INTERVISTA AL COMANDANTE GIORGIO ZANARDI

  

Da “IL NASTRO AZZURRO” N° 5-2009

Il Presidente Nazionale dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valor Militare, Comandante Giorgio Zanardi, ha reso noto che, al prossimo Congresso Nazionale dell’Istituto, che si terrà a Bologna dal 16 al 18 ottobre 2009, non si ricandiderà per un altro triennio di presidenza. Chiunque abbia conosciuto da vicino il Comandante Zanardi non può non rammaricarsi di questa sua decisione, in quanto egli, nei tre anni di presidenza trascorsi, ha saputo risollevare le sorti e il prestigio dell’Istituto in modo più che adeguato al momento storico che stiamo vivendo, è stato in grado di allargare la base di cooptazione nell’Istituto dando attuazione pratica all’istituzione della nuova categoria di soci: i “simpatizzanti”, cioè coloro che sono ammessi al Nastro Azzurro anche se non sono Decorati al Valor Militare, né hanno un Decorato al Valor Militare nell’albero genealogico, ma condividono gli ideali e i valori di riferimento dell’Istituto: Amor di Patria, senso dell’Onore Militare, capacità di anteporre il bene comune al bene personale, ecc… Tanta energia, tanto carisma e tanta capacità sono tipiche di un grande leader. Si rimane piacevolmente stupiti quando osserviamo le suddette doti in un uomo che, dall’alto dei suoi novantasette anni, mantiene una lucidità mentale, una capacità di giudizio ed una forza decisionale molto rare nella maggioranza degli uomini, indipendentemente dall’età anagrafica.

Per approfondire la conoscenza del nostro Presidente Nazionale, “Il Nastro Azzurro” lo ha intervistato a casa sua, nella sua Ferrara, città dove egli è un autentico personaggio, amato dalla gente e stimato dalle autorità locali al punto che. pochi mesi fa, è stato ancora una volta insignito di una onorificenza cittadina: una targa ricordo con la quale la città di Ferrara lo ringrazia per il lustro che egli, col suo integerrimo comportamento, ha donato alla città stessa. Inoltre, giorni fa, la città di Comacchio lo ha insignito dell’onorificenza del “Fiocinino d’Oro” come “grande amico dei marinai della località”. Si tratta di un riconoscimento di altissimo valore che Comacchio diede anche a S.Giovanni Paolo II quando effettuò la sua visita pastorale alla città.

Comandante Zanardi, cosa è significato essere in Marina per Lei?

Sicuramente un senso di appartenenza. Sentirsi parte di una grande famiglia, ma anche di un gruppo privilegiato di uomini pronti a battersi per la Patria, uniti, indipendentemente dalla nazionalità, dal rispetto della stessa “legge del mare” essenzialmente fatta di solidarietà umana e forza messa a disposizione dell’umanità.

La mia entrata in Accademia Navale nel 1931, non fu trionfale: dovetti vincere la resistenza di mio padre, contrario al mondo militare, salvo poi, quando il duro impatto con la disciplina militare mi stava spingendo a lasciare la carriera appena intrapresa, apprendere da lui la più bella lezione di vita. “Cominciare con una sconfitta non è da uomo” mi disse. Così trovai la forza di resistere e coronai il mio sogno di diventare ufficiale di marina.

Quanto ha appena detto la ha aiutato nella difficile esperienza della guerra?

