Sergio Sabetta. I Gruppo Artiglieria Pesante “Adige” Brigata Missili Acquileia.

  

I Gruppo Artiglieria Pesante  “Adige”– III Brigata Missili Aquileia”

Esercitazioni NATO – 1980

Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio Benedetto sabetta

 

Nell’ottica della strategia difensiva di contenimento impostata dagli Stati Uniti al volgere degli anni Quaranta nei confronti dell’espansionismo sovietico, venne ideata la strategia della “risposta massiccia” basata sull’uso strategico dell’arma nucleare.

Ma negli anni ’60 gli USA persero progressivamente la loro superiorità balistica e nucleare, finché nel dicembre 1967 si mutò strategia introducendo la “risposta flessibile” che permetteva una progressiva escalation nella quale potevano inserirsi trattative politico-diplomatiche, oltreché la scelta dei bersagli con l’introduzione delle armi nucleari tattiche.

Viene in tal modo superata l’automaticità delle decisioni, ma quello che innanzitutto necessita è la possibilità di evitare la sorpresa di invasioni improvvise, uno degli elementi fondamentali nella strategia sovietica.

Si crea quale deterrente l’equilibrio del terrore, dove non è più necessaria la superiorità strategica, essendo comunque assicurata in una progressione a salti quale ultima istanza, la reciproca distruzione.

La NATO a seguito della verifica e riscontro del 1979 sull’impostazione strategica relativa alla “risposta flessibile”, elabora nel 1980 la dottrina della “strategia compensativa”, dando maggiore forza dissuasiva alla “strategia flessibile” mediante un accresciuto ruolo di superpotenza agli Stati Uniti, circostanza che accresce la coesione della stessa NATO, fino all’implodere dell’Unione sovietica, a fine decennio.

L’equilibrio del terrore è, comunque, di per sé instabile, sempre possibile di superamento per fattori tecnologici o ambientali, inoltre si basa sia su una miscela di capacità politico-diplomatiche e di sostegno sociale che di integrazione con le forze armate convenzionali.

In quest’ottica nel 1975, nell’ambito della III Brigata Missili “Aquileia”, fu fondato il I° gruppo Artiglieria Pesante “Adige” con sede ad Elvas (Bressanone). Artiglieria con capacità di fuoco bivalente; nei pressi a Naz-Sciaves vi era il Site Rigel per stoccaggio di armamento nucleare, controllato congiuntamente dall’Esercito italiano, 4° Compagnia Fucilieri di sicurezza, e dalla US Army (1967-1983).

 

Il I° Gruppo Artiglieria operò dal 1975 al 1983, quando a seguito di ristrutturazione per contenere i costi e per il superamento tecnologico, fu sciolto e la sua 8° Batteria fu aggregata al 9° Gruppo Artiglieria Pesante “Rovigo” con sede a Verona.

Il suo compito era di controllare la via di accesso alla pianura attraverso la Valle Pusteria, dalla Carnia e sull’alto corso del fiume Piave, per il varco di Prato sulla Drova-Versciaco, rientrante nella “soglia di Gorizia”, era dotato con obici da 203/25, detti “Cicciobelli”.

La III Brigata Missili “Aquileia”, con comando a Portogruaro, venne a sua volta sciolta nel novembre 1993, venendo meno la minaccia da Est del Patto di Varsavia.

L’obice da 203/25, prodotto in 1006 esemplari dal 1942 al 1945, fu adottato nel dopoguerra nell’arsenale NATO e rimase per tutti gli anni Settanta il pesante più diffuso, divenendo con il munizionamento a carica nucleare uno dei principali armamenti degli eserciti occidentali, fino a venire ritirato dal servizio nel 1985.

Ottimo per i tiri di controbatteria e di interdizione lontana, aveva una gittata massima sui 13.000 metri con tiro a I° e II° arco mediante l’utilizzo di 7 cariche di lancio.

