Regno delle Due Sicilie

  

La serie delle decorazioni militari di questa parte d’Italia è delle più notevoli e delle più degne di studio, perché, come quella del Regno di Sardegna, è delle più organiche e senza interruzioni, non avendo il regno subito incorporazioni, come fu per la Lombardia ad esempio, ma soltanto cambiamenti di dinastie. Si può pensare che diverso sarebbe stato il peso del Regno delle Due Sicilie nel giuoco della politica europea, se Carlo III di Borbone non fosse passato nel 1759 dal trono di Napoli a quello di Spagna e se egli fosse stato assecondato da Ferdinando IV e dagli altri successori nel grandioso lavoro di resurrezione militare, che ebbe per inizio la battaglia di Velletri dell’11 agosto 1744 dove gli Austriaci comandati dal principe di Lobkowitz toccarono una clamorosa sconfitta e andò fallito il loro piano di riconquista della Sicilia. Indubbiamente Carlo III costituì in Italia un centro anti-austriaco che avrebbe potuto essere più rafforzato a vantaggio della sua famiglia. Nelle seconda metà del secolo XVIII l’Italia ebbe, quasi in ogni stato, fremiti e pro- messe di risveglio con aliti vivificatori dati da principi e da ministri illuminati, sia nel campo scientifico e letterario, come in quello sociale ed economico; ma continuava però a rimanere assopita dal punto di vista dello spirito militare. Una maggiore maturità di sviluppi e di promesse sembrava arridere anche sotto questo riguardo al Regno delle Due Sicilie, dove il progresso filosofico era fiancheggiato da un rigoglioso progresso nel campo militare. Si potrebbe dimostrare quali frutti Pasquale Paoli abbia ricavato dal suo soggiorno nell’Italia meridionale, e quanti ne abbia a sua volta trasmesso a Napoleone Bonaparte; come a sua volta il Galuppi e i pensatori napoletani concorsero a produrre il movimento filosofico che determinò la rivoluzione francese, la quale non avrebbe contribuito, proprio essa, a risospingere i principi nella via della reazione, se non fosse degenerata nel suo selezionismo sanguinoso.

L’esercito delle Due Sicilie, ricostituito il Regno nel 1735, ha una sua vita e un suo sviluppo graduale dal 1735 fino alla imposizione di Giuseppe Bonaparte; lo sviluppo continua sotto Murat e sotto la restaurazione borbonica, e continua anche dopo la conquista di Garibaldi sotto forma di tradizione e di insigne contributo portato al nuovo Regno d’Italia dalla eletta schiera di ufficiali che passarono a prestar servizio nell’esercito italiano, come il Pianell, il Cosenz, i due Mezzacapo, ecc. Orbene, anche le decorazioni militari documentano questo sviluppo e questa vita per lungo tempo indipendente. La loro prima caratteristica è certamente quella di una singolare bellezza. Ciò è dovuto in parte al diametro grande che i Borboni prescrissero per molte delle loro medaglie e delle loro decorazioni, e in parte alla ricchezza degli stemmi e delle croci reali, nonché alla fantasiosa libertà degli artisti che dallo Scheper, dal Mazzara e dal Russo all’Hamerani, al Perger, e via via fino al Morghen, ai due Costanza, al Rega, al Catenacci, ai due Arnaud, al Cariello, per arrivare al Laudicina, al Barone, allo Zaccarini, al Melazzo, ecc., si effusero nelle interpretazioni più solenni per celebrare i fasti storici e militari delle Due Sicilie. Un’altra caratteristica della medaglistica storica, e quindi anche di quella militare, è data dalla frequenza dei prospetti architettonici, come si vede ad esempio nella medaglia Castrense del 1751 nelle due coniate per la costruzione della reggia di Caserta, e in molte altre posteriori [1]. Né è poi da trascurare il ripetersi, sulle medaglie, di scene di guerra marittima e della veduta del Vesuvio, per la stessa ragione per cui nella medaglistica settentrionale ricorrono frequentemente le scene alpine, e ciò per la influenza della natura.

Le prime medaglie di carattere militare che noi troviamo nella serie delle Due Sicilie sono quelle di Carlo III per l’instaurazione, nel 1751, dell’arte o della disciplina castrense, seguite l’anno dopo dalle magnifiche medaglie coniate per la posa della prima pietra per la reggia di Caserta. Com’è noto, la prima di tali medaglie, coniata in soli tre esemplari (d’oro, d’argento e di bronzo) venne se- polta sotto la prima pietra della Reggia, così che non ne esistono oggi che le impronte. La seconda, del diametro di 83 millimetri e raffigurante la facciata della reggia di scorcio a sinistra, reca sul diritto una leggenda compendiata tutta in una sola parola: Hinc, come a significare che da quel maestoso palazzo, destinato ad essere, come fu e in parte tuttora è, un centro di mondiale importanza per l’educazione degli ufficiali e per l’arte militare, sarebbero usciti guerrieri illustri. E in verità, come già fu rilevato, la tradizione dell’esercito napoletano si riaffermò più volte con molto onore, sia nella larga partecipazione alle battaglie napoleoniche sotto Murat, sia nei decenni posteriori, conferendo ufficiali di primissimo ordine anche all’esercito del Regno d’Italia costituitosi con l’unificazione nazionale.

