Lo Stato Pontificio

  

Decorazioni militari pontificie non sono se non una piccola zona della magnifica coniazione che i Papi curarono in ogni tempo per consegnare alla storia il ricordo più duraturo e più artistico delle vicende politiche attraversate dallo Stato Pontificio, delle cure prodigate alle scienze, alle lettere ed alle arti, e soprattutto per celebrare i fatti religiosi dei singoli pontefici succedutisi sul trono di S. Pietro. La medaglistica pontificia fu in ogni tempo oggetto di studio e ad essa prestarono l’opera loro insigni artisti italiani e stranieri, che pur ritroviamo nella coniazione delle medaglie a carattere militare, quali Giovanni, Ermenegildo e Gioacchino Hamerani (1649-1705, 1683-1744, 1780-1805), Filippo Cropanese (1756-1773), Bernardo Perger (1769-1798), Giuseppe Schwendimann (1772-1786) e, durante il Risorgimento, Tommaso Mercandetti (1760 -1821) Giuseppe e Nicolò Cerbara (1822 1853, 1823-1865), Giuseppe Girometti (1780-1850), L. Gennari, Ignazio e Francesco Bianchi, il Pasinati, ed altri parecchi. Il Girometti i due Cerbara sono gli autori della maggior parte delle medaglie militari coniate durante il Risorgimento. Prima del 1815 lo Stato Pontificio non aveva istituito che due medaglie a carattere militare, e cioè quelle conferite nel 1684 da Innocenzo XI ai capi dell’esercito polacco che avevano liberato Vienna dall’assedio il 12 settembre 1683 e tolta ai Turchi la bandiera di Maometto. Il re Giovanni III Sobiesky aveva spedito la bandiera al Pontefice, il quale aveva ordinato di celebrare lo storico fatto con una medaglia, come si conveniva alla conquista del più prezioso simbolo della religione tanto avversa alla Chiesa cattolica. Forse si potrebbe attribuire un carattere militare anche alla medaglia coniata per ordine di Innocenzo XIII dopo il suo avvento al trono (1721-1724) per ricordare la sistemazione politica fra gli stati italiani, la Francia, l’Inghilterra e la Spagna.

In seguito si coniarono esclusivamente medaglie-premio e al merito artistico, medaglie commemorative per compimento di restauri ecc., finché Pio VII non iniziò la serie di quelle politiche e politico- militari, conferendo una medaglia-ricordo ai prelati e ai dignitari del suo seguito quando si recò ad incoronare Napoleone I a Parigi il 2 dicembre 1804. Cessò la coniazione di medaglie pontificie nei sei anni della prigionia di Pio VII, che la riprese nel 1815 istituendo una decorazione di pretto carattere ed importanza militare per ricompensare le truppe pontificie rimaste a lui fedeli.

Il Pasinati eseguì questa vigorosa medaglia, caratterizzata da un nastro dai colori nero e bianco, passante attraverso un anello la cui sezione è a forma di croce, come a richiamare il lutto di cui era stata colpita la Chiesa per sei lunghi anni. Il rovescio è specialmente notevole dal punto di vista artistico, presentando due guerrieri romani in piedi modellati con molta forza. Anche il busto del pontefice in piviale e tiara, sul dritto, è pregevolissimo e fine lavoro di incisione (vedi tav. XLVII). Lo stesso Pio VII nel 1816 istituiva una medaglia d’argento dorato per premiare i militari pontifici i quali avevano cooperato a dar la caccia ai briganti che infestavano il territorio, e nel 1818 iniziava la serie pontificia delle medaglie Benemerenti, ripetute anche sotto i suoi successori, con le quali si ricompensavano benemerenze civili e militari, atti di valore, di coraggio e di fedeltà. Questa decorazione non è però da confondere, benché identica nella leggenda del verso, con quelle che Gregorio XVI istituì nel 1831 e 1832 per rimunerare meriti distinti acquisiti nella repressione dei moti rivoluzionari. La collezione milanese ne possiede due, e precisamente quelle coniate nel 1832 (vedi tav.XLVII), le quali alla loro volta furono riprodotte in una numerosa serie di varietà. Ad esempio, la seconda medaglia qui riprodotta porta nel verso per esteso il nome dell’incisore Nic. Cerbara, invece delle semplici iniziali. Si può osservare il carattere per nulla affatto militare che questa medaglia presenta nel verso, dove due angeli sorreggono il cartello Bene. merenti, e cioè una leggerezza di concezione che è affatto barocca e dove nulla, all’infuori del ramo di alloro, sta a denotare la gloria militare. Né col passare degli anni si rinvigorì sotto Gregorio XVI il simbolo militare che rimase fiacco, come visibile nella medaglia dell’anno XIII (1844- 45), sul cui rovescio la leggenda Benemerenti si piega ad arco, imprimendo alla medaglia un carattere di mollezza (vedi tav. XLVIII). Opportunamente perciò Pio IX provvide ad eliminare questa debolezza di disegno nelle medaglie di benemerenza militare, limitandosi a fare incidere sul verso la data del fatto per cui la medaglia venne istituita. Così ecco quella del 25 aprile 1847 a ricordo della rivista militare dal Pontefice passata in Roma il giorno in cui entrarono in vigore il riordinamento della giurisdizione e dell’amministrazione civile.

