LA BANDIERA DELLA REGIA TORPEDINIERA “CALATAFIMI” SVENTOLA SULLO STAMMLAG XI B-FALLINBOSTEL

  

da “IL NASTRO AZZURRO” n° 2-2700

Alla fine del mese di marzo 1945, per un accordo Hitler-Mussolini, gli Ufficiali italiani internati in Germania, in violazione della convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, dovevano essere destinati al lavoro. I mille “Kriegsgefangenen”, irriducibili, detenuti nel campo di Fallingbostel, si rifiutarono in massa. Tutti sostennero il più deciso dissenso manifestato dal ten.col. Guzzinati, l’anziano del campo, in una lettera inviata al comandante tedesco. In conseguenza di tale atteggiamento dovevano essere trasferiti: destinazione ignota ma senz’altro punitiva. Dopo la liberazione si seppe trattarsi del campo di sterminio di Bukenwalde. L’ordine di movimento arrivò il 4 aprile con esecuzione prevista entro pochi giorni.

Intanto il conflitto si avviava alla sua conclusione: da est l’Armata Rossa, e, da ovest le armate anglo-americane penetravano sempre più profondamente nella Germania, costringendo le forze tedesche, ormai decisamente logorate, a continui ripiegamenti.

Da un certo giorno si cominciò a sentire dal campo, dapprima verso occidente poi a giro d’orizzonte, il rombo del cannone; di notte all’orizzonte si vedevano le vampe del fuoco di artiglieria. I combattimenti si facevano sempre più vicini: gli Alleati stavano chiudendo in una sacca una Grande Unità germanica e, con questa, il campo, impedendo per fortuna il trasferimento degli ufficiali italiani a Bukenwalde.

Intanto, anche se la fame era sempre tanta, i tedeschi cominciarono a mollare ed a limitare le restrizioni, per la verità già meno disumane che negli altri campi; addirittura la sorveglianza divenne mista, le sentinelle tedesche erano affiancate da ufficiali italiani. Ciò fino a tutto il 15 aprile.

La libertà arrivò alle prime ore del 16 aprile, con i carri armati della 15^ Divisione corazzata scozzese: gli scozzesi sostituirono sulle torrette le sentinelle tedesche che, a loro onore, erano rimaste in posto fino all’ultimo.

Attorno al campo si combatteva ancora che già in vari blocchi del campo venivano issate le bandiere delle rispettive nazioni. Toccava a noi! Sul piazzale del blocco italiano risuonò un: “signori Ufficiali, attenti! – Bandiera!” All’ordine impartito dall’anziano del campo, il ten.col. Guzzinati, un brivido percorse come una scossa elettrica i mille ufficiali schierati in quadrato. Avevano sopportato per fedeltà al Re ed alla Patria diciannove mesi di dura prigionia, “ospiti” del III Reich.

Pallidi ed emaciati nelle loro sdrucite uniformi – alcune anche di eserciti stranieri, ma con gradi, mostrine e decorazioni italiani; calzati in tutti i modi possibili, compresi zoccoli olandesi di legno – rigidi sull’attenti, negli occhi di più di uno brillava una lacrima di commozione, mentre fissava quel drappo tricolore che lentamente veniva alzato sulla sua asta – un alto tronco di pino – e finalmente sventolava nel cielo della Germania del nord, insolitamente azzurro. Fine di un incubo.

Il tenente di vascello M.O. Brignole, ai piedi dell’asta, era il più emozionato e commosso di tutti: la Bandiera era quella della sua nave, la Regia Torpediniera “Calatafimi” che anni prima aveva affrontato la squadra francese, dopo il bombardamento di Genova.

Sapevamo che nel campo si trovavano nascoste alcune Bandiere di reggimento, salvate con mille astuzie e tanto coraggio durante i trasferimenti da un campo all’altro e nelle frequenti perquisizioni. Si trattava, peraltro, di drappi di dimensioni relativamente ridotte. Ben diverso nascondere la Bandiera di una nave da guerra, sia pure di una torpediniera: il segreto era stato ben tenuto, pochissimi infatti ne erano a conoscenza.

Sono passati cinquantanove anni, ma io quel Tricolore lo vedo ancora sventolare nel cielo azzurro sovrastando, e di molto, le Bandiere delle altre nazioni.

Vittorio Monastra

(ex Kriegstgefangene 8831, Socio della Federazione di Roma)

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