Mario Pietrangeli. Le Ferrovie. Il 1918 dalla Battaglia del Piave o del Solstizio (15 – 23 giugno 1918) alla Battaglia di Vittorio Veneto

  

Il Ruolo Strategico delle Ferrovie dal Risorgimento alla Prima e Seconda Guerra Mondiale

PRIMA GUERRA MONDIALE

III ARTICOLO

 Il 1918 dalla Battaglia del Piave o del Solstizio (15 – 23 giugno 1918) alla Battaglia di Vittorio Veneto

Autore: Generale aus Mario Pietrangeli

Già 48° Comandante del Reggimento Genio Ferrovieri

 

Nei primi mesi del 1918 proseguì l’opera di razionalizzazione della produzione bellica e di riorganizzazione dell’esercito, incrementando, anche, la collaborazione con gli alleati dell’Intesa. Azioni minori si svolsero in primavera nel settore Tonale-Adamello, sull’altopiano di Asiago e sul basso Piave. In febbraio avviene cosiddetta Beffa di Buccari (un’incursione militare effettuata contro naviglio austro-ungarico nella baia di Buccari – in croato Bakar -, svolta da incursori della Regia Marina su MAS nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918, durante la prima guerra mondiale. Nonostante le limitate conseguenze materiali, tale azione ebbe l’effetto di risollevare il morale dell’Italia, messo a durissima prova dallo sfondamento di Caporetto di alcuni mesi prima). Da parte austriaca, sia l’imperatore Carlo, sia il suo Capo di Stato Maggiore Von Arz erano ormai consapevoli del progressivo deterioramento delle condizioni del loro esercito, ma gli alleati tedeschi necessitavano di offensive d’appoggio per poter mantenere l’iniziativa sul fronte occidentale. Fu deciso un attacco generale contro l’Italia partendo dal saliente del Trentino e dal Piave. A nord si schierò il gruppo d’armate del Tirolo, comandato da Conrad von Hötzendorf, con la 10^ e 6^ armata (sul fronte dello Stelvio – Trentino – Monte Grappa, con limite di settore a Fener), a est il gruppo d’armate del Piave, guidato da Boroëvić, con la 6^ e 5^ armata (con limite di settore il Ponte della Priula). La gigantesca offensiva doveva svolgersi nel tratto fra la Val d’Astico e il mare. Il piano prevedeva una manovra a tenaglia con uno sforzo principale a cavallo del fiume Brenta, tendente a sfondare il fronte montano, raggiungere la pianura fra Vicenza e Castelfranco per prendere alle spalle le armate italiane schierate sul Piave, mentre la parte meridionale della tenaglia, costituita dal Gruppo di Armate dell’Isonzo, con un attacco coordinato e contemporaneo a quello montano, aveva il compito di colpire Treviso e raggiungere Padova. In sostanza era un “ultimo sforzo” per costringere l’Italia alla resa. Sullo scacchiere italiano, le forze austriache agli ordini del generale Von Arz, comprese le riserve, erano costituite da 60 divisioni con 7.500 pezzi d’artiglieria. Tali forze erano fronteggiate, da ovest verso est, dalla 7^ e 1^ armata dallo Stelvio all’Astico, 6^ e 4^ sugli altipiani, 8^ e 3^ da Pederobba al mare. In totale 59 divisioni, comprese 3 inglesi, due francesi e una cecoslovacca ancora in addestramento.

Con anticipo di due giorni, era stato previsto, inoltre, un attacco al Passo del Tonale (operazione Lawine), accompagnato da azioni diversive nelle Giudicarie e in Val Lagarina allo scopo di attirare le forze italiane in quel settore del fronte. Ma il generale Diaz non cadde in inganno. L’ambizioso piano austro – ungarico, se condotto con unità di comando, avrebbe potuto consentire all’esercito avversario di raggiungere la pianura dopo uno o due giorni di combattimenti, ma l’antagonismo esistente fra il Conrad e il Boroëvić, due grandi comandanti, ciascuno dei quali voleva avere l’onore di decidere le sorti della battaglia, lo trasformò in due offensive condotte con forze pressoché equivalenti e quindi incapaci di raggiungere il successo sperato. Veniva ignorato un principio fondamentale: quello della gravitazione delle forze da concentrare sul tratto più debole del dispositivo nemico, come avvenne invece nell’ottobre del 1917 a Caporetto. L’offensiva non giunse inaspettata: i comandi italiani, che da tempo avevano compreso da molteplici segnali le intenzioni nemiche, a queste uniformarono le contromisure da prendere. Alle ore tre nella notte del 15 giugno 1918 iniziavano le due operazioni “Radetzky” (sull’Altopiano di Asiago e sul Monte Grappa) e “Albrecht” (contro il Montello e il Basso Piave) con un breve ma potentissimo fuoco di artiglieria con l’impiego anche di granate a gas. Questa volta l’artiglieria italiana, ricordando l’amara lezione di Caporetto non si fece sorprendere, ma aprì immediatamente il fuoco di contro preparazione, anticipando in alcuni settori del fronte il fuoco nemico, provocando sensibili perdite nel dispositivo di attacco avversario, ai pontoni di barche montati sul Piave e sui centri di comando. La pronta e decisa reazione delle nostre Divisioni 47^, 48^, 50^, 57^ e 60^, dopo violentissimi contrattacchi, il 22 giugno, costrinse gli austriaci a ritirarsi dal Montello e ripassare il Piave sotto l’incessante fuoco delle nostre artiglierie. L’Alto Comando Austriaco, la notte del 23 giugno, per difficoltà di alimentare lo sforzo a causa del Piave in piena e con i ponti ed i traghetti continuamente battuti dal tiro implacabile delle nostre artiglierie e dall’aviazione, vista l’impossibilità di sfondare nel settore del Piave, ordinava, su tutta la fronte, la sospensione dell’offensiva e il ripiegamento sulla sponda sinistra del fiume. L’esercito austro-ungarico usciva dalla lotta profondamente scosso ed indebolito.

