]     Mario MONTANARI; La campagna di Grecia. Tomo I (Testo), USSME, op. cit., pp. 922-923

[8]     Filippo STEFANI, La storia e la dottrina e degli ordinamenti dell’Esercito Italiano Volume II Tomo 2°, op. cit., p. 176

[9]     Mario MONTANARI; La campagna di Grecia. Tomo I (Testo), op. cit., pp. 924-925

[10]    Piero PIERI e Giorgio ROCHAT, Badoglio. Il Maresciallo d’Italia – Tomo secondo in Storia Militare d’Italia, Edizione unica per Il Giornale, Milano 2019, p. 728

[11]    Mario MONTANARI; La campagna di Grecia. Tomo I (Testo), op. cit., p. 148

[12]    Nel caso specifico della campagna di Grecia la MVSN assegnò 24 legioni (di cui 4 combatterono poi solo contro l’esercito jugoslavo), a cui si aggiunsero altri 8 battaglioni non inquadrati nelle divisioni del Regio Esercito. dall’ottobre del 1840 all’aprile del 1941 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale impiegò nella campagna contro l’esercito greco e successivamente, nell’ultima parte, contro l’esercito greco 56 battaglioni. Di questi ben 27 andarono perduti in combattimento, di cui 20 di soli complementi assorbiti per ripianare le ingenti perdite subite: battaglioni XIX, XXVII, CXII, CXIV, CXXI, CXXX e CLIII.

Oltre a queste unità oltre al Raggruppamento Galbiati (battaglioni VIII, XVI e XXIX) parteciparono anche altri 5 battaglioni autonomi (IX, X, XII Monte Bianco, LXXXV e XCIII.

Cfr. Ettore LUCAS e Giorgio DE VECCHI, Storia delle unità combattenti della M.V.S.N., Giovanni Volpe Editore, Roma 1976, pp. 262-264

Cfr. Virgilio ILARI e Antonio SEMA, Marte in orbace, op. cit., Allegato 21 p. 408

[13]    Delle varie unità assegnate alle divisioni del Regio Esercito, nel triennio 1940-1943, di cui ben 45 legioni d’assalto (ognuna su due battaglioni), le uniche Legioni che non disponevano di una compagnia mitraglieri erano le 8 libiche (su tre battaglioni), una legione A.O.I. (su due battaglioni), una legione A.S. (su tre battaglioni), i 9 Gruppi battaglioni CC.NN. (compreso il 1° gruppo battaglioni CC.NN. da sbarco) e la 95° Legione d’Assalto assegnata alla Piazza Militare di Messina. Alcune Legioni, come la 63a d’assalto Tagliamento (battaglioni LXIII e LXXIX), assegnata alla divisione di fanteria Pistoia (16a) e poi al CSIR, avevano in organico due compagnie mitraglieri, ne caso specifico la 103a e 183a; mentre la 201a d’assalto di stanza nell’Egeo (battaglioni CCI e CCCI), assegnata alla divisione di fanteria Regina (50a) aveva in organico tre compagnie mitraglieri 401a, 402a e 403a.

Cfr. Virgilio ILARI e Antonio SEMA, Marte in orbace, op. cit., Allegato 21 pp. 405-408

[14]    AUSSME, Fondo M-7 Circolari vari Uffici, b. 426, f.n. 24500/304 datato 25 aprile 1941 “Trasformazione della divisione coloniale in divisione motorizzata tipo A.S.” di Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio Ordinamento e Mobilitazione Sezione Oltremare

[15]    AUSSME, Fondo M-7 Circolari vari Uffici, b. 426, allegato 7, al f.n. 560 datato 5 maggio 1941 “Formazioni provvisorie di guerra di alcune unità metropolitane per l’A.S.” di Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio del Capo di Stato Maggiore e f.n. 30670/304 datato 8 luglio 1941 “3^ serie di aggiunte e varianti al f.n. 24500/304 del 25 aprile 1941 all’oggetto Trasformazione della divisione coloniale in divisione motorizzata tipo A.S.” di Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio Ordinamento e Mobilitazione Sezione Oltremare