Penso di si. Fin da quando sono diventato ufficiale di Marina. Come tutti i giovani, ero ambizioso e speravo di poter compiere un’azione patriottica che mi permettesse di essere decorato al Valor Militare. Durante la battaglia di Capo Matapan (29 marzo 1941), la mia nave, il Vittorio Veneto, venne colpita da un siluro lanciato da un aerosilurante inglese. Ero il Direttore del Tiro del medio calibro di sinistra e riuscii ad abbattere il velivolo che aveva sganciato il siluro, che colpì comunque la mia nave danneggiandola gravemente. Quindi mi opposi alla proposta di conferirmi una decorazione al Valor Militare perché il danno subito dalla mia nave superava di gran lunga quello da me inferto al nemico per l’abbattimento dell’aerosilurante. Durante il periodo di riparazioni della nave in cantiere, fui imbarcato sul caccia Dubrovnik. Al mio primo approccio con quella nave ebbi l’Encomio Solenne. Infatti, a seguito di un attentato dei partigiani iugoslavi, si era sparsa la voce che anche essa fosse stata sabotata e che, appena inserita la “forza motrice”, sarebbe saltata in aria. Mi offrii volontario per effettuare l’operazione da solo. Una volta a bordo, inserii la “forza motrice” e constatai che non accadeva niente se non che, ridata vita all’impianto elettrico, la nave era di nuovo utilizzabile. Poi con la Duilio partecipai alla seconda battaglia della Sirte. Sporadicamente tornai a prestare servizio sul Veneto, ma per tutto il 1942 fui imbarcato sul Caccia Torpediniere Maestrale, prevalentemente impiegato come scorta ai convogli che dovevano rifornire la “quarta sponda”. Quelle missioni si svolgevano lungo le cosiddette “rotte della morte” e infatti, a fine 1942, l’unico caccia della mia Squadriglia rimasto era proprio il Maestrale; le altre unità erano tutte andate perdute o gravemente danneggiate con morti e feriti tra gli equipaggi. Durante una mia breve licenza natalizia anche il Maestrale salto in aria sulle mine a largo di Biserta. Il mio nuovo imbarco fu una nave ex francese presa dall’Italia come preda bellica: il caccia Tigre, poi battezzata FR/23. Il vascello dovette essere portato da Tolone a Taranto per alcune riparazioni. Lasciata la nave a Taranto ai primi di settembre del 1943, fui assegnato al Caccia Torpediniere Corsaro, in fase di riarmo nel porto di Livorno, e lì mi sorprese l’armistizio.

E poi?

E poi venne la parte più dolorosa e difficile. Il proclama di Badoglio per la maggioranza dei militari italiani assunse il significato equivoco che la guerra fosse di fatto terminata. Non era vero, ma quando ci si rese conto di ciò, ormai le nostre Forze Armate, rimaste senza ordini precisi in un momento cruciale, erano allo sbando. Solo la fedeltà al giuramento prestato nei confronti della Corona fece in modo che la maggioranza dei nostri militari si ricompattassero al sud. Ripeto, fu un’azione compiuta da una moltitudine di singoli, lasciati soli di fronte alla propria coscienza. Per quanto mi riguarda, il mio riferimento era appunto il giuramento prestato al Re. I tedeschi reagirono subito con determinazione: fui fatto oggetto di violenza fisica e arrestato sulla banchina alla quale era ormeggiato il Corsaro ancora disarmato. All’alba del giorno 9 ero agli arresti alla Fortezza Vecchia di Livorno guardata all’esterno dai tedeschi e all’interno dagli italiani. Nel pomeriggio sono evaso calandomi con una fune fino alla superficie dell’acqua che circonda la fortezza e allontanandomi con una barchetta.

Il comportamento dei tedeschi mi ha convinto ad agire senza attendere più quegli ordini che, comunque, non sarebbero arrivati e, come disse Badoglio, a reagire militarmente di fronte ad azioni da qualunque parte venissero “prima attaccando dove potevo i tedeschi e contrastando quei colleghi e quei borghesi che si lasciavano incantare dalla storia dell’onore verso i tedeschi poi cercando di coinvolgere nella mia direzione quelli che, incerti, non facevano nulla”. Resi pan per focaccia arrestando alcuni militari tedeschi, ma li consegnai a chi li rimise in libertà quasi subito. Per circa sei mesi cercai di svolgere comunque un’azione consona alla situazione, alla preparazione militare ed ai sentimenti di fedeltà al giuramento prestato al Re, cercando di coordinarmi con tanti altri che intendevano porsi come me contro i tedeschi. Mi convinsi presto che tali atti potevano provocare azioni di rappresaglia contro italiani innocenti, quindi ritenni che l’unica cosa fattibile fosse passare le linee per contattare le autorità del sud. Proprio in quel periodo venni aggredito da un gruppo di fascisti che mi ridussero in gravi condizioni fisiche per cui fui ricoverato, con una commozione cerebrale, per oltre un mese all’ospedale di Ferrara.

Alla fine di agosto 1944, ancora in convalescenza, finalmente riuscii a passare le linee e raggiunsi Roma, liberata solo due mesi prima. Per il tramite del generale Morigi, comandante della Nembo, potei fornire alla Marina tutte le informazioni militari, politiche e sul morale del personale che avevo relative al nord. Ebbi anche un colloquio col Principe Umberto di Savoia al quale, tengo a precisare su sua richiesta, spiegai che la Monarchia doveva riscattare l’abbandono dell’8 settembre e soprattutto l’ambiguità del proclama Badoglio, che aveva provocato lo sfacelo italiano e la violenta reazione tedesca. Lui mi rispose che ne era consapevole, ma i suoi tentativi di essere autorizzato a combattere in prima linea al comando del CLN erano regolarmente frustrati dagli inglesi.