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E’ tuttavia ben naturale che nei segni d’onore di questo stato meridionale si ripercuota con maggiore evidenza la lotta fra l’unitarismo e l’anti-unitarismo, e si presentino allo studioso decorazioni che, disposte in serie cronologica, segnano ora il trionfo delle forze unitarie e di indipendenza (1815 con Murat, 1848 in Sicilia, 1860), ora quello delle forze opposte (1796, 1815 per il sopravvento su Murat, 1849 per la repressione del movimento siciliano, ecc.). E quando nel 1860-61 la lotta fra i due principi diventa serrata e senza quartiere per la vittoriosa impresa di Garibaldi e per il rapido accorrere dell’esercito nazionale a consolidare e ad estendere i frutti della spedizione dei Mille, allora il Re di Napoli fa rapidamente coniare medaglie e decorazioni per ognuno dei fatti d’arme a lui sfavorevoli (Palermo, Catania, Milazzo, Volturno), come se egli speri ad ogni volta, ricompensando lo sfortunato valore de’ suoi, di deprecare la fine del suo regno. Ma anch’egli, come altri sovrani spodestati, lasciando il trono consegna cavallerescamente ai difensori di Gaeta la medaglia 1860-61, e per parecchi anni certamente la fedeltà verso il Re deposto rimase viva in molti dei suoi ufficiali, alimentando in lui l’illusione di un partito anelante ad una restaurazione borbonica, anche più forte di quanto veramente non fosse. Per tal modo trassero più vigore i retrogradi, i malcontenti del nuovo regime unitario, fino a fortificare il brigantinaggio, donde la recrudescenza di esso nel primo decennio della unificazione e la triste pagina della rivolta di Palermo nel 1866. L’ex-Re di Napoli sperava che fino a quando rimaneva in vita il potere temporale del Papa permanesse qualche probabilità di rivincita in suo favore, ed è per questa ragione che molti ufficiali del disciolto esercito borbonico presero servizio dopo il 1861 nelle file dell’esercito pontificio, ed applicarono sul loro petto, accanto alle decorazioni borboniche, la Croce di Mentana e la vigorosa medaglia creata da Pio IX nel 1867 per premiare il coraggio e l’attaccamento delle sue truppe. Ma il 20 settembre del 1870 distrugge tutte le speranze e i decorati, lasciando la loro divisa ricadono nel grembo della nazione dove vengono rifusi attraverso quel lavorio arduo ed ininterrotto, attraverso quel travaglio spirituale di formazione degli Italiani, dal quale uscì l’Italia di Vittorio Veneto.

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La prima medaglia di carattere militare che noi troviamo nella serie delle Due Sicilie, ci riporta all’agitato periodo della prima coalizione degli stati italiani contro i Francesi nel 1796. A fianco dell’esercito austriaco combatterono quattro reggimenti di cavalleria, e ritornati questi nel loro stato dopo la pace particolare conchiusa il 5 giugno 1796 tra la Francia e il Regno di Napoli e di Sicilia, Ferdinando IV conferì agli ufficiali la bella e grande medaglia incisa dal Morgher (iniziali N. M.) e che è riprodotta per la prima nella tavola. Essa è d’argento massiccio, misura mm. 60 di diametro e porta il nastro di colore rosso-solferino. Nel diritto è il busto del Re Ferdinando IV, corazzato e con l’elmo in testa, con la chioma fluente, e nel rovescio, entro corona di palma, la leggenda: Fidei. Regiae. Domus. Potriae. Propugnatiori. Ob. Egregia Facta, e quindi nell’esergo la date (vedi tav. LIV).

Sembra non esserne stati coniati più di dieci esemplari e vien fatto di pensare quanto poco pratico fosse il portare una medaglia così pesante. Gli ufficiali inferiori ebbero una medaglia più piccola (mm. 38), ma uguale alla precedente. Ma la coniazione della grossa medaglia, di intonazione così spiccatamente romana, non fu propizia a Ferdinando IV, perché i due anni che seguirono furono gravidi di avvenimenti a lui sfavorevoli, e culminarono il 23 gennaio 1799 con la presa di Napoli da parte dei Francesi e con la proclamazione della Repubblica Partenopea, rifugiandosi il Re nel Regno di Sicilia, imprendibile perché guardato dagli Inglesi. Tuttavia egli, mandando nel 1797 una spedizione di truppe napoletane in soccorso di Pio VI, s’era affrettato a sostenerne lo spirito militare con la istituzione di una medaglia al merito militare, la prima di questa natura che compaia nella medaglistica napoletana e che ebbe vicende curiose.