 

( dal Sito:  https://www.bing.com/images/search?q=la+grande+guerra+mappe)

 

 

 

La battaglia del Solstizio o Seconda Battaglia del Piave fu l’ultima grande offensiva sferrata dagli austro-ungarici nel corso della prima guerra mondiale. Essa coincise con la fase di maggior sforzo sotto l’aspetto ferroviario, in cui i numeri diventano impressionanti. Durante l’offensiva austriaca dall’Astico al mare (28 maggio – 15 luglio 1918), nei soli giorni tra il 16 e 26 giugno, furono trasportati 240.000 uomini, 27.000 quadrupedi, 6.000 carriaggi e cannoni, oltre al servizio dei treni ospedale. Le forze austro-tedesche erano uscite molto debilitate dalle paurose perdite subite nella battaglia del Piave ed analogamente in difficoltà anche sul fronte occidentale; ciò concorse ad inasprire i contrasti multietnici dell’esercito asburgico (formato da austriaci, ungheresi, croati, boemi, sloveni polacchi e bosniaci), provocando il progressivo sfaldamento dello stesso. I comandi alleati, fin dal trionfo della resistenza sul Piave, fecero pressioni, con il contributo di uomini e mezzi, allo stato maggiore italiano per riprendere l’iniziativa contro l’agonizzante nemico. Dopo vari ritardi, volti ad assicurare l’adeguata preparazione delle sue truppe il 24 ottobre 1918 iniziò l’offensiva finale italiana. Gli attacchi furono concentrati sul Montello e sul Grappa, per dividere le forze austriache del Trentino da quelle del Piave. Dopo due giorni di aspri combattimenti, resi difficili dalle continue piogge, che avevano contribuito ad ingrossare le acque del Piave, i soldati italiani, dopo un primo momento di difficoltà, attraversarono il fiume e ebbero la meglio sulla resistenza nemica. In questo settore l’avversario si ritirò verso Vittorio Veneto a partire dal giorno 29. A nord Rovereto fu raggiunta il 2 novembre e Trento il giorno dopo, così come Trieste ad est. Il massiccio attacco in forze condusse l’esercito italiano fino a Vittorio Veneto, ove conquistò la vittoria decisiva, travolgendo e tagliando in due le armate di un impero che di fatto aveva già cessato di esistere come entità politica. Trento e Trieste vennero liberate e, ad un’Austria-Ungheria ormai in piena dissoluzione, non restò altro che chiedere l’armistizio, firmato il 3 novembre 1918 a Villa Giusti, presso Padova e alle ore 15 del 4 novembre 1918 le ostilità su tutto il fronte italiano ebbero finalmente termine. Disse il generale Badoglio, a proposito dell’accordo appena siglato: “Per l’Italia è la fine della guerra, per l’Austria è la fine di un grande impero“.  Durante la preparazione per l’offensiva di Vittorio Veneto, in poco meno di un mese furono spostati altri 320.000 uomini e 42.000 quadrupedi e 8.500 carriaggi e cannoni, oltre ai materiali vari. In tale contesto furono costruiti centinaia di Piani Caricatori Fissi in muratura, nelle stazioni, per lo scarico e carico di materiali e mezzi. Per il supporto di munizionamento furono utilizzati una media di 400 carri al giorno, con punte di 600. Infine, durante la battaglia finale vera e propria (25 ottobre – 4 novembre 1918) furono trasportati 140.000 uomini, 8.000 quadrupedi e 1.600 cannoni e carriaggi. Il trasporto di munizioni segnò, in quei giorni, una media superiore ai 600 carri al giorno. In contemporanea, il movimento dei treni ospedale e sanitari ebbe una media di 17 treni al giorno, con una punta di 37 il 31 ottobre. Per quanto riguarda la Linea Ferroviaria Conegliano – Vittorio Veneto (già Serravalle – Ceneda), c’è da evidenziare che come molte altre ferrovie, questa servì inizialmente al solo Esercito Italiano, prevalentemente per rifornire le guarnigioni del Cadore che giunte a Serravalle – Ceneda proseguivano poi verso il Cadore. Ma poco dopo gli eventi di Caporetto, la Società Veneta, impossibilitata a far ritirare il materiale rotabile lungo la ferrovia carnica, a causa della distruzione del ponte sul fiume Tagliamento, sgombrò il prima possibile grazie all’opera eroica dei suoi Ferrovieri la Linea Conegliano – Serravalle, abbandonandola in seguito al nemico. Di questa Linea Ferroviaria furono incendiati e demoliti i fabbricati e gli scali, le rimesse ed alcuni caselli. Con la ritirata dell’Esercito Italiano verso il fronte occidentale, anche i Ferrovieri dovettero abbandonare le linee occupate, in particolare cercando di salvare il salvabile, le locomotive e i vagoni che venivano inviati in linee più sicure. L’Esercito Austroungarico, forte dell’avanzata verso il Piave, iniziò con le proprie Compagnie Ferrovieri a delineare una nuova rete ferroviaria di confine cercando di collegare le ferrovie esistenti, abbandonate dalle Società Italiane, a reti a scartamento ridotto di tipo Decauville per garantire   la movimentazione delle proprie armate e delle proprie artiglierie, nonché per dare impulso all’economia, all’industria e alla popolazione civile. Da Udine a Conegliano furono ricostruiti 5 ponti fluviali, ripristinati intere linee e fabbricati di pertinenza delle ferrovie. Sulla linea Udine – Sacile – Conegliano vi erano parecchi binari e scambi distrutti o danneggiati. A Sacile fu riscostruito il ponte sul Livenza a due binari con travate in legno lunghe 24 metri. Una volta riattivata la Linea venne utilizzata oltre che per scopi di guerra anche dalla popolazione civile. Fin dai primi giorni della riattivazione, tale opera veniva colpita di continuo dalle artiglierie italiane posizionate sul Montello e da improvvise incursioni dell’aviazione. Per queste continue interruzioni, Il Comando Austriaco ordinò la costruzione di un nuovo raccordo che collegasse direttamente Vittorio Veneto, senza passare per il nodo di Conegliano (17 km, a scartamento ordinario). Questa ferrovia, abbandonata dagli austriaci in ritirata nel 1918 (a seguito della Battaglia di Vittorio Veneto), cessò di funzionare nel secondo semestre del 1923, non venendo assorbita nella rete statale. Da questa ferrovia di collegamento si distaccavano altre piccole Decauville, costruite successivamente, che con brevi percorsi congiungevano i centri vicini, le stazioni teleferiche ed i magazzini. Aperte fra il maggio ed il giugno 1918 ebbero breve vita. Nonostante curve strettissime, il piccolo armamento, lo scartamento ridotto permisero comunque l’esercizio giornaliero di numerosi convogli materiali e qualche sporadica corsa per viaggiatori. I fabbricati di servizio, costruiti in legno, e le rotaie, che posavano su scarne traversine, vennero abbandonati già a fine guerra, per essere del tutto rimossi pochi anni dopo.