Malgrado io abbia svolto i cinque anni di guerra sempre imbarcato, la Medaglia d’Argento al Valor Militare è arrivata solo dopo l’8 settembre, quando non combattevo più sul mare ma a terra. Il SIS della Marina, nell’intento di saggiare le possibilità di collaborazione della Marina di Salo al fine di limitare i sabotaggi da parte dei tedeschi prima del crollo del fronte e di evitare l’invasione russa della zona di Trieste, decise una nuova missione per me. Poiché gli alleati non volevano iniziative da parte nostra, non ne furono messi a conoscenza. Mi sarei dovuto recare di nuovo al nord per contattare a tale scopo chi avessi ritenuto opportuno tra i comandanti della Marina Repubblicana. Grazie ad appoggi che avevo presso la repubblica di San Marino, ebbi una buona copertura con cui potei raggiungere Milano e da lì Vicenza dove incontrai l’Ammiraglio Sparzani, che era stato mio Comandante sul Vittorio Veneto e che era divenuto nel frattempo Capo di Stato Maggiore della Marina del nord. Incontrai anche il Comandante Junio Valerio Borghese, che non conoscevo. A parte i rischi corsi, i messaggi che portai all’ammiraglio Sparzani e al comandante Borghese furono creduti. Il rientro fu più difficile. Venni catturato dai tedeschi due volte e riuscii a sottrarmi alla prigionia in entrambi i casi in modo rocambolesco. Raggiunsi le linee amiche via mare con un semplice pattino preso a Cesenatico. Giunto a Rimini, in territorio controllato dalle forze amiche, venni in contatto con gli inglesi della 5^ Armata. Dopo cinque giorni, fui portato a Roma sotto scorta e trattenuto in una vera e propria prigionia a Cinecittà per un mese, tempo impiegato dagli alleati per chiarire con le autorità italiane la mia missione. Quando è stata proclamata la Repubblica, liberato dal giuramento prestato al Re, ho dato le dimissioni dalla Marina, mi sono dedicato alla vita civile e mi sono iscritto quasi subito all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia.

Quando è entrato ufficialmente a far parte dell’Istituto del Nastro Azzurro?

Appena dopo la proclamazione della Repubblica. Ero stato decorato al Valor Militare, non avevo più alcuna ambizione per azioni belliche, e mia moglie mi ricordò che quando ci sposammo lei condivideva con me il sogno di “girare il mondo”; adesso il suo sogno erano “i suoi armadi”, cioè voleva un po’ di stabilità… e la volevo anch’io. Venimmo a vivere a Ferrara e entrai nella Federazione Provinciale dell’Istituto del Nastro Azzurro della città. Al Congresso Nazionale tenutosi a Modena nel 1991 sono stato eletto Consigliere Nazionale, poi ho avuto altri incarichi. Molto importante per me è stato il Congresso del 1997, svoltosi a Ferrara, la mia città. Al Congresso di Torino (2005) sono stato nominato Presidente del Congresso, incarico prestigioso che generalmente apre la strada ad incarichi di rilevanza nazionale, e infatti, dato l’impegno che ho profuso nell’espletarlo, sono stato eletto Vicepresidente Nazionale.

E poi, al successivo Congresso di Brescia, è stato eletto Presidente Nazionale. Come ha vissuto tale nomina?

 Eh… con grande soddisfazione, soprattutto perché sono stato eletto all’unanimità, ma con un pizzico di ansia per le tante responsabilità che mi trovavo a dover gestire.

Ecco. Parliamo ora di questo periodo vissuto da Presidente Nazionale. Quali sono stati gli obiettivi, quali i risultati, quale l’impegno?

Il primo obiettivo è stato quello di aprire la via affinché il Gruppo delle Medaglie d’Oro si unificasse con gli altri gruppi di Decorati che fanno parte dell’Istituto del Nastro Azzurro. Non ho mai compreso la necessità per cui dovessero esistere dei Gruppi separati o che si costituissero in ambito associativo delle “graduatorie del valore”. Anche perché è noto che la concessione di una Decorazione al Valor Militare non tiene conto solo del fatto d’arme in sé, ma viene data anche, e giustamente, in base alla responsabilità militare del destinatario, responsabilità generalmente tanto più grande quanto più elevato è il suo grado militare. Ragione in più per non rigraduare, anche a livello di associazione, il Valor Militare e comprenderlo, semmai, totalmente nell’Istituto del Nastro Azzurro, appunto, fra Combattenti Decorati al Valor Militare senza alcuna distinzione; le distinzioni sono già state fatte al momento della Decorazione. Non ritengo necessario né utile continuare a farle, disperdendo un patrimonio essenziale per la Nazione in più rivoli che non riusciranno più, tra breve, a far sentire, non dico la propria voce, ma neppure l’afflato della propria esistenza.