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Si può dire che anche per gli italiani militanti nelle file dell’esercito pontificio il 1848 abbia costituito l’anno della prova del loro spirito militare e del grado di maturità della loro coscienza nazionale. Come sostennero essi la prova, quando,al suono della diana delle Cinque Giornate, i soldati pontifici accorsero, uniti a quelli degli altri stati italiani, a combattere in campo aperto contro gli Austriaci? Al di fuori e al di sopra di ogni deficienza di carattere tecnico e d’arte militare, si può dire che la prova sia stata, anche per i Pontefici, delle più onorevoli. Basti ricordare che dei fatti d’arme più brillanti, benché sfortunati, che illustrarono la campagna del 1848, il combattimento di Vicenza del 10 giugno fu sostenuto in parte preponderante dai soldati pontifici. In quel giorno grossi reparti dell’esercito austriaco, forti di 30 mila uomini con 124 cannoni e comandati da Radetzky in persona, attaccarono da ogni lato Vicenza. La difendevano 11.275 uomini comandati dal generale Giacomo Durando che fecero prodigi di valore, ed ebbero 294 morti e 1665 feriti (fra i quali Cialdini e D’Azeglio) contro 141 morti e 541 feriti austriaci. La disparità delle perdite, tanto più tenendo presente che le forze austriache erano tre volte più numerose di quelle del Durando, dimostra in modo eloquente l’italico valore, e certamente queste truppe degli Stati Romani ben meritarono gli onorevoli patti della capitolazione sottoscritta l’11 giugno, in forza della quale i 9317 difensori uscirono dalla città per Porta Monte con tutti gli onori delle armi, a bandiere spiegate e tamburi battenti, seguiti da numerosi profughi. E’ noto che in quell’occasione gli Austriaci fecero ala al passaggio dell’esercito del Durando, mentre le loro musiche, per derisione suonavano marce patriottiche italiane. La derisione, invero, toglieva non  poco valore agli onorevoli patti della capitolazione, ma gli Austriaci non furono mai molto intelligenti nell’apprezzamento del sentimento patriottico italiano, e certamente doveva sfuggire alla loro mente grossolana il valore politico immenso del fatto, che il giorno prima li aveva militarmente meravigliati. Un corpo improvvisato di soldati, in gran parte pontifici, più abituati a circondare di splendore il soglio pontificio, che non portati a misurarsi contro uno dei fino allora più potenti eserciti del mondo, aveva per una intera giornata tenuto in iscacco una frazione cospicua dell’esercito di Radetzky, da lui stesso comandata, e in cui militavano soldati ed ufficiali veterani di parecchie guerre. In che modo? Quali utilità avrebbe potuto portare allo stato pontificio una eventuale vittoria di Durando, o quella di Carlo Alberto? Non capivano insomma, gli Austriaci, che la molla che aveva spinto quei militi pontifici a partecipare alla guerra e a permanere in campo anche dopo l’Allocuzione del 29 aprile era la più potente tra quante possano muovere gli uomini e sconvolgere gli stati, cioè il sentimento, la coscienza nazionale. Meno che mai potevano essi apprezzare il significato profondo della partecipazione alla guerra e del ferimento di Massimo D’Azeglio, lo scrittore piemontese che pochi anni prima aveva lanciato attraverso i “Casi di Romagna” un grido di riscossa ed il 10 giugno aveva consacrato col suo sangue la necessità del programma da lui caldeggiato.

