Lo Spirito del reale Viglietto del 1883 nella Interpretazione di cento anni dopo

  

PARTE VI.

LO SPIRITO DEL R. VIGLIETTO DEL 26 MARZO

1833 E LE RIFORME FASCISTE DELL’ANNO X

Dott. PIO CARTONI

 Le disposizioni del R. Viglietto del 26 marzo 1833 rimasero formalmente immutate  attraverso gli eventi storici che condussero alla unità e indipendenza della Patria ed alla  formazione dell’esercito nazionale: ed immutate pervennero sino a noi. In nessun tempo e sotto nessun indirizzo politico si osò introdurre modificazioni formali in quel vetusto documento e si giunse a mantenere invariata persino la elencazione dei casi pratici, ad esso allegata a modo di  esempio, e necessariamente superata dalle mutate  condizioni in cui la guerra moderna si svolge.

Ma lo spirito del R. Viglietto non fu sempre ugualmente rispettato: in quanto, con altre disposizioni, o nella pratica applicazione, cedendo a tendenze recate dalle mutate condizioni politiche, si ammisero concetti che con quello spirito non sarebbero stati conciliabili.

Basti qui accennare: al concetto utilitarista di rimunerazione, di prezzo dell’azione valorosa, che si era venuto associando, via via con prevalenza, e sostituendo al concetto fondamenta1e di distintivo di onore, attribuito dal R. Viglietto alle medaglie al valor militare; ed al concetto, di ispirazione  non meno utilitarista, di un vero  e proprio diritto alla ricompensa da parte dell’autore dell’azione valorosa, che si era venuto sostituendo al concetto che le medaglie al valore dovessero essere l’espressione libera e spontanea dell’alta approvazione del Sovrano, quale comandante  supremo delle  armate.

Con le riforme introdotte nell’anno X e all’inizio dell’anno XI, dal Governo Fascista, mediante la legge 24 marzo 1932, n. 453 in materia di perdita e col  R. Decreto 4 novembre 1932, n. 1423 in materia di concessione delle decorazioni al valor militare, si è data, invece, a tutte le disposizioni una organizzazione, razionale e conforme  alle moderne esigenze, la quale non  solo non  contrasta  con lo spirito del R. Viglietto del 1833, ma, anzi, in certa guisa, lo richiama a nuova vita

 

 

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La materia delle perdite delle medaglie al valor militare « doppiamente delicata sia nei riguardi dei decorati, cui non deve senza gravissimi motivi essere tolto il segno del valore duramente conquistato, sia nei riguardi del prestigio delle stesse decorazioni che sarebbe indubbiamente sminuito se di esse continuassero a fregiarsi anche coloro che la società giudica indegni di essere onorati » [1]aveva formato oggetto di attente cure da parte  dell’Amministrazione della Guerra, la quale aveva avvertito tutto il disagio che derivava dal dover continuare ad applicare nei singoli casi pratici la disposizione  dell’art. 19 del R. Viglietto, sostanzialmente giusta, ma necessariamente coordinata ai concetti ed al sistema penale allora vigente.

In forza di tale articolo doveva infatti « essere irremissibilmente privato della medaglia chi fosse stato condannato ad una pena infamante; poteva, invece, per determinazione del Sovrano, perdere la medaglia chi, avendo riportata una condanna a più di sei mesi di carcere (o, trovandosi in talune altre condizioni), non fosse stato ritenuto degno di conservarla ».

« Perdita  di   diritto quindi,  come  conseguenza  necessaria  di condanne  a  pene  infamanti,  e perdita discrezionale, da  decidersi caso per caso ».

Se non che  – di fatto – applicando, ai tempi nostri, la disposizione del 1833, anche quella  che doveva  essere perdita  di  diritto era divenuta, fatalmente, perdita  discrezionale:  in quanto il concetto di « pena infamante »  non aveva più precisa rispondenza nel  sistema  penale  e non  poteva  perciò  trovare  applicazione  altro che per adeguazioni approssimative, da determinarsi caso per caso [2]».

Ad ovviare a tale situazione l’Amministrazione della Guerra, ben cosciente del riguardo dovuto al sacrosanto diritto acquisito dagli insigniti del nastro azzurro a conservare le loro decorazioni, presi gli ordini del Capo del Governo e d’intesa con le altre Amministrazioni militari, assunse la iniziativa per disciplinare organicamente la materia non già con semplice decreto reale, come forse avrebbe potuto farsi avendo riguardo alla forma della disposizione da modificare, ma con un disegno di legge; perché sembrò  che niuno dei diritti dei  cittadini  fosse  più  meritevole  e  degno  delle più ampie garenzie di legge quanto questo del diritto a non essere privato delle decorazioni  militari regolarmente   ottenute.