Quando ho iniziato il mio mandato, ho avuto modo di notare che gli iscritti, e anche altre persone che conoscono e stimano l’Istituto del Nastro Azzurro, hanno sovente espresso richieste tese a conoscere o approfondire la conoscenza di persone Decorate, delle motivazioni in base alle quali hanno avuto la Decorazione, dei fatti d’Arme a cui si riferiscono le Decorazioni, eccetera. Tutte queste richieste pervenivano e pervengono tutt’ora alla Presidenza Nazionale, da tutti considerata depositaria delle notizie ufficiali in merito. Ebbene, non è così: la stessa Presidenza Nazionale dell’Istituto del Nastro Azzurro deve girare la richiesta di informazioni alla Presidenza della Federazione di Torino che ha accesso, solo un giorno alla settimana ed in orario notevolmente ristretto, al cosiddetto “Archivio Sabaudo”. Ritengo che, indipendentemente dalle ragioni storiche per le quali l’Archivio Sabaudo sia rimasto a Torino, oggi l’Istituto del Nastro Azzurro ha la Presidenza Nazionale a Roma e da Roma deve poter dare tutte le informazioni di competenza, con tempestività e precisione, a chiunque ne faccia richiesta, senza dover essa stessa sottostare a limiti di carattere temporale e localistico che generano solo ritardi di cui, agli occhi dei richiedenti, appare comunque responsabile. Questo è il secondo obiettivo che mi sono posto ed è in corso di soluzione.

Infine, un obiettivo che ritengo di assoluta priorità è stato quello di allargare la base sociale. La dura legge dell’anagrafe porterà inevitabilmente, entro pochi anni, alla scomparsa della maggior parte dei Decorati al Valor Militare. Anche se i figli dei decorati saranno sempre ammessi come soci aderenti, non si può pretendere che la totalità di questi intendano far parte dell’Istituto. La decisione di ammettere anche la nuova categoria dei soci simpatizzanti ha prodotto un primo effetto positivo, inserendo nell’Istituto nuova linfa portata da chi condivide convintamene gli ideali di Amor di Patria e Valor Militare, anche se, per la fortunata circostanza che dal 1945 l’Europa non conosce più guerre, non ha avuto modo di verificare la messa in pratica di tali ideali. Si tratta però di una categoria di soci che non hanno ancora tutte le prerogative dei soci aderenti. Occorre superare anche quest’ultimo ostacolo affinché l’Istituto possa assicurarsi definitivamente il futuro a similitudine di quanto hanno fatto altre grandi associazioni combattentistiche e particolarmente l’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, che ha dato vita a una Fondazione, nonché l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia che ha già deliberato di fare cose analoghe.

Personalmente, come ha vissuto questo triennio?

Ho avuto molte soddisfazioni. Ho visto di nuovo brillare di luce propria l’Istituto del Nastro Azzurro com’era in passato, mi è parso di vederlo ancora crescere. Molte persone fanno testimonianza che esso ben rappresenta gli ideali fondamentali alla base dell’unità nazionale. Ho visto il periodico nazionale migliorare e divenire più attraente e apprezzato…

Grazie…

Ho, mi sembra il termine giusto, “imposto” che anche le Federazioni più tradizionaliste cominciassero ad ammettere i “soci simpatizzanti”, i soli che permetteranno al Nastro Azzurro di non finire con la fine degli ultimi pochi Decorati al Valor Militare viventi ai quali, in quest’epoca fortunata perché senza guerre, non se ne affiancheranno più di nuovi. Abbiamo già 2300 simpatizzanti e ogni giorno la loro schiera aumenta. Aggiungendovi i “Donatori di sangue”, i “Rifugiati Giuliano Dalmati”, i “Campioni Olimpionici” abbiamo già altre tre categorie di futuri soci del Nastro Azzurro che, rappresentando altrettanti aspetti del “Valore” inteso in senso lato, creeranno un rinnovamento dell’Istituto nella sua tradizionale vocazione di preservazione degli ideali di Valore nel senso più ampio del termine.