Né si esauriva però nel glorioso fatto di Vicenza la dimostrazione dell’elevato spirito militare ed italiano dell’esercito pontificio, ma si riaffermava anzi l’8 agosto con la cacciata degli Austriaci dalla Montagnola di Bologna, conseguita bensì a furore di popolo, ma con l’aiuto dei gendarmi pontifici. Ben si intende che in questi onorevoli fatti d’arme combattuti dai Pontifici nel 1848 non era impegnata la persona del pontefice, il cui atteggiamento e la cui condotta erano ormai vincolati dall’Allocuzione del 29 aprile [1] . Pio IX dovete indubbiamente compiacersi nel suo intimo della gloria militare mietuta dalle proprie truppe sul campo di battaglia, ma doveva astenersi da un atto che potesse intendersi come approvazione della guerra, e meno ancora avrebbe potuto istituire una decorazione per premiare i valorosi di Vicenza e di Bologna. Fu il consiglio comunale di Roma a promuovere una medaglia per i volontari romani che si erano uniti alle truppe del territorio pontificio comandate dal Durando. Pio IX l’approvò. E’ una medaglia di pretto carattere romano, recante lo stemma di Roma coronato, e con le leggende: Almae urbis coss, e, nel verso: Pugna strenue ad Vicentiam pugnata. IV Eidus Junias MDCCCXLVIII. Anche questa medaglia si ricollega peraltro a quelle papali, perché riporta la parola Benemerenti, che è caratteristica della produzione medaglistica pontificia. A sua volta il consiglio comunale di Bologna istituiva il 26 aprile 1849 una medaglia per i cittadini bolognesi che avevano partecipato al fatto d’arme dell’8 agosto 1848, e, applicato nel retto il busto di Pio IX, veniva messa nel verso la storica data.

Si può aprire a questo punto una discussione interessante sul nastro adottato per la predetta medaglia, nastro indicato dal von Heyden come avente i colori papali (bianco e giallo) mentre l’esemplare posseduto dal Museo del Rinascimento di Milano porta il colore turchino con liste di rosso-cupo ai lati, il che richiama assai da vicino il nastro dell’Ordine Militare di Savoia.

Sembrerebbe a tutta prima una questione di lieve momento ma non lo è, perché se si conferma l’adozione di un nastro che non sia dai soliti colori pontifici, ciò acquista un significato storicamente notevole (vedi tavole XLV e XLIX). La soluzione dell’interessante questione è offerta dalla decorazione che segue dappresso la precedente, istituita, ancora dal municipio di Bologna, per i feriti dell’8 agosto, e che pure reca il nastro turchino e rosso. Infatti un documento favoritomi dal prof Giovanni Maioli, valoroso direttore del Museo del Risorgimento di Bologna, e qui riprodotto (vedi tavola XLV) consente di fare questi rilievi:

  1. la medaglia venne proposta dal consiglio comunale di Bologna e personalmente approvata da Pio IX;
  2. il Pontefice approvò anche il disegno del dritto e del rovescio, nonché il nastro, un frammento del quale si trova appuntato nel documento;
  3. le misure del nastro, avuto riguardo alla riduzione fotografica del formato della medaglia – che è di mm. 30 nell’originale – corrispondono a quelle da cui pende l’esemplare posseduto dalla raccolta milanese (vedi tav. XLIX);
  4. la medaglia fu deliberata e coniata nel 1848, e non, come afferma il von Heyden, il 25 aprile dell’anno successivo.

E’ logico dedurre che le due medaglie bolognesi devono avere avuto un nastro dagli identici colori, ipotesi confermata anche dal fatto che il nastro della medaglia per i feriti è più largo di quello usato per la medaglia data ai combattenti, essendo più larga anche la medaglia, come appare dalla riproduzione.