E venne, così, la legge del 24 marzo 1932, n.  1423, che fu oggetto di accurato studio da parte del Parlamento, ove la schiera gloriosa dei combattenti e dei decorati è tanto largamente rappresentata .

Se non  che la legge del  1932 e lo stesso istituto  della « perdita » non  avrebbero logicamente potuto sussistere se non  si fosse data ogni prevalenza al concetto fondamentale affermato nel 1° articolo del R. Viglietto del 1833, per la quale la medaglia al valor militare è, anzitutto e soprattutto, un distintivo d’onore. Fermo questo caposaldo, è lecito e, si direbbe, doveroso privare delle medaglie colui che per sua colpa si e reso indegno di essere onorato; mentre, nell’altra meno nobile concezione, per la quale le medaglie si riducono ad essere un compenso, la perdita non avrebbe trovato buon  fondamento: giacché non è mai lecito pretendere, per la successiva, anche pessima condotta  del soggetto, la restituzionedel prezzo  pagatogli in  corrispettivo dell’opera  da  lui prestata.

Ma allo spirito del R. Vigletto del 1833, la legge del marzo1932, si attenne anche nell’evitare ogni  eccessivo rigore. Anche essa riaffermò i due criteri della perdita di diritto e della perdita discrezionale, ricollegando il primo alle condanne a pena infamante (coerentemente sempre alla concezione de11a decorazione-distintivo d’onore); ma restrinse la portata de11a « pena infamante», al concetto dominante nel sistema penale  militare che considera tale la condanna solo quando rende l’individuo  indegno dell’onore di appartenere all’esercito.

Quanto alla perdita discrezionale, implicante, cioè, una determinazione Sovrana, da  promuoversi caso  per  caso, dal Ministero sulla cui iniziativa ebbe luogo la concessione,  la legge del 1932, non potendola regolare con norme tassative, adottò   – per ciò che concerne i casi di  condanna penale – il doppio criterio   della  natura del reato e della gravità  della pena, sempre pro avendo di mira di privare delle decorazioni solo coloro che, nell’uno e nell’altro caso, fossero da ritenersi non più degni di essere onorati con un distintivo, da indossare pubblicamente.

La legge del marzo 1932 contemplò anche, tra i casi di perdita discrezionale delle decorazioni, quello della perdita della cittadinanza italiana. Questo caso non era contemplato nel R. Viglietto; ma apparisce in perfetta armonia con lo spirito di esso, quando si pensi  che la perdita per siffatto motivo verrà inflitta solo a coloro che l’opinione pubblica bolla con l’epiteto infame  di « rinnegati ».

Ma – quel che più importa – tra i casi di perdita discrezionale, la legge del 1932 comprese quello della perdita del grado militare per fatti disonorevoli. Il R. Viglietto  del  1833 non aveva esplicitamente preveduto questo caso; ma ognun vede come esso si inquadri a perfezione nello spirito del  centenario  documento. E’ infatti – può dirsi- una indeclinabile necessità logica che i segni onorifici del valore non continuino a fregiare il petto  di colui che, appunto per aver mancato all’onore, si è reso indegno di conservare il suo grado militare.

Questa necessità fu bene avvertita in occasione della istituzione della medaglia di bronzo al valor militare, in quanto nel relativo R. Decreto del1’8 dicembre 1887, n. 5100 – riportandosi agli statuti dell’Ordine   militare di Savoia – fu sancita  la  perdita  di tale nuova decorazione per gli Ufficiali che avessero perduto il grado.Ma la  legge del 1932 ha invece,  logicamente,  considerato il caso di questa estrema sanzione disciplinare per tutti i gradi militari e per tutte le decorazioni al valor militare; purché, però, essa derivi, come si è visto, da fatti disonorevoli.A coronamento di questo insieme di disposizioni, ed a legittima garanzia  dei  diritti  dei decorati – che non contrasta certamente con il R. Viglietto – la legge  del 1932 subordinò poi ogni proposta  di   perdita  discrezionale di decorazioni al valore,  alla consultazione di una commissione, unica per tutti i Ministeri interessati. Quest’organo consultivo dovrà esprimere il suo preventivo e motivato parere su ciascuna proposta, rimanendo eliminata così la incongruenza per la quale, mentre dovevano essere precedute dal parere di una commissione le concessioni delle medaglie al valor militare, nessun obbligo vi era di consultazioni di sorta per decretarne la perdita.