La bocca da fuoco del peso di 4.645 Kg. era lunga 5,3 m. con otturatore a vitone e chiusura ermetica ad anello plastico, cadenza di tiro un colpo ogni 2 minuti, tiro rapido un colpo al minuto.

Possibilità in caso di necessità di uso anticarro ad alzo zero, carica settima, con rinculo massimo di 1,77 m., dotato per una giornata di fuoco fino a 120 colpi.

Il munizionamento era dato da granate convenzionali ad alto esplosivo M 106 del peso di 90,7 Kg. di cui 16,7 di TNT, le cariche nucleari introdotte a cavallo dagli anni ’50 – ’60 erano di tipo W-33 con potenza di 1 Kiloton, alla metà degli anni Settanta furono sostituite con cariche di tipo W-79, potenza variabile dai 0,8 agli 1,1 Kiloton, peso di 109,7 Kg:, di aspetto lucente dorato, veniva sparata con la terza carica e velocità iniziale di 547 m/s.

Il traino avveniva normalmente con trattori M-125 a tre assi di origine statunitense, ma potevano essere utilizzati anche i trattori italiani TP50 e TM69.

Le esercitazioni NATO per conseguire l’abilitazione a fuoco e come manovra, si svolsero nel 1980 rispettivamente nel mese di luglio e di novembre, nel mese di giugno avevamo provato a raggiungere il poligono di Monte Romano (VT), ma la colonna di autocarri mandata in avanscoperta ai fini preparatori, giunta a Verona era stata richiamata per problemi tecnici nel trasporto ferroviario dei pezzi.

Questa fu la versione ufficiale ma proprio in quei giorni a fine giugno 1980 vi era stato “l’affare di Ustica”, il Mediterraneo centrale era in quelle settimane una delle zone più calde del pianeta dove vi erano concentrate navi e aerei di tutte le nazionalità, sia della N.A.T.O. che della Russia (U.R.S.S.) e dei suoi alleati.

Si rischiò per alcuni giorni, come rivelato anni dopo, un conflitto armato e il rientro dei mezzi da Verona con il rinvio ai primi di luglio della partenza del I° Gr.A.Pe., rientra nel confronto e nello stato di pre-allarme che vi fu in quelle settimane di fine giugno sul “fronte orientale”.

Nei primi di luglio fu organizzata la tradotta, caricati a Bressanone gli obici e gli automezzi, impiegammo circa 24 h per compiere il tragitto tra Bressanone e la stazione di Tarquinia, da dove si procedette su strada fino a Monte Romano.

Il viaggio fu lento, ad ogni stazione principale si veniva parcheggiati per fare passare tutti i treni , compresi i locali, a Bologna nella notte con le luci dei riflettori sembrava di essere in una atmosfera bellica, d’altronde appena meno di un mese dopo, ad agosto, sarebbe avvenuta la strage della Stazione di Bologna.

Si montava di guardia, quali ufficiali, sui corridoi con turni di 2 ore e 4 di riposo, gli uomini dormivano arrangiandosi alla meglio e consumavano le razioni affidate alla partenza.

Arrivati al poligono gli uomini si distribuirono per reparti nelle baracche, accaddero anche alcuni fatti esilaranti, come quando un sottotenente vedendo una ampia stanza libera con bagno riservato vi si installò, ma dopo 1 ora fu allontanato frettolosamente con un cicchetto dall’aiutante maggiore avendo occupato la stanza del Colonnello Comandante, l’altro caso in cui stanco per la giornata un sottotenente al grido di “Arriba, arriba” si lanciò sul letto a pesce facendo crollare la rete e finendo sotto il comodino.

Dal poligono si sentivano volare le granate con il fischio di un aereo, mentre all’orizzonte si vedevano le esplosioni nel cielo delle spolette a tempo come se fossero innumerevoli soli.

Quale addetto al centro tiro della 8^ batteria mi era stato assegnato il compito del   controllo dati, dando l’ok, ricevute le coordinate dall’osservatorio, ai calcoli effettuati per il tiro, prima che venissero trasmessi ai quattro pezzi in batteria.

