LUIGI MANUSARDI E GIORGIO RODOCANACCHI – M.O.V.M. DI DICEMBRE

  

MANUSARDI LUIGI

Maggiore s.p.e. – Cavalleria, V gruppo squadroni cavalleria coloniale

Di nobile famiglia lombarda, compiuto l’anno di volontariato nel rgt. “Nizza Cavalleria”, veniva congedato col grado di sergente il 30 nov. 1911. Nel genn. 1913 era nominato sottotenente di cpl. e allo scoppio della prima guerra mondiale, passato in s.p.e., veniva trasferito al rgt. “Cavalleggeri Roma” col quale, appiedato, si distingueva a Monfalcone rimanendo gravemente ferito. Promosso tenente, passava, a domanda, nei bombardieri, nell’ott. 1917, assumendo il comando della 258ª btr. bombarde. Dopo il conflitto fece parte di varie missioni alleate di controllo: a Berlino, Vienna, Budapest e nei Paesi Baltici. Passava poi, successivamente, ai reggimenti “Lancieri di Firenze”, “Lancieri di Milano”, “Lancieri di Aosta” e, promosso capitano nel 1926, al “Piemonte Reale Cavalleria. Dai 1929 al 1934 e cioè fino alla promozione a maggiore, ebbe funzioni di ufficiale addetto al Capo di S.M. Destinato poi, a domanda, al R.C.T.C. della Cirenaica, vi rimaneva tre anni al comando del II gruppo squadroni cavalleria coloniale. Rientrato in Italia nell’aprile 1937, presentava una nuova domanda per essere trasferito in A.O. e, destinato al R.C.T.C. dell’Eritrea partiva da Napoli nell’ott. successivo per assumere a Gondar il 20 dello stesso mese, il comando del V gruppo squadroni di cavalleria coloniale.

Altre decorazioni: M.A. (Monfalcone, 1916); M.B. (Monfalcone, 1916).

“Comandante di alta capacità professionale e di sereno coraggio, rinnovò superbamente le nobili tradizioni di slancio e di sacrificio proprie dell’arma alla quale apparteneva. Incaricato col suo gruppo di squadroni di ampliare e consolidare una testa di ponte di grande importanza da poco occupata dalle nostre truppe, assolveva brillantemente il suo compito. Raggiunto, travolto e annientato, in aspra e sanguinosa carica, un primo gruppo di nemici, con fulminea decisione, si slanciava arditamente su notevoli rinforzi sopraggiunti, disperdendoli. Mentre era intento a raccogliere e riordinare ì propri squadroni, che avevano gareggiato di bravura nella cruenta lotta, cadeva colpito a morte, chiudendo la nobile esistenza tutta ispirata ad alti sentimenti di Patria e di dovere.” Ponte Tisisat Dildil,27 novembre 1937.

 

 

RODOCANACCHI GIORGIO

Capitano di vascello s.p.e. M.M

Di famiglia dì origine greca, era ammesso come allievo nell’Accademia Navale di Livorno nel settembre 1912 uscendone guardiamarina nel luglio 1916. Dopo avere partecipato alla prima guerra mondiale su navi di superficie fra cui le corazzate «Doria» e «Giulio Cesare» ottenne la promozione a capitano di corvetta nel 1928 e quella di capitano di fregata net 1934. Numerose furono le navi sulle quali fu imbarcato con incarichi vari fra cui quello di direttore di tiro. Fu poi comandante della base di Tobruk dal 1936 al 1937, comandante della base di La Maddalena ed infine sottocapo di S.M. del Comando in capo di Taranto. Promosso capitano di vascello all’inizio della seconda guerra mondiale, un anno dopo nel maggio 1941, assunse il comando dell’incrociatore «Alberico da Barbiano».

“Comandante di un incrociatore, destinato a compiere una missione delicata e particolarmente rischiosa, si dedicava con appassionata competenza alla preparazione della sua nave. Seguendo le direttive e l’esempio del suo ammiraglio, creava nel suo equipaggio la più pura atmosfera eroica, sì che tutti guardassero con cosciente serenità anche alla possibilità del superno sacrificio nel nome sacro della Patria. Venuto improvvisamente a contatto notturno ravvicinatissimo con unità nemiche, manovrava con rapidità e freddezza per tentare di evitare i numerosi siluri lanciati a brevissima distanza, e reagiva vigorosamente con le sue artiglierie. Mentre la nave affondava, si preoccupava di organizzare il salvataggio della sua gente-che rincuorava con l’elevata parola ed il nobile esempio, sfidando l’offesa del nemico che martellava ancora con cannoni e mitragliere il bastimento in fiamme. Incurante della propria salvezza restava sulla nave in procinto di inabissarsi, cedendo in atto di suprema abnegazione, il suo salvagente ad un marinaio che ne era privo, e scompariva eroicamente con la sua unità alla quale si sentiva legato oltre la vita.” – Mediterraneo Centrale, 13 dicembre 1941.