Un’altra   importantissima innovazione  ha pure introdotto la legge del 1932, allo scopo di attenuare il rigore della inflizione della  perdita  delle decorazioni  al valor militare, ammettendo la possibilità del ripristino delle decorazioni  perdute.  Anche il R. Viglietto del 1833 ammetteva  una  possibilità  di ripristino, laddove  stabiliva che per  i casi  di minor  gravità,  cessata  la causa  della  perdita  o espiata la pena, potesse dal Sovrano determinarsi se l’individuo meritasse di essere riammesso « al godimento del perduto favore ».

La legge del  1932 ha  contemplato  la  possibilità  del  ripristino, non solo per i casi in cui sia venuta a cessare. la causa della perdita – tipico  il caso  del  riacquisto  della  cittadinanza  e quello  della reintegrazione del grado – ma anche quando venga a mancare il disdoro della riportata condanna per effetto della riabilitazione giudiziaIe e quando – il che più ancora interessa per il suo caratteristico significato – il soggetto si riabiliti moralmente con atti successivi di valore o cospicui, o reiterati e si renda cosi meritevole di nuove decorazioni.

 

 

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Regolata per legge la  materia delle perdite, che in certo senso più urgeva sistemare, in quanto di fronte al grande numero di decorati, essa era e sarebbe  rimasta di permanente attualità, l’Amministrazione della Guerra, su ordine e direttive precise del Capo del Governo, imprese lo studio di tutta la materia delle concessioni delle decorazioni al valor militare  con l’intento di meglio coordinarla ai fini istituzionali, opera perfettamente  inquadrata  nella direttiva del Regime  di rafforzare in ogni campo  i valori morali e singolarmente favorita dalla nuova atmosfera spirituale in cui, per opera Sua, si svolge oggi la vita della Nazione.

Peraltro sin dagli inizi apparve chiaro che una riforma organica di tutta la materia delle concessioni e delle decorazioni al valor militare non avrebbe potuto sostanzialmente discostarsi  dallo spirito del R. Viglietto del 1833; mentre, più che altro, trattavasi di eliminare quanto, anche in questo campo così delicato, erasi venuto via via introducendo per indulgere a tendenze demoliberali, e di meglio organizzare o integrare opportunamente quelle delle successive disposizioni che corrispondessero ad indeclinabili e giuste esigenze.

Un ritorno puro e semplice alle disposizioni del R. Viglietto sarebbe stato evidentemente assurdo; non si possono impunemente chiudere gli occhi dinnanzi ad un secolo di storia così ricco di avvenimenti, anche militari; né si può immobilizzarsi nella venerazione feticista di un documento sia pure sotto molteplici aspetti degno della sua eccezionale longevità. Ma, del pari, non era possibile pensare a rappezzi parziali ed aggiornamenti mediante modificazioni del testo, da niuno osati in passato. Ne sarebbe venuto fuori, oltre tutto, un organismo repellente come quello di un rugoso vegliardo imbellettato.

Su tali presupposti, l’Amministrazione della Guerra si accinse alla  delicata  impresa  della  rinnovazione  di  tutte  le  disposizioni  in materia di concessioni di decorazioni al valor militare, in guisa da dare ad esse un contenuto ed un assetto veramente organico. E, d’intesa con le altre Amministrazioni militari, si addivenne alla redazione del decreto  che ottenne la sanzione della Maestà del Re nella  ben  significativa  data  del  4  novembre  dello  scorso  anno.

Non  stupisca la forma del  decreto reale,  adottata  a  preferenza di quella della legge nella riorganizzazione della materia  delle concessioni, sebbene questa possa, in certa guisa, considerarsi ancora più ponderosa della materia della perdita, già regolata per legge. Essa fu preferita non già per una banale, quanto  anacronistica  imitazione della forma esteriore del R. Viglietto; ma bensì per un doveroso ossequio alla Corona tra le cui prerogative statutarie v’è quella del comando  di  tutte  le  forze  militari;  mentre  manifestazione  peculiare  e nobilissima  dell’esercizio  del  comando  militare è precisamente  il rendere  onore e gloria  ai valorosi  che lo hanno  meritato.