Un’altra grande soddisfazione, forse la più bella, è stata costituita dal rapporto con i giovani. Gli incontri nelle scuole attraverso i quali ho potuto contattare moltissimi giovani studenti mi hanno fatto rendere conto di quanto essi fossero estremamente sensibili al Valor Militare ed ai tanti valori etici che esso sottende.

Ma allora, dopo un triennio così denso di soddisfazioni e così importante sul piano associativo e anche, perché no, personale, perché lei ha reso noto di voler lasciare l’incarico senza candidarsi a un secondo mandato da Presidente Nazionale?

La ragione è essenzialmente per senso di responsabilità; è bruciante il ricordo di ciò che è accaduto quando il mio predecessore ha perso la sua lucidità e tutti noi che collaboravamo con lui subivamo con dolore e disappunto le sue difficoltà. Io non voglio arrivare a lasciare all’Istituto del Nastro Azzurro un ricordo analogo a ciò che ho vissuto con dolore per più di un anno come vicepresidente. Ho l’impressione che, giorno per giorno, stia lentamente perdendo la memoria e mi rendo conto che ciò potrebbe essere un problema serio per l’Istituto del Nastro Azzurro, se io volessi continuare a rappresentarlo ancora. Non voglio che l’Istituto del Nastro Azzurro abbia problemi di questo genere in futuro e quindi mi ritiro mentre sono ancora in grado di farlo con la piena consapevolezza delle mie azioni.

Sarà comunque una perdita per l’Istituto. Ampliando ancora la visuale, come vede il futuro del Nastro Azzurro?

Occorrerà perseverare sui tre obiettivi che mi ero posto, oltre a fissarne altri. L’unione del Gruppo Medaglie d’Oro con l’Istituto del Nastro Azzurro non ha avuto luogo. È uno degli obiettivi che non mi è riuscito di realizzare, perché l’attuale Presidente del Gruppo delle Medaglie d’Oro non intende attuare ora l’unione con l’Istituto del Nastro Azzurro, ma non è detto che non Io possa ottenere chi mi succederà. Al di là delle attività pratiche e degli obiettivi che occupano un determinato periodo, penso ad una visione generale in cui l’Istituto del Nastro Azzurro deve essere riconosciuto istituzionalmente come depositario della giusta interpretazione di tutto quanto attiene all’Amor di Patria; nei fatti, nelle azioni e nelle attività. In pratica, il Nastro Azzurro dovrà essere di nuovo, come lo è stato in passato, il punto di riferimento nazionale in materia.

Comandante Zanardi, “Il Nastro Azzurro” la ringrazia per l’intervista concessa nel corso della quale abbiamo potuto approfondire gran parte delle più intime motivazioni che la hanno sostenuto nel triennio della sua presidenza dell’Istituto. La redazione, certa di interpretare il sentimento comune a tutti i soci del nostro Istituto, aggiunge anche un sentito ringraziamento per la proficua azione da lei svolta a favore dell’Istituto in questi tre anni di presidenza, con la speranza che, anche non più presidente, continui ancora a fornire il suo insostituibile contributo.

gen. Antonio Daniele (Direttore Responsabile de ”Il Nastro Azzurro”)

Medaglia d’Argento al Valor Militare

Ufficiale offertosi volontariamente per eseguire una importante missione in territorio controllato dal nemico, conduceva brillantemente a termine l’impresa affidatagli, superando con i suoi soli mezzi gravissimi disagi, rischi, difficoltà e dimostrando sprezzo del pericolo, tenacia, sangue freddo, spirito di iniziativa e sentimento del dovere. Magnifico esempio di alte virtù militari” Italia settentrionale, settembre-ottobre 1844

Giorgio Zanardi nasce nel settembre 1913 da una famiglia borghese e vive la prima infanzia tra la natia Ferrara, la vicina Bologna e la villeggiatura al mare a Cesenatico. Come molti bambini, compie diverse birichinate, sopportate e talvolta incoraggiate dai numerosi zii. Tra di essi, autentiche autorità, soprattutto da parte di madre, rampolla della famiglia Mayr che vantava tra gli antenati l’avvocato Francesco Mayr, uno dei fondatori della Cassa di Risparmio di Ferrara e deputato al primo parlamento del Regno d’Italia.