Infatti essa venne coniata in un numero così straordinario di esemplari, che, a detta del von Heyden, i Francesi ne rinvennero 30 mila pezzi nella fortezza di Gaeta quand’essi l’occuparono nel dicembre del 1798. Si capisce bene che i Francesi liberatori, come asportavano dall’Italia danari a sacchi, quadri, statue e monumenti, non esitassero un istante a fondere quelle 30 mila medaglie in parte d’oro e in parte d’argento, determinandone così in un baleno la rarità numismatica. Ma l’esemplare posseduto dal Museo del Risorgimento di Milano è ancor più raro e forse unico, sconosciuto come esso è al Ricciardi, e non studiato neppure dal von Heyden, che pure l’ebbe nella sua collezione, tanto che lo riprodusse senza sospettare che il pezzo fosse di tanta rarità. Confrontando infatti la riproduzione di tale esemplare con quello descritto dal Ricciardi al n. 56 del suo catalogo si osservano queste tre differenze che permettono di concludere trattarsi di conî diversi:

  1. a) nell’esemplare del Museo l’appiccagnolo è applicato sull’orlo in senso normale al diametro e l’anello costituito da un anello duplice è in senso contrario al diametro stesso, mentre in quello del Ricciardi l’appiccagnolo è in senso contrario al diametro;
  2. b) l’ultima asta della data in numeri romani nell’esergo (MDCCXCVII) è nettamente più alta dell’asta precedente di un buon millimetro, ma sono poggiate entrambe le aste sulla stessa linea ; invece nell’esemplare Ricciardi si nota che le due aste non sono sulla stessa linea e la seconda sopravanza la precedente di ben poco;
  3. c) nell’esemplare del Museo di Milano le diverse parole della leggenda del verso sono fra loro più distanti che non nell’esemplare Ricciardi.

Anche in questa medaglia al merito militare, che ha quasi il carattere di medaglia al valore, la testa del re è galeata, e loricato è il busto, ma la faccia ha perduto la fierezza della medaglia precedente per acquistare un sorriso piuttosto ambiguo.

Ma c’è un’altra constatazione da fare, ed è che questo esemplare di Milano conserva una leggera, ma visibile traccia di doratura. Questo, che apparirebbe un particolare insignificante, è invece un indice della lunga vicenda che la medaglia attraversò, perché essa venne riconiata nel 1799, cambiando nel verso il millesimo, come medaglia per le milizie del cardinale Ruffo, poi venne utilizzata ancora, dopo la capitolazione della Repubblica Partenopea (23 giugno 1799), come medaglia al merito, e durò sino alla istituzione dell’Ordine di S. Ferdinando, il cui decreto è del 1° aprile 1800 (vedi tavola LIV).

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Indubbiamente l’Ordine di S. Ferdinando e del Merito ha carattere spiccatamente militare, essendo esso stato fondato dopo la caduta della Repubblica Partenopea con lo scopo di stringere intorno al trono la nobiltà e l’esercito. Il Ricciardi pubblica la riproduzione delle insegne, consistenti in una croce entro raggera d’argento, formata con sei gigli borbonici, e in una placca per i cavalieri di gran croce, i quali non potevano superare il numero di 24, avevano diritto al titolo di eccellenza e potevano stare innanzi al re a capo coperto, come la prima categoria dei grandi di Spagna. La seconda classe comprendeva un illimitato numero di cavalieri-commendatori, ai quali, con decreto 23 luglio 1810 datato da Palermo dov’erasi rifugiato Ferdinando IV dopo l’occupazione del Regno di Napoli, fu aggiunta una terza categoria di cavalieri della piccola croce per gli ufficiali subalterni e soldati. Il carattere militare di tale medaglia è anche provato dal portare essa, a tergo del S. Ferdinando Re di Castiglia con la spada, la scritta: Fidei et merito.

Non passò senza coniazione di una speciale medaglia a parziale carattere militare, forse data per ricordo alle truppe napoletane accorse alla occupazione di Roma nel 1800, quella che essi il 22 giugno consegnarono ai cardinali Albani, Roverbella e Della Somaglia costituiti in commissione di governo dal nuovo papa Pio VII, il quale entrava solennemente in Roma il 3 luglio. Per tale occasione vennero coniate due medaglie recanti nel verso i gigli borbonici col nome del Re Ferdinando IV e nei retti le leggende Auxilium de Sancto, e Religione DefensaRoma [2].

Ma una vera e propria decorazione militare veniva decretata da Ferdinando IV nel 1806 per premiare le truppe che per tre lunghi mesi avevano sostenuto l’assedio di Gaeta da parte di Massena, al quale la fortezza si arrese il 18 luglio. L’avvenimento fu celebrato anche da Napoleone I, ma con una medaglia-ricordo, mentre Ferdinando IV istituì una decorazione Merito et fidel. Cajetatae defensorum, (al merito e alla fedeltà dei difensori di Gaeta) purtroppo mancante nella serie di Milano, ma riprodotta dal Ricciardi.