Quanto al concetto fondamentale, il decreto del 4 novembre adottò – e non poteva essere altrimenti – quello stesso che domina in modo così evidente nella legge del 24 marzo 1932: il concetto, cioè, della decorazione-distintivo  d’onore, anziché rimunerazione, e questo concetto, direttamente discendente  dal R. Viglietto del 1833, solennemente riaffermò nel precisare con l’art. 1 gli scopi della istituzione delle decorazioni al valor militare.

Conviene, anzi, riconoscere che il decreto del 4 novembre 1932 quel concetto fondamentale accentuò e perfezionò: poiché dalla definizione dello scopo della istituzione delle medaglie eliminò persino l’idea di « premio »  pure accolta nello storico documento, e lo fece consistere essenzialmente nella esaltazione degli  atti  di  eroismo  militare.

 

 

 

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Se non che ad altre esigenze, manifestatesi lungo il corso di un secolo, e che non si presentavano al  tempo del  R. Viglietto del 1833, doveva pur corrispondere il nuovo decreto reale.

Il Re Carlo Alberto, istituendo  le medaglie al valor  militare per premiare con questo distintivo d’onore « le azioni di segnalato valore che avevano luogo nelle nostre armate », non dovette avvertire alcuna  necessità  di  definire  il  contenuto  di queste azioni ardimentose che avrebbero comportato un così alto premio. Le medaglie erano istituite unicamente per i militari in servizio nelle armate e  per  le  azioni valorose che essi avessero compiuto, segnatamente in tempo di guerra: e  non  esistevano  ancora  altre    decorazioni  di analoga natura per  meritare generose e coraggiose azioni compiute in altri campi.

E dovette, pertanto, apparire  sufficiente che alle espressioni  generiche usate nel   testo delle disposizioni del R. Viglietto si accompagnasse 1a  nota  elencazione di casi pratici, allo scopo di dare « una tal quale norma  nelle loro preposizioni » ai generali comandanti i corpi d’armata.

Solo più tardi, e specialmente dopo la istituzione delle medaglie al valor civile, fatta col R. Decreto 30 aprile 1851 n. 1168, si cominciarono ad avvertire gli incovenienti della mancanza di una precisazione; e ad essa si ovviò alla meglio lungo i tempi, non senza una penosa oscillazione di criteri ed un alterna vicenda di preponderante considerazione accordata alla intrinseca natura dell’atto, ovvero alla qualità rivestita dall’autore di esso.

Le medaglie al valor civile, infatti, furono istituite non soltanto per atti di pura filantropia a vantaggio di privati; ma anche per atti  ardimentosi compiuti a fini di interesse pubblico, quali il ristabilimento dell’ordine pubblico e l’arresto di malfattori.

E nelle direttive segnate dall’Amministrazione, a risolvere singolari conflitti di disposizioni, prevalse talora la considerazione della qualità rivestita dall’autore sulla natura intrinseca dell’azione compiuta; donde la anomalia logica che la stessa identica azione, diretta ad una delle accennate finalità d’interesse pubblico, desse luogo a medaglie al valor civile o a medaglie al valor militare secondochè l’autore fosse un civile od un militare [3].

Nel 1860 (R. Decreto 15 aprile 1860, n. 4072) venne poi la istituzione delle medaglie al valor di marina; e di poi, recentissimamente, la istituzione delle medaglie al valore aeronautico (R. Decreto 27 novembre 1927, n. 2297). Le une e le altre peraltro, destinate a premio di valentia ed ardimento nel campo professionale del mare e dell’aria e quindi poco suscettibili di confusione e di dubbi con i premi del valor militare.

Se non che anche questa ulteriore, necessaria specializzazione di premi al valore contribuiva a rendere opportuna la enunciazione precisa ed esauriente del contenuto intrinseco dell’atto di valore militare per modo di ottenere che le decorazioni fossero conferite non in virtù della divisa, ma « in virtù del fatto che si compie, che dev’essere unicamente, strettamente e decisamente militare »[4].

Anche qui si trattava, in sostanza, di tornare ad ispirarsi agli stessi concetti fondamentali contenuti nelle singole disposizioni del R. Viglietto del 1833 ovvero desumibili dalla elencazione esemplificativa che ad esso è allegata.