 

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Prima che il fortunoso anno 1848 si chiudesse, anzi, prima dell’esilio a Gaeta di Pio IX, questi istituì un ricco distintivo d’onore in bronzo dorato e in argento per premiare azioni ragguardevoli. Esso fu di due classi distinte: uno per i militari (in bronzo dorato per gli ufficiali, e in argento per i sottufficiali e soldati), e uno per i borghesi: del primo distintivo furono coniati solo 10 esemplari per gli ufficiali, e 55 per i sottufficiali e soldati.

L’esemplare riprodotto a tav. l, e conservato nella collezione milanese, è quello per i civili, ma porta il nastro del distintivo militare: divenuto quest’ultimo rarissimo per l’esiguo numero degli esemplari coniati, si può farsene ugualmente un’idea vedendo il distintivo civile, che differisce dall’altro solo per il trofeo, che è formato da una lorica romana e da un elmo poggiati su due bandiere, cannoni ed ascia, mentre qui è la tiara con le chiavi.

Ma che cosa è mai la storia nelle sue alterne vicende e nelle influenze reciproche dei fatti più diversi? La Iorica romana è il trofeo di bandiere e cannoni da Pio IX usati per il distintivo d’onore delle sue truppe nel 1848, vennero copiate dalla Repubblica Romana per la medaglia d’argento e di bronzo conferita ai combattenti contro le truppe francesi, spagnole, napoletane e pontificie in difesa della Repubblica (vedi tav. L). Tale medaglia fu decretata il 9 febbraio 1849, quando fu pure proclamata l’abolizione del potere temporale del Papa; il Benemerenti del distintivo di Pio IX si precisa in quella del Benemerito della Patria. Ma le analogie e le influenze dei segni d’onore militari di Pio IX su quelli della repubblica diretta da Mazzini non si limitano al campo formale dei disegni e dei coni, ma sono anche di natura sostanziale, come avviene allorché l’Assemblea Costituente di Roma istituisce la medaglia d’oro, d’argento e di bronzo Alla virtù cittadina, con Roma personificata nella figura coronata e con lancia, richiamando evidentemente la medaglia Italia libera Dio lo vuole, e conferisce questa medaglia ai combattenti della repubblica e ai benemeriti della cura dei feriti e dei malati (vedi tav. L). Viene così ripetuto il gesto di Pio IX che l’anno prima aveva pure approvato, come si è visto, la istituzione della medaglia bolognese per i feriti.

Dalla medaglia Alla virtù cittadina a quella recante nel dritto l’aquila sormontata dalla leggenda Repubblicana Romana, cioè alla vera e propria medaglia al valor militare, istituita dall’Assemblea Nazionale della Repubblica nell’aprile 1849, è breve il passo. Il più volte citato volume del Brancaccio… Griffini… Salamano sulle “Medaglie d’oro al valor militare” sembra negare a questa medaglia il carattere di una vera medaglia al valore, perché facendo cenno di Giacinto Bruzzesi enumera solo la medaglia d’oro da lui conseguita a Monte Suello il 3 luglio 1866, e quella del 1849 invece la indica sotto una voce assolutamente impropria, dicendo la: “medaglia al valore e al patriottismo della repubblica romana”. Ma è evidente che la tacitiana solennità delle leggende: Repubblica Romana, e Benemerito della Patria, e più l’essere è stata essa conferita per preclari atti di coraggio in guerra, non può lasciare dubbio alcuno sul carattere di ricompensa al valore. Caduta poi Roma e ritornato Pio IX in possesso del suo stato, istituì una serie di medaglie a carattere militare, per premiare quelli che lo avevano aiutato a rifugiarsi a Gaeta, quelli che, appartenendo ad eserciti di nazioni cattoliche, lo aiutarono a ricuperare lo stato, e coloro che  – militari o borghesi – avevano preferito rinunciare al loro ufficio piuttosto che cedere agli addescamenti del partito repubblicano (vedi tav. LI). Sono medaglie piuttosto monotone per disegno non portando la testa del pontefice ma solo la tiara e le chiavi, e forse spicca fra tutte quella Fidelitati, ma non per questo scema il loro valore e il loro interesse storico, perché illustrano la tenacia e il valore con cui fu difeso il pontefice nella lotta senza quartiere che gli muoveva l’unitarismo, e in definitiva richiamano ammirazione sui prodi che furono fedeli fino alla morte al loro giuramento di soldati.

