CARLO ALBERTO ISTITUISCE LE MEDAGLIE D’ORO E D’ARGENTO AL VALORE MILITARE – II parte

  

Incompresa dai contemporanei, deformata dalla tradizione velata dalla passione, la figura di Carlo Alberto trova ora tra gli storici imparziali una valutazione più serena.

Era Re a trentatré anni dopo essere stato già duramente provato nella vita. Bambino, sbalzato in Francia fuori dalla sua terra, aveva perduto il padre in esilio; era stato educato in collegi stranieri, lontano dagli affetti familiari; rientrato in Piemonte come erede presuntivo del trono aveva, nell’ardore della giovinezza e tra la consuetudine di alcuni compagni, sentito il fremito delle idee nuove che invano la restaurazione aveva tentato di soffocare; nel ’21, sedotto dal bel sogno di piena redenzione dell’Italia, si era lasciato vincere da un momento di generosa debolezza che aveva amaramente espiata nell’esilio fiorentino; combattente al Trocadero contro i costituzionali, aveva eloquentemente dimostrato la sua fedeltà alla causa legittimista; riconciliatosi con Carlo Felice, era vissuto alcuni anni in pensoso raccoglimento fissandosi già nella mente un programma di lavoro fecondo per la prosperità della sua nazione. Quando iniziò il regno aveva egli convinzioni ben profonde e criteri già ben chiari e fermi di governo.

Egli considerava la monarchia assoluta come la migliore forma di governo che i popoli potessero desiderare per la loro felicità e la riteneva come un privilegio dato da Dio ai prìncipi. Con questo senso mistico della missione a cui la Provvidenza l’aveva chiamato egli non conosceva limiti alla sua autorità se non quelli della sua coscienza e della sua religione. Dio prescriveva ai popoli la più grande sottomissione ai loro governanti: i Re erano i ministri di Dio per gli affari temporali ed avevano la responsabilità del male che avrebbero potuto impedire: s’imponeva quindi a loro costanza nelle opinioni religiose e politiche, severità nell’impedire i dissidi interni e nel prevenire le rivoluzioni, giustizia nell’accordare favori a chi ne era degno. Essi poi non dovevano turbare il paese nè con radicali mutamenti né con frequenti concessioni.

A queste sue convinzioni ben radicate nel suo animo ispirò i suoi atti iniziali. La dolorosa esperienza del ‘21 gli aveva fatto comprendere che la storia non procede a salti e che la conquista di un ideale si ottiene attraverso a laboriose fatiche e ad una ponderata preparazione. Sovrano assoluto ma illuminato, apprezzò i progressi dei tempi e li assecondò ma a passi lenti e prudenti. Fu perciò inviso ai reazionari che lo tacciarono, per alcune concessioni, di liberale e fu sospetto ai liberali che non potendolo trascinare fin dove avrebbero voluto, lo accusarono di essere reazionario.

Governò, fin dai primi atti di politica interna, con grande saggezza ed energia. Fedele ai suoi convincimenti, non fece mutazioni radicali alle istituzioni largite dai suoi predecessori ma le migliorò svecchiando, rinnovando, adattando ai tempi. Dall’albero annoso estirpò le frondi secche: soppresse quindi usi feudali, tolse privilegi inveterati, abolì abusi.

Sotto la sua vigilanza personale in tutti i vari organismi dello stato ove portò ovunque lo spirito novatore e febbrile attività, ebbero poco a poco i commerci novello impulso, la coltura e le arti validissimo appoggio, la giustizia nuovi codici, i lavori pubblici maggiore sviluppo a sollievo dei disoccupati.

Gelosissimo dell’autorità e del prestigio dello stato, Carlo Alberto ne tutelò il massimo rispetto dimostrandosi inflessibile contro chi, turbando l’ordine interno, insediava e comprometteva il suo vasto programma di ricostruzione e di consolidamento dello stato.

Volle egli insomma, pur mantenendo le solide basi antiche, creare uno stato moderno, autoritario, disciplinato, operoso. Ma soprattutto lo volle forte. E perché fosse tale curò specialmente l’esercito.

Godeva il Piemonte presso gli altri stati Italiani grande prestigio per le sue gloriose tradizioni militari. Il suo popolo aveva fama di essere guerriero, tenace, disciplinato, resistente alle più dure prove, affezionato e devoto alla sua dinastia. Bravura militare e virtù civili costituivano la più solida garanzia non solo per l’avvenire della regione ma di tutta l’Italia. Carlo Alberto vedeva nell’esercito non solo un baluardo inespugnabile contro le ingordigie e le insidie altrui ma anche lo strumento necessario per i suoi fini lungimiranti.