Il fuoco avveniva con l’uso della prima carica essendo il poligono piuttosto piccolo per la potenza dei pezzi, esso durò per due giorni e riguardò sia le granate convenzionali a percussione e tempo che, al termine del secondo giorno, il prototipo di una granata speciale, spolettata a tempo, che esplose con una palla di fuoco bellissima sullo sfondo azzurro del cielo.

Al termine dei due giorni il sottotenente anziano, addetto ai pezzi, con l’acqua sporca con cui veniva pulita la testata a fungo dell’otturato dell’obice, un’acqua grigia, con profondo odore sulfureo dato dalla cordite combusta delle cariche, ordinò di toglierci l’elmetto e in ginocchioni ci battezzò quali artiglieri che avevano superato il fuoco.

Le cariche di lancio, cordite, inutilizzate alla sera del secondo giorno furono accumulate e date fuoco, si levò una vampata altissima nel cielo a cui assistemmo in silenzio.

Al termine dei tiri vi fu un contrattempo, dato da un ordine di caricamento pezzo a cui non seguì l’ordine di fuoco da parte del centro di osservazione, la granata spolettata inserita era priva della sicura primaria, era quindi potenzialmente instabile non potendo sapere sul buon funzionamento della sicura a disco incorporata nella spoletta stessa.

Distanziati e messi al riparo, si assistette da parte di una squadra di uomini della sezione all’espulsione della granata dall’obice mediante l’asta del calcatoio, con sopra montato l’imbuto, che inserita dalla bocca del pezzo veniva percossa con una mazza fino a che la corona di forzamento della granata venne disimpegnata dalla rigatura e il proietto scivolò fuori dalla culatta, operazione estremamente rischiosa in presenza di un difetto della spoletta.

Successivamente le granate avanzate vennero riconsegnate alla polveriera, tuttavia il maresciallo addetto si accorse della rigatura sulla corona e non voleva ritirarla, in quanto compromessa per un futuro tiro, non essendo sicura balisticamente, alla fine si convinse.

In effetti durante l’esercitazione a fuoco vi fu un tiro in cui la granata uscì “sfarfallando”, come immediatamente rilevato dagli artiglieri più esperti.

Nel calcare la granata spingendola dalla cucchiara nella canna, i serventi al pezzo mancarono di una adeguata spinta, così che la corona di forzamento non impegnò adeguatamente la rigatura e i gas sviluppatisi al momento dell’accensione della carica in parte si dispersero, perdendo così parte della loro potenza di spinta, né la corona di centramento poteva sostituirla nella doppia funzione di sigillatura della camera di scoppio o detonazione e di capacità di imprimere la giusta rotazione al proietto.

La granata si librò nel cielo ondeggiando e non raggiunse esattamente l’obj, pur tuttavia fortunosamente vi andò vicino. Alcuni osservarono che altro pericolo poteva venire dallo sganciamento della corona dalla granata al momento dell’uscita dalla bocca da fuoco, la rotazione sarebbe diminuita e si sarebbe così creato un vortice di aria  irregolare dietro al fondello del proietto, destabilizzandolo.

Un ulteriore pericolo vi fu quando ad un tiro la catena incendiaria non funzionò al momento della percussione, vi fu un attimo di gelo, tutti tacquero, il fuochista ripreso il pistro tirò di nuovo, si sentì il colpo del martelletto ma non seguì alcuna esplosione.

Fu ordinato a tutti i serventi di allontanarsi dal pezzo ed aspettare, dopo un quarto d’ora non essendo avvenuta una esplosione ritardata, la culatta fu aperta dal capo pezzo e dal fuochista, il sacchetto era bruciacchiato di lato, messo male. Nonostante questi inconvenienti i due giorni di tiro erano andati bene, i bersagli centrati e neutralizzati, la Commissione NATO che aveva assistito ai tiri, aveva dato l’abilitazione, ci fu una bevuta all’osteria del paese tra gli ufficiali inferiori e mi presentai al Comandante di batteria per chiedere una licenza per esami universitari, da usufruire al ritorno in Caserma ad Elvas.