Ebbe la stessa origine e la stessa giustificazione la strana medaglia detta di Castelfidardo, per quei tempi molto ardita nella concezione artistica dell’anello formato dal serpente che si morde la coda e dalla croce volta all’ingiù. Tutto è singolare in questa decorazione, perfino il nastro rosso a strisce bianche alternate e la maglietta per il nastro, come le fascette per le iscrizioni delle battaglie del 1860. La leggenda del verso dice: Victoria quae vincit mundum fides nostra. Essa non fu destinata solo a distinguere i combattenti pontifici di Castelfidardo, ma tutti quelli che si batterono a S. Angelo, ad Ancona, a Spoleto, a monte Pelago, a Perugia, a Pesaro. Altrettante fascette con questi nomi distinguevano i reduci dei diversi fatti d’arme (vedi tav. LII). Era certamente un sentimento generoso quello che guidava Pio IX a premiare con speciale medaglia i difensori del potere temporale nelle memorabili campagne di quell’anno 1860, così fortunato e risolutivo per la causa italiana, come del resto fu sempre nobile consuetudine di ogni sovrano il conferire distinzioni e segni d’onore anche per guerre non vittoriosamente finite, in omaggio al principio del valore sfortunato. Ma l’abbondanza di decorazioni istituite da Pio IX nel 1860 per ricompensare coloro che pugnarono per lo stato della Chiesa è una prova caratteristica della debolezza di lui come sovrano temporale. Perdeva continuamente terreno; egli sentiva, specialmente per la tenaglia che si andava stringendo intorno a Roma dopo la fine vittoriosa e gloriosa della spedizione dei Mille, che ineluttabilmente l’Italia marciava alla conquista della Città Eterna, e forse in ognuna delle medaglie militari istituite in quell’anno è come una rinnovata e disperata invocazione a una difesa da lui stesso giudicata effimera. Così fu. Ma è pur degno di nota il fatto che il 1860 si chiuda con  la bella medaglia ottangolare, d’argento e di bronzo, conferita da Pio IX ai volontari, cioè ai numerosi militari, in gran parte austriaci, che militarono per lui nelle file dell’esercito pontificio. Questa medaglia costituisce un elemento non disprezzabile per la storia del volontarismo, si ricollega alle già illustrate medaglie dei volontari di Modena, di Lucca e di Parma, e può certamente sollevare nella mente del lettore un complesso di osservazioni e di problemi. Primo fra tutti il carattere preciso che si possa attribuire alla figura del volontario premiato nel 1860 con codesta medaglia. Non erano forse volontari anche tutti i componenti dell’esercito pontificio? Non aveva sempre la Chiesa mantenuto rigorosamente e volentieri ai soldati che si arruolavano nell’esercito pontificio il carattere di un servizio volontario, prestato, è vero, per difesa di un dominio temporale, ma sempre per il trionfo di quella vittoria, quae vincit mundum, cioè per la fides nostra ? Come si vede, la questione è interessante, né mancherebbe di spunti per uno sviluppo abbastanza vasto che qui però non è il caso di darle (vedi tav. LII). La Croce di Mentana, d’argento per gli ufficiali, di nichel per sottufficiali e soldati, istituita nel 1867, dà una delle ultime luci allo smagliante quadro delle decorazioni militari pontificie. La gentile decorazione di Mentana, di carattere molto delicato e quasi lezioso documenta una volta di più come, nonostante la sconfitta di Garibaldi, perda di consistenza e di forza la falange dei difensori della Chiesa, che riducesi in prevalenza agli stranieri, tanto che Napoleone III concede agli ufficiali e ai soldati della divisione De Failly di fregiarsi di questa croce, che è vuota e leggerissima. Più bella e robusta, anzi a carattere veramente guerresco e quasi aggressivo, è la medaglia al merito militare, (oro, argento e bronzo), istituita in quello stesso anno 1867 e che reca sulla piastra superiore abbondanza di emblemi militari: la lorica romana, i cannoni, le scuri, le palle… Ma siamo alla fine del 1867. Appena tre anni dopo il municipio di Roma istituirà la medaglia per i suoi liberatori e la medaglistica pontificia ritornerà quale era prima del secolo XIX, a carattere di nobile e sereno incoraggiamento alle arti, alle scienze e alle lettere e di celebrazione dei fasti religiosi, delle ricorrenze pontificali, di gratitudine per i benemeriti dell’Obolo di S. Pietro (vedi tavole LII e LIII).