A tale fondamentale esigenza provvidero gli articoli 3, 4 e 5 del R. Decreto del 4 novembre 1932:

– designando il contenuto proprio dell’atto di valor militare nell’affrontare scientemente e con felice iniziativa un grave e manifesto rischio personale in imprese belliche, per generoso impulso che vada al si là di ciò che è imposto dal dovere e dall’onore: di guisa che l’atto compiuto possa costituire sotto ogni aspetto

esempio degno di imitazione;

– disponendo inoltre che debba riconoscersi come atto di valor militare in tempo di pace ogni azione la quale, rispondendo alle suddette caratteristiche, sia compiuta in un’impresa strettamente connessa alle finalità per le quali le forze militari dello Stato sono istituite: e ciò indipendentemente dalla condizione e dalla qualità dell’autore.

 

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Degli istituti che – non compresi nel R. Viglietto del 1833 – nella materia delle concessioni delle decorazioni al valor militare erano sorti attraverso i tempi, il  R. Decreto  del  4 novembre 1932 ha rispettato quello della consultazione preventiva di  un’apposita  commissione  sulle singole proposte.

Questo istituto della consultazione di apposito organo, da praticarsi dal Ministero prima di presentare alla Sovrana sanzione le singole proposte di medaglie al valor militare, non esisteva al tempo del R. Viglietto, in cui, le proposte affluendo ad un solo ministero (il «Nostro Ministero di guerra e marina »), era con ciò solo bene assicurata l’unicità del vaglio delle proposte stesse e la uniformità del criterio nelle concessioni.

Sorse esso più tardi, anche in ossequio della sana tendenza, propria dei governi costituzionali, di creare attorno all’amministrazione attiva, corpi consultivi di natura tecnica; e fu variamente disciplinata.

E nel 1887, con R. Decreto del 15 dicembre di quell’anno, vi si provvide con la istituzione di una commissione apposita di nomina del Ministero della Guerra

(che è rimasta immutata nella sua costituzione sino a noi). Ma successivamente

l’istituto della consultazione preventiva degenerò, spezzandosi tra organi vari e molteplici alla dipendenza degli altri ministeri militari (Marina, Aeronautica, Colonie) giungendosi sino al punto di avere tanti organi consultivi diversi, quanto i ministeri.

Il R. Decreto del 4 novembre 1932 ha bene avvertito quanto di danno la  molteplicità  degli  organi consultivi poteva  apportare alla uniformità

dell’apprezzamento dei singoli atti al valor militare: ed ha voluto, energicamente e per quanto possibile, riconquistare quella uniformità,  che esisteva  al tempo  del R. Viglietto del 1833.

Non  potevasi  più,  oramai,  pensare  a  riservare  la iniziativa delle proposte di decorazioni al  valor militare ad una sola delle Amministrazioni militari, costituendo così un regime di monopolio inammissibile. Ma potevasi bensì disporre che la funzione consultiva fosse affidata ad un unico organo militare in cui fossero debitamente e  sempre  rappresentate  tutte  le  amministrazioni  militari. Il che ha fatto il R. Decreto del 4 novembre 1932, seguendo così anche i voti autorevolmente espressi nelle discussioni parlamentari, per assicurare il più possibile la uniformità dei criteri nelle concessioni [5].

 

 

 

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Un’altra importante riforma introdotta  col R. Decreto  del  4 novembre  1932 e diretta  invece  a spazzar via un  istituto di cui non era traccia nel R. Viglietto del 1833, e  che aveva posto in tempi  successivi profonde  radici   nell’ambiente   militare, sebbene fosse un portato di dottrine inconciliabili con le esigenze di un sano senso di disciplina in genere e con quello della disciplina militare in ispecie.

Lo abbiamo accennato in principio.

Contrariamente al senso austero del dovere militare – che comporta, meglio che ogni altro dovere civico, la piena e generosa dedizione di sé, anche se oscura ed ignorata, sino al massimo dei sacrifici  rappresentato  dalla  immolazione  della  vita – mediante la deviazione del concetto di distintivo d’onore, attribuito dal R. Viglietto del 1833 alle decorazioni al valor militare,  verso quello, tanto meno nobile, di ricompensa dovuta come corrispettivo esattamente commisurato ad un’attività personale, erasi venuta affermando la idea di un diritto ad ottenere la ricompensa stessa.

Donde, in tempi in cui ogni parvenza di diritto del cittadino era oggetto di cure fin troppo meticolose da parte dei pubblici poteri, la necessita di ammettere, come naturale conseguenza, la più ampia facoltà di reclamo non solo contro le decisioni negative prese sulle proposte di decorazioni al valor militare, ma persino sul grado della decorazione effettivamente concessa con la osservanza di tutte le forme prescritte.