Nel novembre successivo, dall’1 al 4, si partì per il campo operativo NATO, la mia batteria fu destinata alle manovre sul Tagliamento attraverso la Valle Pusteria, il passo Mauri, Belluno e la Carnia.

Al momento della partenza ci fu dato dalla sussistenza un sacchetto con generi di conforto vari per una colazione abbondante, secondo lo stile nordico.

Attraverso Fortezza raggiungemmo la Valle Pusteria, fino a salire a Passo Mauri, ma durante il percorso iniziò progressivamente a nevicare sempre più abbondantemente finché dovemmo fermarci per mettere le catene, circostanza che non evitò il fuoristrada per molti automezzi leggeri, perdemmo in tal modo anche la cucina da campo con tutti gli alimenti restati sui camion che la seguivano.

Nonostante l’accaduto gli obici trainati dai trattori, con il relativo munizionamento, e seguiti dal carro comando di cui ero responsabile, raggiunsero la località assegnata alla batteria sul greto del fiume Tagliamento, coperto di neve e sotto una furiosa bufera.

Verso mezzanotte fu comunicato al Comando Brigata da parte del Tenente Renda, Vicecomandante di Batteria, la piena operatività della batteria, ma lungo il percorso erano rimasti molti uomini con i relativi mezzi che vennero il giorno dopo recuperati dagli alpini.

Mi ricordo che lungo la strada, nel passare per i paesi, si vedevano attraverso le finestre illuminate le famiglie riunite per la cena.

Dopo due giorni ricevemmo l’ordine di portarci in avanti, verso l’Isonzo, la cucina da campo non riuscì a diventare mai operativa, la fame cresceva e gli uomini finite le gallette si arrangiavano recuperando dai campi attorno le pannocchie di granoturco restate dopo la raccolta.

Queste venivano bollite nei gavettini o arrostite sui lumini o fornelletti da campo e distribuite, al terzo giorno il Tenente ordinò di raccogliere i soldi perché sarebbe andato in paese a comprare pane e salame, visto che nonostante tutto eravamo ancora in pace,  ma se fossimo stati in guerra disse, scherzando,  avrebbe proceduto a requisire i viveri.

Durante l’esercitazione ricevemmo l’ordine di mandare un pezzo in missione per il “fuoco speciale”, la Sezione incaricata ricevuta la granata spolettata dalla squadra americana che ci seguiva partì con i serventi per la missione, noi ricevute le coordinate dell’obiettivo (obj) calcolammo i dati di tiro e li comunicammo per radio.

Compito degli americani era di custodire e preparare la granata che ci veniva poi consegnata per la missione, un nostro plotone di fucilieri d’assalto ci proteggeva da eventuali imboscate, anche da parte di ribelli italiani che si prevedeva molto probabili.

Il freddo era intenso, ma mentre noi italiani si tendeva a dormire sui mezzi per ripararci, bevendo bustine di cordiale e tè caldo preparato con la neve sciolta, gli americani dormivano in sacchi a pelo sotto i mezzi, bevendo forti alcolici.

Al quarto giorno arrivò l’ordine del rientro, si caricarono i mezzi e al mattino si partì, lungo il tragitto, ad una sosta della colonna, su uno dei camion, gli artiglieri si accorsero che conteneva le provviste di pane, salumi, scatolette non distribuite durante i giorni dell’esercitazione, ci fu un accorrere e alcuni saltati sul mezzo lanciavano le provviste ai compagni che accorrevano, gli ufficiali fecero finta di non vedere e si allontanarono lasciando che gli uomini si satollassero.