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La breve dominazione del Re Giuseppe Bonaparte (1806-maggio 1808) fu caratterizzata dalla istituzione, avvenuta il 24 febbraio 1808, dell’Ordine delle Due Sicilie, per rimunerare specialmente coloro che avevano contribuito alla conquista del paese togliendolo a Ferdinando IV. Essa segna un momento assai importante, dal punto di vista numismatico, nella storia delle decorazioni militari del Regno delle Due Sicilie, perché ricompare per la prima volta nel retto la Trinacria, stemma della Sicilia, la stessa Trinacria che troveremo applicata sul nastro della medaglia dei Mille. E’ un Ordine che rispecchia in modo assai evidente le alterne vicende del Regno delle Due Sicilie. Istituito, come s’è detto, da Giuseppe Napoleone, venne modificato nel 1808 da Gioacchino Murat, che mise il suo nome nel cerchio di smalto azzurro del retto ed aggiunse alle tre categorie dei dignitari, commendatori e cavalieri la categoria dei Gran Collana, con soli 20 posti. Ma quando Ferdinando IV rioccupò il suo trono, modificò ancora le insegne, sostituendo all’aquila sottostante alla corona il giglio borbonico, che pure mise al posto della Trinacria, mettendo anche, com’era naturale, il suo nome al posto di quello di Murat e nel rovescio applicando la leggenda molto presuntuosa: Felicitate Restituta. Evidentemente questo Ordine non perdette mai il suo parziale carattere di decorazione militare, perché ne furono fregiati coloro che aiutarono il Re Giuseppe Bonaparte e Murat a reggersi sul trono, come Ferdinando IV lo conferì a sua volta a coloro che l’aiutarono a togliere il regno ai due precedenti sovrani.

Gioacchino Murat salì al trono di Napoli il 1° agosto 1808. Gli araldi d’armi lo proclamarono solennemente Re di Napoli e di Sicilia, inaugurando le cerimonie che si susseguirono per più giorni con molti Te Deum. Di Te Deum ne sono stati cantati in ogni tempo, in ogni tempio e per le più opposte ragioni, molte volte per spontaneo e sincero impulso del popolo, molte volte perché comandati.

Ma in verità, chi avrebbe potuto raccapezzarsi in quegli anni turbinosi, fra tante repubbliche pullulate come i funghi e poi cadute rapidamente per lasciare il posto alle vecchie dominazioni restaurate, fra le diverse aristocrazie abbattute e vituperate, e poi reintegrate, e poi di nuovo detronizzate, e fra tanti arresti e deportazioni di patrioti repubblicani prima, di reazionari poi, fra tanti alti e bassi, e disorientamenti prodotti da una febbre di rinnovamento dovuta in gran parte alla lotta delle potenze che miravano ad assicurarsi il possesso o la supremazia nel Bel Paese? E così gli uomini si adattavano ai Te Dem più contrari. Gioacchino Murat, pochi mesi dopo aver occupato il trono, e precisamente il 26 marzo 1809 distribuiva solennemente le bandiere alle 14 legioni provinciali.

La istituzione di codeste legioni era ispirata ad un criterio che noi possiamo giudicare moderno e fascista. Il Re si preoccupava di conservare le istituzioni del paese e di non lasciarlo impoverire a vantaggio della Francia. D’altra parte, la permanenza di fatto del Regno di Sicilia dove Ferdinando IV si era rifugiato, benché il Murat fosse stato proclamato Re delle Due Sicilie, consigliava giustamente di mantenere con polso fermo l’ordine nel Regno di Napoli. Vennero così create 14 legioni provinciali a fianco dell’esercito permanente e solennemente ad esse distribuite le bandiere, recanti sull’asta le aquile. Ma il Re volle pure premiare coloro che si erano adoperati per la organizzazione di questa milizia interna, e fece pertanto coniare una medaglia d’argento, di bronzo dorato e di bronzo, recante nei diritto la sua testa e nel rovescio le parole Sicurezza interna (vedi tavole LIV e LV).

Fra le molte medaglie fatte coniare da Murat durante il suo sessennale governo se ne trova una sola per merito militare, quella del 1814 (Ricciardi n. 96), recante nel verso le parole: Onore al merito, seguita nel novembre di quello stesso anno dalla decorazione Onore e fedeltà. Questa però aveva carattere militare quando era conferita a ufficiali o soldati della guardia di interna sicurezza di Napoli come ricompensa della loro fedeltà e devozione, mentre perdeva tale carattere quando era conferita a tutti i funzionari del regno che l’avevano sollecitata. In ciò è certamente una riprova della ormai debole situazione politica di Murat e dell’avvicinarsi della sua caduta. Infatti il  2 maggio 1815 gli Austriaci comandati dal generale Nugent occupavano Roma e per Albano avanzandosi verso il Regno di Napoli prendevano Aquila e Tolentino.