La facoltà di reclamo, ammessa dapprima con qualche cauta limitazione (quale si riscontra in una determinazione ministeriale del 15 luglio 1864 che vietava di dar corso ai reclami che i superiori diretti non avessero approvato), fu poi consentita senza freno di sorta, giungendosi a formulare il principio – molto semplice  in verità, ma altrettanto cinico – « in materia di ricompense al valor militare è consentita facoltà di ricorso al Ministero ».

E di tale liberissima facoltà è da tutti risaputo quanto siasi, anche in tempi recenti, usato ed abusato!

Contro tale istituto si era levata nel Senato del Regno la fiera e gagliarda rampogna di un vecchio soldato, il quale, con argomenti validissimi – quello, segnatamente, del rispetto dovuto ai valorosi morti in combattimento i quali con suprema ingiustizia, a differenza dei sopravvissuti, non possono rivendicare con il reclamo le loro benemerenze – ne aveva minato le basi [6].

Il R. Decreto  del 4 novembre  1932 – lo abbiamo  detto – ha  spazzato via inesorabilmente  la  facoltà  di ricorso,  che  offriva così agevo1e  adito  all’inquinamento  de1 costume  militare,  alimentando  mire ambiziose ed egoistiche. Ma  ciò ha potuto fare solo perché esso è tornato ad attribuire alle decorazioni  a valor militare il prevalente  carattere di distintivo d’onore, come era nello spirito del R. Viglietto del  1833.

D’altronde il R. Decreto del 4 novembre 1932 ha mantenuto intatte ed ha migliorato le  formalità procedurali – compatibili con le esigenze dell’organizzazione militare – che  meglio possono garantire il più equo e spassionato apprezzamento di ogni azione valorosa. Le proposte. infatti, passano attraverso il vaglio di tutte le autorità gerarchiche e,  giunte  all’autorità centrale,  sono  sottoposte al parere di un organo consultivo  tanto  più   autorevole  e competente perché sarà l’unico depositario della tradizione.

Ma, al pari della cura, d’intonazione quasi paterna, che il R. Viglietto poneva perché nessun caso degno di decorazione sfuggisse all’apprezzamento del superiore, il  R. Decreto  del  4 novembre 1932 ha d’altro canto solennemente riaffermato tra i doveri del comandante di corpo quello di vigilare perché ogni indebita omissione di proposta sia evitata; ed ha, poi,  consentito che l’autore  di un atto di valore abbia facoltà di chiedere, nelle forme dovute, se sia stato fatto luogo alla relativa   .

Il che – mentre non contrasta con la soppressione della facoltà di reclamo, la  quale implica  censura  dell’operato  dei  superiori e manifestazioni di malcontento – ripara per quanto possibile alle omissioni,  involontarie  o  dovute  a  cause  di  forza  maggiore,  probabili e relativamente non infrequenti specie tra le vicende belliche.

 

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Ad ottenere di dare onore ai decorati e di suscitare, con la concessione delle medaglie al valor militare, una nobile gara di emulazione tra i dediti « al mestiere delle armi », il R. Viglietto del 1833 aveva provveduto con mezzi adeguati alle condizioni dei tempi e cioè con la inserzione del nome del decorato e della motivazione della concessione all’ordine del giorno della divisione e con la pubblica consegna,  in forma solenne, delle medaglie, alla presenza di tutti gli ufficiali, bass’ufficiali e soldati sotto le armi. Un barlume di pubblicità all’esterno dell’ambiente militare derivava allora solo dalla facoltà concessa al decorato di continuare a far uso delle insegne anche dopo che avesse terminato il servizio militare o per circostanze di famiglia o per tempo finito.

La costituzione delle grandi masse della forza in congedo illimitato, avvenuta dipoi per la sempre maggiore  estensione  dell’obbligo militare, destinate a rappresentare la parte numericamente maggiore dell’esercito mobilitato,  avrebbe dovuto nei tempi più vicini a noi far sentire la necessità di dare la massima divulgazione alle gesta dell’eroismo militare, perché tutto il popolo ne potesse trarre esempio ed incitamento ad imprese egregie ed, anche, perché tanto maggiore onore ne derivasse agli autori di esse.

Senonché (triste portato dei tempi, anche  questo)  ben  poco si fece in passato, se se ne  toglie  la inserzione  delle  concessioni  non più limitata all’ordine del giorno della divisione, ma  resa  di  pubblica ragione a mezzo del  Bollettino  Ufficiale  dei  ministeri  militari, mezzo questo non certo idoneo, di per sé, a recare fuori dell’ambiente  militare,  alla  portata   di  tutta  la  nazione,  la  cognizione dei  fatti eroici.