Durante il tragitto del rientro la colonna passò verso l’una attraverso Montebelluna, ai piedi del Montello, dopo avere superato il Piave sul Ponte della Priula a Nervesa della Battaglia, i luoghi di Spresiano, Arcade, delle mie vacanze estive da bambino e nel  guardare il paesaggio mi ricordavo delle corse in bicicletta sugli argini ghiaiosi e dei richiami della mamma.

Giunti a Montebelluna fu un trionfo, i ragazzi uscivano dalle scuole e lungo il percorso ci salutavamo, con grida ed agitare di mani, applausi e le ragazze ci sorridevano e mandavano baci a cui noi rispondevamo dai mezzi in corsa, sembrava di essere alla liberazione e allora capii l’emozione che provarono i soldati al momento della loro entrata come liberatori nelle città,  tanto nel 1918 che nel 1944/45.

L’esercitazione, sebbene operativamente valida nella presa di posizione e nel perseguire gli obiettivi, tanto che diede l’abilitazione NATO al reparto, manifestò alcune carenze nell’organizzazione di supporto così che al rientro vi furono dei “processi militari” con conseguenti consegne ad alcuni dei Sottotenenti, mi fu chiesto di fare da avvocato difensore essendo studente in legge con delle brevi arringhe che improvvisai sul momento, essendo arrivato mezz’ora prima del processo, con risultati modesti.

Molto tempo dopo si seppe che l’esercitazione NATO del novembre 1980 aveva creato nel Patto di Varsavia un notevole stato di allarme, tanto che erano stati messi in pre-allarme i reparti missilistici  nucleari e consegnati in caserma i reparti convenzionali finché, si disse, una spia dell’Est da Bruxelles non mandò conferma dell’attività puramente esercitativa dell’operazione NATO, senza intenzioni aggressive o di particolare pressione mirata.

Dobbiamo infatti considerare che proprio in quell’anno vi erano stati scioperi in Polonia in particolare nei cantieri navali di Danzica, inoltre si cominciava a sentire l’effetto sempre sulla Polonia dell’elezione a pontefice di Giovanni Paolo II, con la conseguenza di un colpo di stato militare interno alla Nazione per evitare l’intervento diretto dell’Armata Rossa e dei suoi alleati, in particolare dei tedeschi della DDR, sarebbe stata infatti la terza volta nella storia moderna della Polonia di una invasione da Ovest. A questo si deve aggiungere le tensioni internazionali create dall’invasione nel 1979 dell’Afganistan da parte dei sovietici.

Quindi è ben evidente il possibile equivoco ad Est in cui caddero i vertici militari e politici, di fronte ad un ammassamento NATO sulle frontiere da Capo Nord in Norvegia, al Mar Nero in Turchia per un totale di quasi 12.000 KM di frontiere.

Infine, sull’ipotesi della distruzione di Gorizia da parte nostra per fermare l’Armata rossa e in particolare gli Ungheresi, loro alleati, è bene ricordare che “nella riunione segreta tenuta la sera del 3/4/1949 alla Casa Bianca con i Ministri degli Esteri dei paesi che il giorno dopo avrebbero firmato il Patto Atlantico, Truman lasciò cadere un caveat sulla necessità di doverla (la bomba atomica) eventualmente usare contro i nostri alleati dell’Europa occidentale quando fossero occupati (Limes, l’Europa senza l’Europa, n. 4/1993, P. 113 e Il vincolo interno, 4/2020, P. 30).

 

FONTI

  • Stefani, “Dalla Guerra di Liberazione all’Arma Atomica Tattica”, Vol. III- Tomo I°, in La Storia della Dottrina degli Ordinamenti dell’Esercito Italiano”, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 2000 – 2004
  • Cappellano – E. Mosolo, Le artiglierie a traino meccanico dell’Esercito italiano 1945 – 2018, P. 94, Storia Militare (Dossier) n. 40 – 11/2018.

( contatti ed informazioni: quaderni.cesvam@istitutonastroazzurro.org)