Qui i Napoletani, rinforzati dalla divisione Lechi e da parte della brigata Carascosa, attaccavano l’avanguardia austriaca e, dopo un’aspra giornata di combattimento, erano completamente battuti e messi in rotta. Così proseguiva vittoriosa la marcia degli Austriaci che il 23 maggio ottenevano la resa delle fortezze. Manco a dirlo, gli Austriaci si occuparono tosto di celebrare con medaglie commemorative quei fatti d’arme, e lo fecero con medaglie piccole, quasi neglette, divenute oggi rare e che formano uno straordinario contrasto con la grossa e vigorosa medaglia d’argento celebrante la fucilazione di Murat al Pizzo, fatta coniare da Ferdinando IV.

La collezione del Musco di Milano possiede due esemplari di questa medaglia, entrambi con appiccagnolo e col nastro originale, che è di un rosso piuttosto cupo. E’ un pezzo di grande rarità. Infatti il von Heyden non la menziona neppure e l’esemplare riprodotto dal Ricciardi è privo di appiccagnolo. E’ noto che Ferdinando IV di Borbone decretò questa medaglia per i magistrati municipali di Pizzo, a ricordare perpetuamente la benemerenza della città per la cattura di Gioacchino Murat. Non poté dunque che essere coniata in ristrettissimo numero di esemplari ed era già data per rara trent’anni fa dal Camozzi (vedi tav. LV). Il conio del retto, riproducente la testa del re, con la chioma prolissa pendente dalla corona, venne utilizzato anche per alcune medaglie di carattere commemorativo coniate nel 1816 e ne 1818, come appare anche dal Ricciardi.

 

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Ferdinando IV, restaurato sul trono di Napoli, provvide tosto a rinnovare gli statuti dell’Ordine delle Due Sicilie modificandone anche le insegne e conferendolo ai benemeriti del suo ritorno (vedi tav. LV). Esso rimase in vigore fino al 1819, quando fu soppresso e coloro che ne erano fregiati poterono ottenere in cambio l’Ordine di S. Giorgio della Riunione. I due esemplari posseduti dalla collezione milanese (vedi tav. LV) differiscono per il fatto che il secondo è fuso su conio diverso dal primo, come lo prova il fatto che il piede sinistro del cavaliere non è visibile nella seconda, mentre lo è nella prima. Su queste differenze il Ricciardi non si fermò. Rappresentano la VI e VII classe dell’Ordine, cioè i decorati di medaglia anziché di insegne, le quali erano riservate alle prime cinque classi. La medaglia contraddistinta dalla parola Virtuti (VII classe) veniva conferita per condotta distinta in guerra (come la nostra Croce di guerra), o per un servizio militare di 40 anni con almeno due campagne (vedi tav. LV e LVI). Quella recante invece la parola Merito, in oro, era una vera e propria medaglia al valore. E’ poi notevole questa decorazione anche per il fatto che per la prima volta si constata che il retto ed il verso sono perfettamente eguali. Dai due esemplari posseduti dal Museo di Milano risulterebbe una certa diversità di colore nel nastro, ma esso è in entrambi affatto regolamentare; cioè azzurro orlato di giallo, e quello della seconda è divenuto quasi bianco per il lungo uso.

Il procelloso anno 1820 è ricordato dalla medaglia (d’argento dorato e d’argento) conferita nell’ottobre del 1820 dalla Giunta di governo di Palermo ai capi della insurrezione del 17 luglio. La medaglia non esiste nel museo di San Martino, o effettivamente il Ricciardi non riuscì a vederla? Il Camozzi ne denunciava ai suoi tempi la grande rarità. Fortunatamente se ne trova un ottimo esemplare nella raccolta milanese (vedi tav. LVI), anzi fior di conio addirittura. Il retto rappresenta santa Rosalia che tiene nella sinistra la bandiera dei cavalieri e nella destra una croce, che essa mostra a un’aquila coronata che prende la fuga. Nel verso è la leggenda: Il 17 luglio 1820 memorabile per la vittoria. Il nastro dovrebbe essere dai colori rosso, celeste e nero, gli stessi colori della coccarda costituzionale carbonara, ma nell’esemplare milanese il nero ha lasciato il posto a un turchino molto scuro. E ancora manca nel Ricciardi la brutta medaglia istituita da Ferdinando II nel dicembre 1834 per fedele servizio di 25 anni dei sottufficiali, soldati e marinai (vedi tav. LVI), nella quale il busto del Re in corazza fa uno strano contrasto col trofeo di bandiere e di cannoni che lo circonda.