Le truppe di Raffaele Cadorna, entrando in Roma per la breccia di Porta Pia, vedranno appuntare sui loro petti la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza e la medaglia al valore ricavata dal modello originario del 26 marzo 1833. In poco più di cinquant’anni l’Italia aveva compiuta la sua unità nazionale, mentre nelle altre nazioni d’Europa le lotte e gli sforzi per raggiungere lo stesso risultato erano durati dei secoli.

Ma sarebbe ingiusto credere che Pio IX non abbia ricompensato coloro che si distinsero nella per lui infausta giornata del 20 settembre 1870, che ebbe 19 morti e 68 feriti. Egli avrà loro conferito la medaglia Al merito militare. E’ una affermazione del tutto gratuita, e smentita dalla storia, quella che accusa i soldati pontifici di non aver valorosamente combattuto, pur avendo di fronte un esercito assai superiore di forze e a cui inflissero la perdita di 49 morti e di 141 feriti. A documentare l’onorevole fine dell’esercito pontificio basterebbe l’episodio svoltosi il 27 settembre sul ponte della fregata Orenoque, allorché il colonnello Avet, fatti adunare gli zuavi pontifici, fece dispiegare il drappo della bandiera del reggimento, salvato dal capitano De Funnel nascondendolo sotto la giubba, e ordinato che si rendessero gli onori militari, lo fe’ tagliare in minutissimi pezzi e distribuire agli ufficiali e sottufficiali. Ricorsi della storia! Cinquantotto anni prima, durante la tragica campagna di Russia, una bandiera italiana era stata contesa alle orde dei Cosacchi riducendola in minuscoli pezzi quanti erano i soldati del reparto cui apparteneva. E due anni dopo, alla caduta di Napoleone, doveva svolgersi in Lombardia un episodio ancora più commovente, a dimostrazione di quanto fosse profondamente radicato l’amore alla bandiera. Era la notte del 27 aprile 1814. I veliti e i granatieri della Guardia reale, concentratisi in Vimercate, si radunarono intorno alle bandiere del bello italo regno che erano sventolate al sole di tante vittorie napoleoniche, e accatastate a pira le aste e i drappi di quelle bandiere, vi appiccarono il fuoco. In pochi secondi di quei sacri drappi non rimase che un mucchio di cenere. Quei valorosi, frenando a stento il pianto, si chinarono, come obbedendo a vetusto rito, a raccogliere ciascuno un po’ di quella cenere e la trangugiarono. E ben si può dire che quella cenere abbia tenuta viva la scintilla del sacro fuoco dell’indipendenza, che divampò in incendi sempre più vasti e purificatori nel 1821, nel ‘31, nel ’48, nel ’59 e nel ’66, finché il 20 settembre 1870 fu compiuta l’opera, alla quale quei veterani avevano dato eroico principio, pugnando sotto Napoleone il Grande (vedi tav. LIII).

Atri tempi è vero; condizioni diverse, motivi diverso; ma la fonte del valor militare è sempre quella e il culto per la bandiera è sempre sacro.

 

 

 

A lettore non dispiacerà certamente di trovare qui riprodotto uno dei diplomi conferiti da Pio IX con la Medaglia di Mentana, diplomi divenuti oggi molto rari.

[1]Si veda l’esame che di questo atto di Pio IX ho fatto nel volume: “Pio IX nel Risorgimento italiano”. – Bari. Laterza, 1928