Massimo Coltrinari. La Battaglia di Adua e i prigioneri di guerra. Il ritorno in Patria. “Meglio che foste morti” V

  

“Era meglio foste morti! “: è il succo della prima accoglienza delle autorità e degli italiani ai prigionieri di Adua, sorvolando sull’impreparazione militare e psicologica di quella truppa e sugli errori e sottovalutazioni del nemico da parte del gen. Baratieri e del governo Crispi! [1]

Il primo scaglione di prigionieri giunse in Italia nel febbraio 1897 composto da 7 ufficiali e 208 militari di truppa- Il grosso dei prigionieri italiani rimpatrierà tra l’autunno del 1896 e l’aprile 1897, dai porti di Massaua e Zeila, raggiunti questa volta a cavallo e verrà accolto con gelo, se non ostilità, dalle autorità e dalle cittadinanze in Eritrea e in Patria. Tedone[2] (op. cit.) così ricorda il primo impatto degli ex prigionieri, nel porto di Massaua, accolti con diffidenza e vergogna dalle autorità e dai civili: Molto popolo bianco e nero era schierato sulla banchina al nostro arrivo, ma non una parola, non un saluto da parte della folla che in breve si dirada lenta e silenziosa com’era venuta.”

Anche GOJ (op.cit.) sottolinea l’accoglienza glaciale, a differenza da quella ricevuta a Zeila dagli inglesi e si preoccupa delle voci di processi ai reduci, in Italia!” 

Pontano [3] aggiungerà: “Cominciavamo a capire, dopo aver scorso, passati tanti mesi, alcuni giornali italiani, di dover scontare i grattacapi procurati agli uomini di governo con la nostra prigionia: avevamo il torto di non essere morti tutti /…/ Così finì la prigionia in Abissinia di cui, dopo tanti anni, posso dire che non fu il periodo più triste della mia vita.”

L’accoglienza in Italia a Napoli sarà vessatoria e punitiva: lo sbarco avverrà di notte, coi carabinieri che tengono lontana la popolazione e col trasporto al galoppo in caserma nei carri dell’artiglieria. Seguiranno lunghi interrogatori in caserma ma non ci saranno processi, ma saranno defraudati di parte del soldo e dei souvenirs portati dallo Scioa e diffidati di parlare coi giornalisti e tanto meno della battaglia di Adua e della prigionia.[4].

Così i prigionieri di Adua si ammutolirono come quelli, più tardi, di Caporetto e gli ex IMI dei Lager: le trame della storia si ripetono!

Solo sei reduci avranno il coraggio di testimoniare pubblicamente, anche in sordina e anche dopo decenni: il medico Nicola D’Amato[5], il sottufficiale Francesco Frisina[6], il maggiore Giovanni Gamerra[7], il caporale Luigi Goj[8], il tenente Gherardo Pontano[9] e il sergente Giovanni Tedone[10]  Non se ne ricordano altri,  ( Massimo Coltrinari)

[1] Come vedremo, con uguale diffidenza si comportarono gli italiani coi prigionieri di Caporetto, accusati di diserzione e gli ex-IMI dei Lager nazisti rei di avere consegnate le armi e dimenticando le responsabilità, in entrambi i casi, di Badoglio. Così pure si comportò Stalin, deportando in Siberia due milioni di ex-prigionieri russi dei tedeschi colpevoli d’aver trasgredito l’ordine di ”vincere o morire!

[2] Tedone G., “Angerà”, Milano, Giordano, 1964 (1a ed.1915).

[3] Pontano G., Ventitré anni di vita africana”, Torino, SATET, 1943

[4] Frisina F., “L’Italia in Abissinia e nel Sudan”, Alessandria D’Egitto, Imprimérie Nouvelle, 1919)

[5] D’Amato N., “Da Adua a Addis Abeba. Ricordi di un prigioniero”, Salerno, Volpe, 1896

[6] Frisina F., “L’Italia in Abissinia e nel Sudan”, Alessandria D’Egitto, Imprimérie Nouvelle, 1919)

[7] Gamerra G., Fra gli ascari d’Italia”, Bologna, Zanichelli, 1899

[8] Goj L.,”Adua e prigionia fra i Galla”, Milano, Scuola tip. Salesiana, Milano, 1901

[9] Pontano G., Ventitré anni di vita africana”, Torino, SATET, 1943

[10] Tedone G., “Angerà”, Milano, Giordano, 1964 (1a ed.1915).