Il padre, senza tenere conto delle inclinazioni di Giorgio, lo avvia all’istituto tecnico per ragionieri. Zanardi è già diplomato ragioniere ed ha anche vinto una borsa di studio, quando l’Accademia Navale apre il concorso per la prima volta anche ai ragionieri, ai quali a quell’epoca era precluso l’accesso all’università. Zanardi riesce a vincere l’avversità del padre per il mondo militare e, nel 1931, entra 22° su 68 a Livorno e ne esce, al termine del corso, 3° in graduatoria. Il veliero “Amerigo Vespucci” e, come per tutti gli allievi ufficiali do Marina, la sua prima nave.

A settembre 1934 il suo primo imbarco su una nave da guerra, l’incrociatore “Da Barbiano”, sulla quale riceve la sospirata nomina a guardiamarina. Poi altri imbarchi, sui MAS in Sicilia nel 1935 e ’36. Torna di nuovo in Accademia come sottordine al Corso “Rostri” e, in quel periodo, conosce Zika Lang, una studentessa molto riservata che sposerà nel 1938 ed è tuttora la sua amata consorte dopo tre figli e oltre 70 anni di vita insieme. Fino al 1940 alterna all’attività in Accademia quella a bordo per la specializzazione come Direttore di Tiro. Si laurea a giugno 1938 in Scienze diplomatiche e Consolari a Venezia.

Completato il corso di specializzazione è di nuovo a bordo di navi di prima linea: l’incrociatore “Montecuccoli”, poi la “Vittorio Veneto”, quindi sul caccia “Dubrovnik”. Zanardi partecipa alla seconda battaglia della Sirte a bordo del “Duilio” e, dal natale ’41 al febbraio ’42, è Capo Servizio Armi sul “Maestrale” col quale effettua pericolose scorte ai convogli che rifornivano il fronte nord africano. Poi prende in carico la FR/23, sigla che indica la nave “Tigre” preda bellica semi affondata dai francesi. Le riparazioni sono molto lunghe e Zanardi può lasciare La Spezia, al comando dell’unità solo nell’estate del 1943, passando lo stretto di Messina il 30 agosto con la Sicilia e la Calabria già occupate dagli alleati. Lasciata la FR/23 a Taranto, Zanardi è inviato a Livorno per seguire l’allestimento del “Corsaro”, la sua nuova nave, e lì viene sorpreso dall’8 settembre.

Come la maggioranza dei militari italiani, è lasciato solo e senza ordini. Dopo alcune vicissitudini con gli ex alleati tedeschi, ora occupanti, e un periodo di ricovero ospedaliero conseguente ad uno scontro con un gruppo di fascisti, riesce rocambolescamente a raggiungere la capitale dove gli viene affidata una nuova missione: deve passare di nuovo le linee e contattare i vertici della marina della RSI per concordare le modalità per minimizzare i danni che sicuramente i tedeschi avrebbero fatto all’atto della loro inevitabile ritirata. La missione, rischiosissima, è un successo. Al rientro, raggiunge fortunosamente le linee amiche a bordo di un pattino, ma a Rimini viene a contatto con gli Inglesi che, ignari della sua missione, lo trattengono in una vera e propria prigionia per oltre un mese. Per l’audacia e la determinazione dimostrate nella missione, Zanardi vien decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Terminata la guerra, il referendum istituzionale fa prevalere la Repubblica. Il Re Umberto II scioglie i militari dal loro giuramento di fedeltà alla Corona e Zanardi, convinto monarchico, lascia il servizio militare e intraprende una nuova attività nel settore assicurativo e finanziario. Inizia rilevando insieme al fratello, alcuni famigliari e altri azionisti, la “Compagnia dell’Agricoltura”, ne diviene Amministratore Delegato e la rilancia. Le “Assicurazioni Generali” acquistano la compagnia e Zanardi entra nel Consiglio di Amministrazione della società fino al 1954 quando è inviato in Brasile come Direttore Generale. Nel 1858 rientra in Italia, a Trieste, come Direttore del ramo trasporti mondiale. Nel ’62 muore il fratello Vittore, titolare con il figlio Enzo della “Compagnia Navale” di Ferrara, sempre del gruppo “Generali”. Zanardi rileva la quota del fratello. Nel 1972, la società vende la “Navale” all’UNIPOL all’insaputa di Zanardi, che si licenzia e fonda una nuova azienda, la £Gru assicurazioni”, sempre nel settore trasporti navali.

Sul piano personale Zanardi, dopo il congedo, entra subito nell’Associazione Marinai d’Italia, in cui è Consigliere Nazionale per dieci anni, e nell’Istituto del Nastro Azzurro del quale, dopo numerosi ed importanti incarichi, è il Presidente Nazionale da tre anni.