Il problema militare era strettamente collegato alla politica estera ed alle possibilità finanziarie.

Il momento politico era sempre delicato ed imponeva preparativi militari che gravano sul bilancio già stremato da disavanzi precedenti. Persisteva più che mai il pericolo di una guerra. Sul Piemonte puntava sempre la propaganda audace dei fuorusciti che vantavano l’appoggio francese. Carlo Alberto pensando alla difesa della sua terra sapeva di difendere il più forte baluardo dell’Italia. Egli presentiva l’importanza che il Piemonte avrebbe avuto nella nuova storia dell’Italia. Anche Mazzini considerava il Piemonte come l’anello più importante della penisola. Pensando ad ingrandirlo e volgendo gli sguardi cupi verso la Lombardia, Carlo Alberto non era mosso da semplice ambizione dinastica ma dalla speranza intima di poter un giorno più facilmente erigersi campione dell’Indipendenza nazionale.

Ossessionato dalla paura che, travolto il Piemonte nelle turbine della rivoluzione, tutta Italia sarebbe stata preda della demagogia che vi avrebbe ristaurato la repubblica e seminato il disordine, riponeva nell’esercito tutte le sue speranze di salvezza. Era convinto che in una guerra di difesa lo spirito guerriero della gente subalpina si sarebbe risvegliato e che tutti rispondendo con slancio all’appello avrebbero rinnovato sulle Alpi le gesta antiche.

Feticista del legittimismo, Carlo Alberto considerava Luigi Filippo come usurpatore: a lui non perdonava  di avere sbalzato dal trono quei Borboni ai quali era avvinto da legami di gratitudine. Luigi XVIII difatti lo aveva accolto festosamente dopo il Trocadero e si era efficacemente adoperato in favore suo presso Carlo Felice.

Giudicava poi il governo francese come infame perché nato dalla rivoluzione. Le tradizioni della diplomazia sarda lo spingevano a destreggiarsi abilmente tra la Francia e l’Austria per conservare, in caso di conflitto fra loro, libertà d’azione ma la sua ripugnanza verso Luigi Filippo ed il subdolo suo governo lo consigliarono a piegare verso l’Austria, campione dell’assolutismo e guardiana dell’ordine. Ma, poiché era spinto non da simpatia ma da temporanea convenienza, non si gettò nelle sue braccia. Trattò con essa fieramente da pari a pari, e fece patti ben chiari mettendo in valore la sua amicizia ed alleanza.

Scriveva difatti, a nome di Carlo Alberto, il Ministro degli esteri, il La Tour, al Conte di Pralormo, ministro sardo a Vienna, iI 2 giugno 1831: “ Le Roi sent surtout le prix d’une union intime avec la Cour Imperiae et il est decidé à la cultiver avec le plus grand soin, mais l’Autriche a du sentir  aussi de son coté l’avantage immense que peut lui offrir en cas de guerre avec la France l’alliance d’un souverain jeune et vaillant qui se mettrait à la tete d’un armée de 60.000 hommes pleins d’ enthousiasme pour son Roi, et brulant de retablir son ancienne reputation”[1].

Avido di gloria militare, Carlo Alberto vagheggiò di mettersi alla testa dei due eserciti riuniti, qualora si fosse dovuto scendere in campo. Difatti nello stesso dispaccio del La Tour si legge: “”S.M. desiderait naturellement d’etre à la tete des deux armées réunies et l’Empereur ferait une chose qui lui serait extrèmement agréable en lui confiant suprème de ses troupes en Italie et en destinant auprès de son Auguste Personne un officier général pour l’aider de ses lumières et de son expérience” [2].

Un mese dopo, il 9 luglio, il conte Pralormo annunziava che il voto di Carlo Alberto era esaudito. La convenzione militare tra Piemonte ed Austria fu stretta il 23 luglio 1831. Carlo Alberto si impegnava di mettere sotto le armi 37 mila uomini e l’Austria 65 mila, nel caso che la Francia aggredisse o si opponesse ad un intervento austriaco in Piemonte invocato dal Re Carlo Alberto contro moti interni od incursioni di fuorusciti. Era un patto di sicurezza pel Piemonte che nello stesso tempo lusingava l’ambizione di Carlo Alberto a cui era concesso il supremo comando delle truppe alleate [3].

Ad esso si collega uno dei primi atti dell’amministrazione militare di Carlo Alberto col quale, nell’agosto, era soppressa la carica di ispettore generale dell’esercito coperta allora dal generale Paolucci al quale sarebbe spettato, in caso di guerra, il comando supremo.

