CARLO ALBERTO ISTITUISCE LE MEDAGLIE D’ORO E D’ARGENTO AL VALORE MILITARE – I parte

  

(26 Marzo 1833)

Prof. Adolfo Colombo

Il 17 aprile 1831, due ore dopo la morte di Re Carlo Felice, il conte di Revel, governatore di Torino, rievocava con fierezza militare ai soldati che prestavano giuramento al novello Re le gesta del Trocadero in cui Carlo Alberto si era coperto di gloria; il giorno dopo, il generale Faverges, governatore di Cuneo, in un proclama al popolo, auspicava che Carlo Alberto nel difendere i propri diritti avrebbe mostrato lo stesso valore guerriero col quale un giorno aveva saputo tutelare gli altrui.

I due vecchi e devoti servitori dei Savoia, l’uno dei quali aveva strenuamente combattuto sotto gli ordini di Vittorio Amedeo III nella guerra sulle Alpi, l’altro era stato compagno al principe di Carignano sotto il Trocadero, intuivano che nelle gloriose tradizioni militari sabaude era riposta la futura grandezza della nazione.

Attraverso i tempi, il Piemonte per la bravura militare del suo piccolo esercito non si era mai lasciato assorbire dalle grandi potenze che ad occidente e ad oriente lo serravano insidiose e prepotenti e sempre strenuamente aveva difeso e quasi sempre conservato la propria indipendenza.

L’aureola della gloria militare acquistata a San Quintino aveva spinto Emanuele Filiberto a ricostruire ed a solidificare la sua terra che considerava come bastione d’Italia; erede delle virtù guerriere del padre, Carlo Emanuele I aveva lungamente lottato ora contro Francia ora contro Spagna per dare al suo Piemonte più largo respiro; e Vittorio Amedeo II, dopo aver coraggiosamente tenuto testa alle prepotenze francesi, aveva convertito in regia la corona ducale.

Cresciuti così di potenza e di dignità, i Savoia avevano cominciato a poco a poco a volgere lo sguardo più lontano, oltre i confini del loro stato. Al ciclone rivoluzionario Vittorio Amedeo III aveva opposto la fiera resistenza delle sue truppe: quella guerra durata quattro anni rivelò nel soldato piemontese le più fulgide virtù militari: fedeltà al Re, resistenza tenace alle fatiche, sprezzo nei cimenti del pericolo e della vita. Era rifulso al valore in episodi di epica grandezza: la difesa di Saorgio che aveva fruttato all’oscuro sergente Beniconi la prima medaglia d’oro al valor militare istituita poco prima da Vittorio Amedeo III, il sacrificio di Del Carretto e di altri prodi a Cosseria, l’impeto audace dei Dragoni del Re al Bricchetto premiato a Carmagnola dal Duca d’Aosta con due medaglie d’oro.

Sotto la dominazione francese, i piemontesi non avevano smentita la fama della loro bravura riconosciuta dal Melas e dallo stesso Bonaparte; e sotto le bandiere imperiali ben cinquemila Italiani in Spagna, in Germania, in Russia avevano compiuto mirabili prodigi di valore.

Si era così rinvigorito nella gioventù lo spirito militare e si era ridestata la coscienza nazionale. Nell’esercito delle armi si era sentita più pungente la vergogna della servitù straniera e più vivo il desiderio dell’indipendenza nazionale. Santorre di Santarosa nel partire per la campagna di Grenoble, nel 1915, elogiando la grande perizia militare di un commilitone, il Pacchiarotti, si era così sfogato: “ Centomila Italiani simili a quel giovane sprezzante della morte sveglierebbero l’Italia dal giogo degli stranieri”. E nella vigilia del ‘21 nelle sue “ Speranze degli Italiani” aveva lanciato un programma che preludeva all’idea giobertina del primato: “ l’Italia – scriveva – armata delle sue gloriose memorie, raccolga le sue forze divise e, scoccata l’occasione, cacci lo straniero e si ordini a libertà”.