Ma fata trahunt, ed ecco la rivoluzione siciliana del 1847-49, che nella sua alterna vicenda di fortuna, di resistenza all’assedio, di repressione definitiva, è qui documentata da una superba quanto rara serie di medaglie, ognuna delle quali richiama, sia pure per antitesi, gloriose pagine di storia (vedi tavole LVI e LVII). La prima è quella conferita da Ferdinando Il ai difensori della causa regia; la seconda col nastro tricolore e santa Rosalia additante lo scudo di Savoia raggiante nel cielo di Sicilia, è quella del Governo Provvisorio della Sicilia per i combattenti del 1848. Le parole del retto: Inizio del Risorgimento d’Italia, come lo scudo di Savoia nel verso, allusivo all’offerta del trono di Sicilia ad Amedeo di Savoia l’11 luglio, conferiscono a questa medaglia il valore di un auspicio commovente. Non meno significativa è la medaglia di Messina per i volontari palermitani che si prodigarono nella eroica resistenza all’assedio di Ferdinando II. Ma questo, ahimè, prevale e può l’anno dopo, 19 maggio 1849, celebrare la sua vittoria conferendo alle sue truppe la strana medaglia riproducente nel retto il giglio borbonico al centro del tracciato di fortificazione bastionato. Il rosso scarlatto del nastro, che dai tempi della medaglia di Ferdinando IV nel 1796 non era più ricomparso nelle medaglie borboniche se non in quella del Pizzo, sembra significare l’ebbrezza da parte del Re di poter far scorrere sangue italiano, ma accresce nel patrioti l’amore all’indipendenza. Prima che il tragico anno 1849 tramonti, il Re Ferdinando istituisce un nuovo distintivo, d’argento dorato, o d’argento con lo scudo solo dorato, o tutto in argento, o tutto in bronzo, per i militari del Filangieri che parteciparono alla lotta per riassoggettare la Sicilia. Ma il bombardamento del settembre 1849 contro Messina, se fece immolare molte vittime tra le file dei patriotti, procurò a Ferdinando Il il soprannome di « Re Bomba », con cui egli passò alla storia. Indebolì inoltre il governo del successore, che vide i Mille di Garibaldi conquistare in pochi mesi il suo regno. Bisogna tuttavia riconoscere a Francesco II il merito di aver cercato di tenere a sé avvinto l’esercito non lesinando nelle ricompense, e precisamente egli volle premiare la prima resistenza ai Mille (Sicilia occidentale, aprile-maggio 1860), la fedeltà della guarnigione di Catania, la eroica resistenza dei suoi ad Archi e Milazzo, la campagna del settembre ed ottobre a Trifrisco, Caiazzo, sul Garigliano, al Volturno, e finalmente la pur accanita resistenza opposta dall’esercito borbonico a Gaeta (vedi tavole LVII-LIX). Il tricolore però premeva alle porte, urgeva nei cuori, e trionfò con la medaglia decretata da Vittorio Emanuele II ai benemeriti della liberazione di Sicilia. Il gran Re rese subito cavalleresco omaggio a prodigi di valore compiuti dai Mille, approvando la medaglia d’argento che già dal giugno del 1860 il municipio di Palermo aveva istituita per i volontari di Garibaldi (vedi tav. LIX). Chi potrebbe numerare le contraffazioni che di questa storica medaglia corrono tuttora per il mondo? Nella coniazione originale ed autentica la leggenda sul lato anteriore: Ai prodi cui fu Duce Garibaldi incomincia e finisce a livello del nastro recante S. P. Q. P. e su  cui appoggia l’aquila, mentre nelle imitazioni le due ultime lettere della leggenda stanno al di sotto del nastro. Le contraffazioni si estendono poi anche al verso, alla Trinacria posta sul nastro, al nastro stesso.

Ma tutto ciò che avviene nell’ambito delle cose umane è umanamente spiegabile. Le contraffazioni della medaglia palermitana derivano essenzialmente, più che dalla cupidigia dei collezionisti, dall’arbitraria e posteriore aggregazione alle file dei Mille di molti garibaldini, che dei Mille non furono, così come fu arbitrariamente aumentato il loro numero. Molti, per verità, non intesero tentare un inganno alla storia, ma piuttosto esprimere o reprimere il ripianto amarissimo di non aver potuto essere della schiera gloriosa che, guidata da un Eroe unico nella storia, e favorita da uno straordinario concorso di circostanze – non ultime, certamente, l’abilità prodigiosa di Cavour, il valore e il fascino di un Re guerriero e galantuomo, e il frutto dell’apostolato ardente e continuo di un Esule sempre corrucciato verso l’Italia che si unificava monarchicamente – potè compiere in pochi mesi una delle imprese più grandi, che la storia moderna registri.

 

NOTA BIBLIOGRAFICA.

