SOLERO(AL). COMMEMORATO IL SACRIFICIO DEL CAPITANO BRUNO PASINO NEL 75° DELLA MORTE.

  

Il capitano Bruno Pasino è stato commemorato nel 75° anniversario della morte alla presenza delle autorità civili e militari nella chiesa parrocchiale di San Perpetuo a Solero. Alla S. Messa, officiata dal Vescovo Mons. Guido Gallese, erano presenti tutte le autorità civili della città capoluogo e della provincia, il presidente Gianfranco Baldi, il sindaco di Solero, Gianni Ercole, i gonfaloni della città di Alessandria, Solero, delle associazioni e le forze politiche.

Bruno Pasino nacque a Solero, in provincia di Alessandria, da una famiglia di modeste condizioni economiche. Il padre Vincenzo, macchinista delle ferrovie delle Stato, antifascista, venne licenziato per essersi rifiutato di aderire al sindacato fascista ed al P.N.F. Per sostenere la famiglia, composta dalla moglie e quattro figli, si dedicò all’agricoltura.

Le ristrettezze economiche nelle quali versava la famiglia non gli impedirono di compiere un ciclo di studi fino all’ultimo anno della facoltà di Scienze politiche all’Università di Torino. Nel 1940, fu chiamato a prestare servizio militare e dopo il corso alla Scuola allievi ufficiali di complemento di Bra venne nominato sottotenente di artiglieria ed assegnato al 25º Reggimento artiglieria della Divisione “Assietta”. Partecipò alle operazioni di guerra sul fronte occidentale e sul fronte Greco-albanese distinguendosi per le sue capacità carismatiche e per le spiccate doti di stratega militare.

Nel giugno del 1941 fu impiegato in qualità di istruttore alla scuola di Artiglieria da montagna con sede a Courgnè e, nel giugno del 1942, con il grado di tenente, fu assegnato, in qualità di istruttore, al Centro di Addestramento di Artiglieria costiera di Terracina (Latina), dove rimase fino all’8 settembre 1943.

In mancanza di ordini ed istruzioni ufficiali egli, che conosceva sia la lingua tedesca e sia l’inglese, entrò in conflitto con i tedeschi rifiutando di aderire alla neonata Repubblica Sociale Italiana.

Privo di munizioni per combattere contro la colonna di carri armati “Tigre”, che stavano arrivando per rinforzare le forze tedesche, sciolse il reparto e si diede alla macchia. In clandestinità, con mezzi di fortuna in 15 giorni raggiunse la famiglia a Solero, dove decise di iniziare la lotta clandestina. Assunto il comando di una piccola formazione, poi cresciuta fino a diventare la 3ª Brigata dell’VIII Divisione “Giustizia e Libertà”, partecipò attivamente alla guerra di Liberazione ottenendo una serie di brillanti successi contro le milizie nazifasciste nella valle del Tanaro.

Il 18 gennaio 1945, tornato a Solero per fare visita alla giovane moglie Rosa e ai due figli Vincenzo e Mario, tradito da una spia fu catturato dalle brigate nere e condotto nella loro caserma in via Cavour, ad Alessandria. Fu atrocemente torturato per alcuni giorni, senza tuttavia che i suoi aguzzini riuscissero a strappargli informazioni. Dopo le torture venne richiuso nelle carceri di piazza Goito.

Alle ore 14 del 30 gennaio 1945 fu prelevato dalle carceri mandamentali di piazza Goito e di nuovo riportato al comando delle Brigate Nere di via Cavour dove venne ancora selvaggiamente torturato. All’una di notte del 31 gennaio 1945, assieme ad altri tre partigiani, Giacomo Colonna, Osvaldo Caldano e Maurice Guichard fu condotto sulla strada che porta da Alessandria a Casalbagliano e a 700 metri dall’abitato, trucidato insieme ai compagni. Fu trovato riverso nella neve, crivellato di colpi molti dei quali alla testa.

Alla fine della guerra gli venne conferita la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria, l’Università di Torino gli conferì la laurea in Scienze Politiche “ad honorem”. Tre vie, una in Alessandria, una a Solero e una, quella in cui fu trucidato assieme ai suoi compagni, a Casalbagliano lo ricordano.

Il figlio Mario è Presidente della Federazione Provinciale di Alessandria dell’Istituto del Nastro Azzurro.