Maria Luisa Querzoli. Francesco Baracca dalla Cavalleria all’Aviazione

  

 

 

Il nove maggio del 1888 nasceva a Lugo di Romagna Francesco Baracca, futuro Asso dell’Aviazione militare italiana.

La vita di paese nell’Ottocento era scandita dai ritmi della natura e ogni evento capace di interrompere la prevedibilità propria di quell’ordine veniva accolto con grande meraviglia e conservato dall’eco dei ricordi. Proprio a Lugo nel 1878 un aeronauta aveva sfidato la forza di gravità innalzandosi in cielo sul suo globo aerostatico (salvo poi precipitare nelle campagne circostanti)[1]. Nel 1904 in occasione della festa del Re Vittorio Emanuele III un’imponente rivista militare a cui parteciparono ben ottomila uomini[2] coinvolse la cittadina romagnola: Francesco Baracca, sedicenne, ebbe modo di assistervi e probabilmente ne conservò un’impressione tale da indirizzare le sue scelte future, incurante delle reazioni del padre e dello zio militare[3] non proprio concordi con il suo intento già ben radicato. Gli studi non riuscirono a diminuire la sua passione per il movimento: alla sua predilezione per cavalli si affiancò l’interesse per le moto.

Conclusi gli studi alla Scuola Militare di Modena, proseguì la formazione alla Scuola d‘applicazione di Cavalleria di Pinerolo, culla della tradizione sabauda, dove l’ambiente dalle frequentazioni internazionali accrebbe di molto le sue prospettive. La cittadina piemontese conservava in quegli anni viva memoria della figura brillante di Federico Caprilli, scomparso prematuramente in circostanze mai del tutto chiarite. Oltre che Ufficiale di Cavalleria capace di sovvertire rapidamente con il suo Sistema Naturale di Equitazione  i canoni obsoleti ancora in auge, Caprilli fu addentro all’ambiente che vide la costituzione dell’Automobile Club d’Italia e la fondazione della FIAT: in lui, la vocazione al movimento propria della Cavalleria si rivolgeva con autentico interesse agli sviluppi tecnologici che avrebbero informato il nuovo secolo appena agli albori.

Francesco Baracca seppe farsi portatore di tale eredità impegnativa.

Nel 1911 a Tor di Quinto, durante un’esercitazione a cavallo, si trovò ad assistere a un incidente di volo che si rivelò letale per Raimondo Marra, pilota impegnato nella prova dei sei giri del Tevere pressoché suo coetaneo: la conquista dell’aria, a pochi anni dal fatidico 1903 (anno legato all’invenzione dei fratelli Wright) iniziava a suscitare un interesse e a esercitare un fascino difficilmente descrivibile. Gli inevitabili incidenti costituivano quasi nell’immaginario collettivo il sacrificio necessario per compensare la conquista del cielo, pregna di fortissime valenze simboliche, prossime al mito. Anzi, il pericolo accresceva il fascino: «[a] Mirafiori, quando arrivammo, si vedeva già qualche aereo per il cielo. Noi si stava a guardare a bocca aperta e ci sembrava un miracolo. Quei pochi piloti che vi erano, a noi allievi, non sembravano degli uomini ma dei semidei. Spesso si sentiva parlare di disgrazie mortali, ma ciò aumentava per noi di più il loro prestigio»[4].

L’interesse nei riguardi del volo trovava però un argine tenace nella diffidenza; l’impiego dei velivoli per scopi militari venne poi decisamente sottovalutato nonostante la voce di Giulio Douhet si levasse alta, a sostegno delle prospettive future (che si delineavano già distinte al suo sguardo) dell’arma aerea.

Francesco Baracca, conquistato dalle potenzialità che intravvedeva nella sua scelta, nel 1912 si recò a Parigi (tacendone alla madre, preoccupata circa tale eventualità) per conseguire il brevetto: «[q]ui a Reims volare è la cosa più normale di questo mondo ed ho avuto per questo un senso di sollievo poiché in Italia si considerano gli aviatori ancora come dei pazzi o almeno dei temerari»[5], confida al padre.

L’ingresso in guerra dell’Italia avvenne fra molteplici criticità di ordine diverso che non mancarono di riversarsi anche sull’ l’Aviazione, allora ai primordi. L’urgenza dettata dalle necessità ridusse però i tempi necessari all’assimilazione delle novità tecnologiche: «[v]i sono in paesi qui vicino moltissimi reggimenti di cavalleria e vengono spesso miei colleghi a vedere gli apparecchi e mi invidiano perché io posso fare azioni utili col mio apparecchio mentre per ora i regg. di cav. sono qua tutti inutilizzati»[6] scrive Baracca a pochi mesi dall’inizio del conflitto.

Le parole dell’allora Tenente Baracca colgono il momento in cui l’Aviazione subentra alla Cavalleria e, soprattutto, in cui la diffidenza si muta in quella considerazione generale nei riguardi del volo che di lì a breve avrebbe dato luogo ad una trasformazione irreversibile, non solo in ambito bellico.

[1] Le informazioni riguardanti l’ascensione di Raffaele Rossini sono state tratte dalla mostra I Lughesi e il sogno del volo (Biblioteca ‘Trisi’ di Lugo, 4 maggio – 15 giugno 2019).

[2] Cfr. E. Iezzi, Francesco Baracca. Luci e ombre di un grande Italiano, Lugo: Walberti, 2008, p. 12.

[3] Cfr. Lettera di Gaetano Chetoni a Francesco Baracca, Catanzaro, 24 luglio 1907 in Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, archivio di persona Francesco Baracca: lettera 2.

[4] G. Aliperta, Memorie di volo e di guerra, Bari: Arti Grafiche Favia, 1976, p. 12.

[5] Lettera di Francesco Baracca al padre, Reims, 5 maggio 1912, Museo del Risorgimento di Milano, raccolte storiche: cartella n. 36, n. reg. gen. 31941.

[6] Lettera di Francesco Baracca alla madre, Campoformido, 28 agosto 1915, Biblioteca ‘Trisi’ di Lugo, fondo Baracca, Corrispondenza: faldone I, fascicolo B, documento 19.