Si direbbe che l’interesse degli studiosi non sia mai stato finora stimolato che dagli Ordini Equestri, dalle insegne cavalleresche e dalle medaglie storiche o commemorative, forse perché sono di più larga diffusione e riguardano avvenimenti che interessano la collettività. Infatti le opere che narrano la storia degli Ordini cavallereschi e delle medaglie commemorative abbondano, e ne esce anzi ad ogni momento qualcuna che vorrebbe parere nuova, ma che ripete sostanzialmente le precedenti, senz’altro merito che di applicare i più recenti processi della tecnica tipografica alla riproduzione fac-similare delle decorazioni. Purtroppo il lavoro più ampio, anzi il solo veramente organico, e di capitale importanza certamente, di cui può disporre chi s’accinga sul serio allo studio delle decorazioni militari, è dovuto ad uno straniero, e precisamente al von Heyden, Gran ciambellano, a’ suoi tempi, del duca di Sassonia Meiningen e tenente colonnello a riposo. Egli pubblicò nel 1910 in Wiesbaden [3] un grosso volume sugli « Ehrenzeichen und Abzeichen », cioè sui segni d’onore e sui distintivi del regno d’Italia e degli ex-stati italiani presentando in sedici nitidissime tavole fototipiche le riproduzioni di oltre 200 pezzi. Convien dire che tre anni innanzi, nel 1897, lo stesso von Heyden aveva pubblicato « Ehrenzeichen Deutschlands und Oesterreich-Ungarns » [4], cioè una trattazione sugli Ordini e delle onorificenze della Germania e dell’Austria-Ungheria, con ampie notizie di carattere generale sui segni d’onore di tutti gli stati europei e con utilissima biografia.

Gli studiosi italiani non hanno creduto, né prima né dopo l’autore germanico, di affrontare il tema nella sua complessa vastità, essendosi due soli limitati a studiare le medaglie e le decorazioni militari di qualche stato in particolare, offrendo peraltro trattazioni di grande utilità. Così Arsenio Crespellani pubblicava quarant’anni or sono un esauriente volume sulle « Medaglie estensi ed austro-estensi » [5], come continuazione delle « Memorie estensi » e col corredo di documenti raccolti in parecchi archivi, ma con riproduzioni in zincotipografia non sufficientemente fedeli. Il Crespellani prende le mosse da Cesare ed Alfonso II d’Este (1598-1620) e fa passare in rassegna i singoli duchi, diffondendosi più largamente nello studio delle decorazioni e delle medaglie di Maria Beatrice Estense e di Ferdinando d’ Austria (1771-1814), di Francesco IV (1814-1846) e di Francesco V (1846-1859), ai quali ultimi è specialmente dovuta la istituzione di ricompense al valore e di medaglie militari. La medaglistica e i segni d’onore estensi hanno pure suscitato l’interesse del Cappelletti che nel 1904 vi ha dedicato un dotto lavoro, in parte tesoreggiando le ricerche del Crespellani [6]. Importanza non minore ha il volume di Eduardo Ricciardi: « Medaglie del regno delle Due Sicilie 1735-1861 », pubblicato in prima edizione nel 1910, in seconda e più ampia edizione nel 1930 con un’appendice sui « Distintivi d’onore e sugli Ordini cavallereschi delle Due Sicilie » [7] e corredato di oltre 500 riproduzioni assai buone.

E’ sostanzialmente il catalogo delle medaglie e delle decorazioni esposte nel museo di S. Martino in Napoli, compilato in ordine cronologico, cioè da Carlo di Borbone (1734) sino all’assedio di Gaeta del 1860-61, e comprende naturalmente anche la dominazione di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat. Vi manca però una classificazione differenziale fra medaglie commemorative e distintivi, fra decorazioni militari e civili e un cenno qualsiasi sulla importanza dei singoli pezzi. Così ad esempio la medaglia di Ferdinando IV per la fucilazione di Murat che è un pezzo ormai molto raro ed è valutato nei cataloghi a prezzi assai alti, è riprodotta sic et sinpliciter nella sua sede cronologica con le leggende del dritto e del rovescio.

All’infuori dei lavori ora ricordati, la bibliografia relativa alle decorazioni di carattere militare si confonde con quella delle storie « metalliche » (quella della Casa di Savoia è stata pubblicata a Torino nel 1828; quella del Veneto a Venezia nel 1856), o si diluisce nelle opere di carattere generale sulle medaglie patriottiche (si veda: Bianchi: «Le medaglie del terzo risorgimento italiano, 1748-1848 », Bologna, 1881; Romussi C.: « Garibaldi nelle medaglie del Musco del Risorgimento di Milano », 1904 e specialmente il famoso catalogo della collezione Camozzi). Un contributo molto notevole è dato dai cataloghi di grandi collezioni straniere, ad esempio da quello del Musée de l’Armée [8] compilato dallo Sculfort e che riguarda tutti gli stai d’Europa, ma che è singolarmente povero di pezzi per il regno d’Italia e per i cessati stati italiani. Il catalogo dello Sculfort è poi insufficiente dal punto di vista tipografico, perché le riproduzioni sono piccole, dai colori incerti e non sì prestano ai confronti tanto necessari in questo genere di studi.