Stazioni e fermate
linea per Calalzo
linea per Belluno
92+715
39+947
Ponte nelle Alpi-Polpet 397 m s.l.m.
bretella Cadola-Faè (non completata)
fiume Piave
36+901 Cadola-Soccher † 2002[11] 384 m s.l.m.
32+629 Stazione per l’Alpago 392 m s.l.m.
Galleria Santa Croce (1485 m)
27+349 Santa Croce del Lago 388 m s.l.m.
Galleria Fadalto (2152 m)
21+458 Nove 285 m s.l.m.
13+560 Vittorio Veneto 143 m s.l.m.
12+072 Soffratta 130 m s.l.m.
linea kkH per Costa
10+9 Vendrami
6+705 Colle Umberto-Scomigo 87 m s.l.m.
3+331 San Vendemiano-Gai
1+881 linea per Udine
0+000 Conegliano 62 m s.l.m.
linea per Venezia
L’Impegno  Ferroviario FS in Tutta la Guerra in Cifre
Complessivamente, tra il 1915 e il 1918 furono effettuati circa 50.000 treni trasportando:
15 milioni di uomini;

1.300.000 quadrupedi;

350.000 tra veicoli e cannoni, 1.820.000 tra feriti e ammalati;

22 milioni di tonnellate di viveri, foraggi, munizioni e materiali vari.

 

Coinvolgimento in tutta la Guerra del Personale FS
Su 156.000 ferrovieri in servizio, 13.000 furono richiamati alle armi e 70.000 mobilitati al servizio delle forze armate.

I ferrovieri caduti in combattimento furono 1.080 e tra essi si contarono due medaglie d’oro (Enrico Toti e Emmanuele Ferro), 76 d’argento, 53 di bronzo.

In servizio sulle linee del fronte caddero altri 116 ferrovieri portando a 1.196 il totale dei caduti.

Molte vittime si ebbero tra il personale navigante che operava sui navigli che assicuravano i trasporti nella zona marittima e fluviale tra il delta del Po, Venezia, Portogruaro e Marano.