Lo stesso Vittorio Emanuele I, smanioso di vedere la sua terra sgombra dagli Austriaci, aveva ricostruito l’esercito restaurando l’ordinamento antico: aveva perciò rimesso in vigore le medaglie d’oro e d’argento al valore che da Napoleone I erano state sostituite nel 1802 e nel 1805 alla Legione d’onore ed alla Corona di ferro, ma per scolpire nel tempo il fausto ricordo della restaurazione sabauda e per “ promuovere nell’animo degli individui generosi elementi delle più robuste virtù” istituiva l’Ordine Militare di Savoia destinato “principalmente ed esclusivamente alla ricompensa del merito e del valore guerriero”.

I moti del ‘21, rivoluzionari nei mezzi ma nobili nel fine tendente ad attrarre il Re ad assolvere la missione italiana assegnata dalla Provvidenza ai Savoia, avevano dimostrato quanto fosse diffuso anche nell’esercito il sentimento che l’Italia si liberasse dei molesti tutori. Sotto Carlo Felice, l’esercito, epurato dagli elementi che si erano compromessi, aveva mantenuto le tradizionali virtù di disciplina e di fedeltà: l’impresa di Tripoli, gloriosissima, aveva offerto l’occasione di tenere alto il prestigio del valor militare mentre in Spagna ed in Grecia esuli del ’21 avevano onorato il nome italiano combattendo da prodi per la causa della libertà.

L’ultimo anno di regno di Carlo Felice era stato turbato da avvenimenti che avevano messo in grave pericolo la pace europea. Le giornate di luglio del 1830 travolgendo Carlo X avevano portato sul trono di Francia Luigi Filippo. Al trono legittimista dei Borboni era successo quello dell’ Orléans, d’origini rivoluzionarie, di tendenze demagogiche. Grande lo spavento nei governi assoluti; vivissimo l’allarme in Piemonte. Bruciava ancora il ricordo della guerra di propaganda scatenata dalla Francia rivoluzionaria che aveva sbalzato i Savoia in esilio e tolto al paese la sua indipendenza. Sul Piemonte incombeva ora lo stesso pericolo. La Francia di Luigi Filippo era avvelenata dall’intemperanza della stampa e dei partiti politici tendenti a conquiste sempre maggiori. Al temuto contagio si aggiungeva l’agitarsi dei fuorusciti agglomerati sui confini della Savoia e del Nizzardo cospiranti per trapiantare in Piemonte il nuovo regime, in stretto accordo col Comitato direttore di Parigi ed in sospetta connivenza con le autorità francesi. Un movimento rivoluzionario in Piemonte, un’aggressione francese avrebbero provocato il temuto intervento austriaco.

Di fronte a tale pericolo, Carlo Felice tentava invano una qualificazione europea e respinte, per fierezza, proposte austriache di alleanza, aveva provveduto alla difesa del paese con energia e con prontezza.

Nelle sedute, dall’agosto 1830 in poi, di un congresso militare permanente, composto dai ministri degli esteri e della guerra, l’ispettore generale dell’esercito, e, talvolta, da qualche esperto, si era deliberato, per ogni eventualità, un programma di provvedimenti militari: rinforzi di tutte le truppe alle frontiere, aumento di soldati e di cavalli, rifornimento di munizioni nei forti, preparativi per una pronta chiamata di contingenti, organizzazione di tre colonne mobili, disposizioni in caso di sommossa a Torino [1] .

In tale attività militare e fra nuove nubi sull’orizzonte, rivoluzioni in Belgio, in Polonia e negli stati dell’Italia centrale, tentativo di invasione della Savoia, congiura dei “ Cavalieri della libertà”, era tramontato il regno di Carlo Felice. Moriva con esso il vecchio Piemonte: spuntavano, con l’avvento di Carlo Alberto, gli albori del nuovo, avanguardia delle speranze italiane nella redenzione nazionale.

[1]I verbali delle sedute si trovano nell’Archivio di Stato di Torino, sezione 1^ “Carte politiche” cartella 20.