Il R. Decreto  del  4 novembre  1932, per  il  miglior  raggiungimento degli accennati intenti         del R.Viglietto del 1833 – di dare il massimo onore al decorato e di suscitare la più larga emulazione – ed in conformità delle direttive proprie del Regime Fascista, per la salda preparazione delle schiere dei militari in congedo illimitato e per la maschia educazione delle giovani generazioni, ha invece prescritto obbligatoriamente la divulgazione più ampia possibile delle concessioni delle decorazioni  al valor militare.

La pubblicazione sui bollettini ufficiali è mantenuta; ma ad essa è aggiunta quella, più solenne ancora, sull’organo ufficiale dello Stato, che penetra sino nei più remoti angoli  del territorio nazionale.  Ed, inoltre, si prescrive per ogni concessione la comunicazione particolare al comune di nascita del decorato, con l’obbligo dell’affissione nell’albo pretorio e della inserzione nelle pubblicazioni eventuali dell’amministrazione comunale; e si ordina, infine, a questa di usare ogni altro mezzo ritenuto opportuno per portare il fatto a conoscenza della popolazione.

E ci piace di confidare che, a questi provvedimenti ufficiali per assicurare la divulgazione, altri ancora se ne aggiungeranno per private, felici iniziative delle associazioni dei militari in congedo e delle opere assistenziali giovanili del Regime.

 

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Non si può poi passare sotto silenzio, prima di chiudere queste note, la disciplina legale data del R. Decreto del 4 novembre 1932 alla materia del passaggio di proprietà delle insegne e dei brevetti e della riversibilità del soprassoldo delle medaglie al valor militare in caso di morte del decorato e nel caso di concessioni fatte

alla memoria di valorosi deceduti.

Il  R.  Viglietto  aveva  posto  solo  il   principio  che,  alla  morte del decorato, le medaglie rimanessero proprietà della famiglia ed il soprassoldo  di  medaglia  fosse  corrisposto  alla  sua  vedova o, in mancanza, ai figli  purché  minori  di  15  anni.  E  nulla  disponeva per le concessioni alla memoria: a riguardo delle quali erasi dipoi provveduto, malgrado la grave portata giuridica della materia, con semplici disposizioni ministeriali.

Il  R.  Decreto  4 novembre 1932 ha nettamente distinto i due casi: della morte  del  valoroso, successiva alla concessione e della concessione fatta alla memoria del valoroso già deceduto.

Nel primo caso, quanto alla proprietà delle insegne e dei brevetti, ha prescritto che

essa sia regolata dalle comuni disposizioni di legge sulle successioni, per accordare, così, il più ampio rispetto alla volontà del defunto, del cui patrimonio giuridico le insegne stesse e i brevetti sono entrati a far parte; nella certezza che niuno meglio di lui possa essere giudice del modo  migliore di assicurare la gelosa conservazione delle insegne del suo valore. Quanto alla riversibilità del soprassoldo delle medaglie, il R. Decreto del 4 novembre 1932 non ha ritenuto possibile lasciarla ad libitum del de cuius; e, per l ’analogia che essa presenta con la materia delle pensioni – tutta e

sempre regolata  da disposizioni  di legge – ha disposto che, in via normale, sia

devoluta alla vedova od agli orfani fino all’età maggiore. Ma ha pure ammesso che si

continuino ad applicare le speciali disposizioni emanate in materia per i decorati morti per causa di servizio di guerra o attinente alla guerra; le quali consentono, in mancanza della vedova o degli orfani, la riversibilità anche a favore di altri prossimi congiunti.