Di non minore importanza sono per  lo studioso i cataloghi delle vendite all’asta di collezioni famose, e fra questi eccelle il catalogo della collezione del principe d’Essling, andata in vendita a Parigi nel 1927, all’hotel Drouot, luogo ormai di fama mondiale fra i collezionisti d’autografi e di cimeli storici [9]. E’ un catalogo di straordinario interesse, comprendente più di 3000 fra decorazioni, medaglie e distintivi d’onore, molti riferentisi all’Italia dell’epoca napoleonica e molti pure relativi ai diversi stati d’Italia. A questo bel catalogo il Coudier De Chaissagne premise alcune pagine brillanti e saporite sui collezionisti di cose napoleoniche e sulla figura di Napoleone I quale si proietta nella mente di coloro che si danno a raccoglierne i ricordi. Nelle 68 tavole in fototipia che completano il catalogo è riprodotto il meglio della collezione, purtroppo però senza la riproduzione né la indicazione dei colori dei nastri, elemento di grande importanza per le decorazioni di qualunque natura per ragioni ovvie, e al quale noi abbiamo dato invece in questo studio il maggior rilievo, perché i nastri sono spesso portati senza le decorazioni ed hanno la loro storia, il loro significato. Sotto questo punto di vista anche il von Heyden è insufficiente perché le decorazioni da lui riprodotte sono prive del nastro. Un altro catalogo d’asta che può esser citato a modello del genere, ma purtroppo assai povero di riproduzioni, è quello dell’asta della collezione Luigi Ratti, andata in vendita a Milano nel 1916: essa conteneva anche qualche decorazione, fra l’altro la placca di Gran dignitario della Corona di ferro, passata in proprietà del Museo del Risorgimento di Milano. Il catalogo dell’asta Ratti porta una smagliante prefazione di Alfredo Comandini, il valorosissimo e compianto studioso morto nel 1923, lasciando, monumento magnifico del suo sapere, i tre volumi dell’« Italia nei cento anni del secolo XIX giorno per giorno illustrata », opera ricca di notizie e di riproduzioni di decorazioni militari.

La scarsità delle opere sulle decorazioni militari si spiega facilmente con la penuria stessa del materiale che deve essere oggetto di studio; l’ostacolo maggiore è la dispersione, essendo le decorazioni più facili a trovarsi gelosamente conservate nel seno delle famiglie, che non radunate in un museo. Se al von Heyden fu concesso nel 1910 di compilare il pregevolissimo suo libro, la ragione principale è che egli era un collezionista specializzato nella raccolta delle decorazioni militari. La parte relativa al Regno d’Italia e ai cessati stati italiani fu anzi dal von Heyden venduta, prima della guerra, all’antiquario milanese ing. Carlo Clerici, dal quale a sua volta l’acquistò, per illuminata preveggenza del senatore Luca Beltrami, il Musco del Risorgimento di Milano, che l’ha ordinata in una apposita vetrina ed è venuto mano mano completandola nelle non molte lacune. Infatti questa raccolta, composta di ben 300 pezzi e quasi tutti provvisti del loro nastro originale ed autentico, si può considerare la più organica fra quante figurino nelle pubbliche collezioni e può offrire una base sicura per uno studio storico sull’argomento. Per uno studio, cioè, che non si riduca a un semplice, per quanto eccellente, catalogo ragionato, come appunto fecero il von Ileyden, il Ricciardi, il Crespellani, lo Sculfort, ecc., ma che sia la ricostruzione di un aspetto particolare della vita di tanti stati diversi, che vennero fusi dalle forze operanti nel Risorgimento in uno stato solo.

Chi può negare che la storia di uno stato si possa fare anche attraverso la medaglistica, le decorazioni e le onorificenze? Un lodevole tentativo in questo senso fu fatto nel 1913 da Raffaello Mondini col volume « Spigolando fra medaglie e date » (Livorno, Giusti), ma studiando soltanto le medaglie storiche e commemorative dal 1848 al 1870 e seguendo soltanto la collezione Camozzi, che oggi non ha più la stessa importanza di cinquant’anni or sono, perché son venuti in luce parecchi pezzi dal Camozzi non conosciuti.

  1. M.

 

 

 

[1]Si veda il catalogo del Ricciardi.

[2]Ricciardi, op. cit., pagg. 24, 25.

[3]H. von Heyden: “Herenzeichen…und Abzeichen im Konigreich Italien und in seinen erloschenen…” – Wiesbaden, 1910. (Con traduzione italiano a fronte).

[4]Meiningen, 1897.

[5]Modena, Tipografia della Soc. tip. Modenese, 1893.

[6]Licurgo CAPPELLETTI: “Storia degli Ordini cavallereschi estensi, soppressi ed estinti”. Livorno,1904.

[7]La seconda edizione è stata  stampata a Napoli  dall’ I.T.E.A. Con prefazione del prof. Ettore Gabrici.

[8]LIE UTENANT SCULFORT: “Décoration, dé médailles, monnais et cachets du musée de l’Armée”. – Paris. Lercy, 1912.

[9]  “Important collection de monnaies et médailles…Napoléon I…Napoléon III…letons et décorations…”. Paris. Lahure,

1926.