Nel primo semestre di regno Carlo Alberto intensificò i preparativi militari ed iniziò riforme parziali nelle varie armi e nella amministrazione. Si accelerarono anzitutto i lavori di difesa sulle Alpi. Armati i forti di Exilles, di Esseillon e di Fenestrelle, si iniziarono con alacrità i lavori per i forti di Bard e di Ventimiglia, ed in altre vallate opere di campagna.

Carlo Alberto riformò poi l’artiglieria, diede nuove disposizioni per la cavalleria; diede poi alla fanteria un nuovo ordinamento colla creazione delle brigate stabili che servissero di collegamento tra le brigate esistenti e le divisioni che dovevano formarsi in tempo di guerra e dispose che le reclute invece di servire quattro mesi a turno per ogni contingente avessero due anni continui di istruzione.

Il colonnello Martini, uno dei delegati sardi per la convenzione militare coll’Austria, nell’aprile del ‘32, ad esplicite domande dell’Imperatore d’Austria, del Metternich e del presidente del Consiglio aulico di guerra sulla composizione dell’esercito piemontese sullo spirito militare, ne vanto l’organizzazione, lodando particolarmente l’artiglieria le batterie volanti che avevano fatto in poco tempo prodigi d’istruzione e di disciplina e ne esaltò poi lo spirito esprimendo la convinzione che se l’occasione si presentasse, l’esercito del Piemonte non solo avrebbe fatto del suo dovere ma l’avrebbe compiuto in modo brillante e glorioso [4].

Il San Martino d’Agliè, ministro della guerra, giudicato da Carlo Alberto pigro e mediocre, fu sostituito nell’aprile del 1832 da Emanuele Pes di Villamarina che legò il suo nome ad una nuova organizzazione militare di cui le esplicite direttive furono date da Carlo Alberto.

La forza dell’esercito doveva essere proporzionata a quella degli stati confinanti in modo da far pesare in qualsiasi eventualità l’alleanza piemontese, ma l’esercito doveva essere allestito entro i limiti dei mezzi consentiti dalle finanze ed in modo che non fossero sottratte troppe braccia all’agricoltura ed al commercio. Fu l’esercito diviso in due categorie: quella dei soldati stanziali che dovevano prestar servizio per otto anni continui prima di essere congedati definitivamente e quella dei soldati temporali che dovevano servire solo quattordici mesi ma per sedici anni potevano, in certi casi, essere richiamati sotto le armi.

Quando, dopo lungo periodo di pace, scoccò l’ora solenne della prova, l’esercito piemontese che era stato allestito per marciare a fianco di un altro e non per sostenere, quasi solo, una lotta impari, non diede i frutti sperati, ma in quella prima campagna d’indipendenza brillarono, in mille prove, il valore, la resistenza e la disciplina a cui furono educati soldati ed ufficiali da Carlo Alberto e dal Villamarina.

Nel ’46 il Mortier, legato francese a Torino, notava al Guizot che il Villamarina, animato da un grande sentimento di onore nazionale e da una grande fiducia nell’avvenire del Piemonte, cercava

tutti i mezzi per sostenere e sviluppare lo spirito militare negli ufficiali e nei soldati « Egli — scriveva — si studia di eccitare l’emulazione del soldato, di elevare il suo morale, di ispirare in lui devozione ed attaccamento al Sovrano e pensa che è sviluppando lo spirito militare negli stati sardi che si perverrà a garantire questa piccola monarchia dai due colossi fra i quali si trova serrata » [5].

E° appunto a questo nobile programma di elevazione morale dell’esercito che si collega una delle più belle istituzioni di Carlo Alberto, il ristabilimento cioè delle medaglie d’oro e d’argento al valor miliare, promosso cento anni fa col regio viglietto del 26 marzo 1833.

[1]Archivio di Stato di Torino. Registro segreteria ministero degli esteri. Ministri Austria.

[2]Questa parte del dispaccio fu edita dal Lemmi “Politica estera di Carlo Alberto nei suo primi mesi di regno” Le Monnier. Firenze 1928, pag. 62, nota I.

[3]Vedi i documenti relativi in Luzio: “Gli inizi del regno di Carlo Alberto” in: “Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino”. Bocca. Torino, 1933. Serie II, tomo LXVI.

[4]Dispaccio Pralormo a La Tour, 16 aprile 1832. in Lemmi, op. citata, pag. 76.

[5]WEIML: “ Il Piemonte nella primavera del 1846 nei rapporti del ministro francese a Torino” in “Rassegna storica del Risorgimento”, III, 1924, n. 631.