Nel secondo  caso, delle concessioni fatta alla memoria dei valorosi deceduti, per l’assegnazione in proprietà  delle insegne e dei brevetti, non potevasi evidentemente  fare riferimento alle comuni disposizioni di legge sulle successioni; giacché niuno può vantare diritti succcessorii   a ciò che non faceva  parte  dcl  patrimonio  giuridico del defunto. Epperò il R. Decreto del  4  novembre  1932 ha istituito tutto un sistema speciale che trae ispirazione da un principio affermato nel R. Viglietto di assicurare alla famiglia la proprietà delle decorazioni; sopperendo peraltro anche alla eventualità che manchino prossimi congiunti del defunto la cui memoria vuolsi onorare  con la decorazione. Ed ha così stabilito che la proprietà delle insegne e dei  brevetti sia attribuita anzitutto alla vedova; ovvero al primogenito degli orfani; ovvero al padre; ovvero alla madre; ovvero al maggiore dei fratelli. Mentre, in mancanza di tali congiunti prossimi, che possono ancora  rappresentare  la  « famiglia» del decorato defunto, la proprietà delle insegne  e  dei  brevetti  passerà  al  corpo,  cui  egli  apparteneva,   se militare,  od  al  suo  comune di  nascita,  se  estraneo  alle  forze  militari  dello  Stato.  Per l’assegnazione dcl soprassoldo delle medaglie  concesse alla memoria, il R. Decreto 4 novembre 1932 ha poi disposto che essa spetti a quegli stessi congiunti  cui  sarebbe  spettata  la riversibilità, se la decorazione  fosse stata conferita mentre il valoroso era in vita.

Il R. Decreto ha pure regolato in via definitiva 1’altra delicata materia  della faco1tà di fregiarsi delle insegne di decorazioni al valor militare concesse alla memoria – il che esclude in ogni caso la facoltà di fregiarsi delle decorazioni concesse in vita al decorato – disponendo che essa sia accordata alla vedova, o al padre o alla madre di lui.

Ma su un’altra disposizione del R. Decreto 4 novembre 1932, di altissima significazione morale, ci piace, da ultimo, fermare la attenzione;  giacché con essa,  è stata colmata  una inesplicabile lacuna delle disposizioni preesistenti.

Sempre coerentemente al principio fondamentale che le decorazioni al valor militare sono, soprattutto un distintivo onore, il  R. Decreto  ha voluto evitare in modo assoluto che persone indegne di essere onorate possano entrarne in legittimo possesso, o possano fruire dei benefici connessi, o possano di esse fregiarsi. Ed ha perciò disposto che per ottenere l’assegnazione delle insegne e dei brevetti delle decorazioni concesse alla memoria, la riversibilità del soprassoldo annesso alle medaglie o l’autorizzazione ad indossare le insegne, sia sempre necessario essere immuni da gravi carichi penali e morali.

 

 

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Nel centenario dell’augusto documento che attesta di quale vigile ad amorosa cura circondasse le istituzioni militari il magnanime RE, che col Suo valore e con l’olocausto Suo doveva poi consacrare le prime pagine dell’epopea bellica della  indipendenza della Patria, ci inchiniamo riverenti e pensosi.

Come il lacero vessillo, che ha visto le cento battaglie, si ripone e si custodisce gelosamente nel Sacrario delle memorie eroiche della Nazione, e il drappo rinnovellato si affida alle balde schiere delle nuove generazioni per prepararle ai venturi cimenti, così il Fascismo consegna, senza distruggerlo, il venerando documento alla storia e, per innalzare « ancora il già altissimo significato della distinzione azzurra » [7] , vi sostituisce – sotto l’egida del Re vittorioso – le nuove tavole statuarie del valor militare.

E il popolo d’Italia, informato ormai dal Regime alla rinnovata « concezione della vita basata sul dovere, la disciplina, il combattimento »[8], accoglie con virile letizia e con saldo il cuore le nuove provvidenze emanate per dare onore e gloria ai suoi figli migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]Atti parlamentari. Camera dei Deputati, Legislatura XXVIII, Sessione 1929-31, Stampato n. 1095.

[2]Atti parlamentari. Camera dei Deputati, Legislatura XXVIII, Sessione 1929-31, Stampato n. 1095.

[3]Tale appunto la norma consacrata nella determinazione ministeriale del 28 gennaio 1862.

[4]Discorso di S. E. il Ministro della Guerra, generale Gazzera, al Senato del Regno in occasione della discussione del bilancio della Guerra 1932-33 (Tornata del 19 maggio 1932).

[5]Discorso di S. E. il Maresciallo d’Italia Pecori Giraldi al Senato del Regno nella discussione del bilancio della Guerra 1932-33 (Tornata del 19 maggio 1932).

[6]Discorso di S. E.  il Maresciallo d’Italia Pecori Giraldi al Senato del Regno nella discussione del bilancio della Guerra 1932-33. (Tornata del 19 maggio 1932).

[7]Discorso di S. E. il Ministro della Guerra, generale Gazzera alla Camera dei Deputati, nella discussione del bilancio della Guerra 1933-34 (16 marzo 1933)

[8]Dal « Messaggio del Duce » del 23 marzo dell’anno XI  E. F..