Regno Lombardo-Veneto

  

Le decorazioni militari della Lombardia dal 1796 al 1860 seguono naturalmente le sorti politiche della Lombardia. E cioè le decorazioni sono austriache fino al 1796 e poi esclusivamente francesi fino al giugno 1805, allorché Napoleone I istituisce l’Ordine Reale Italiano della Corona ferro. Si ritorna poi alla decorazioni austriache dal 1814 al 1850, finché dal giugno 1859 alla effettiva riunione della Lombardia al Regno di Sardegna si adottarono le decorazioni piemontesi le quali si estendono poi al Regno d’Italia. Vicende in parte analoghe attraversano le decorazioni militari del Veneto, dove però dal maggio 1796 (limite a quo del presente studio) al giugno 1797 (proclamazione della Repubblica Cisalpina) continua a brillare sul petto dei valorosi la medaglia d’oro o d’argento decretata sotto il doge Francesco Loredano (1752-1762), nell’anno 1756, per distinzione nei combattimenti navali. Nel retto è naturalmente il leone veneto alato, lo stesso che troveremo nella medaglia conferita dal Governo Provvisorio ai difensori di Venezia nel 1848-49, e che pur figura nella medaglia coniata dal doge Alvise Mocenigo nel 1769 per meriti distinti, recante nel verso la leggenda: Fidei subditorium Senatus. Carattere più decisamente militare della precedente ebbe la medaglia creata nel 1784 dal doge Paolo Regnier per ricompensare la truppe che avevano sbarrata la frontiera dalmata onde impedire l’invasione della peste che aveva devastata la Bosnia. In questa medaglia è notevole la figura del dritto, che presenta il leone alato col Vangelo chiuso e stretto fra le zampe anteriori, e che prelude con maggiore immediatezza alle decorazioni patriottiche del 1848-49.

La bufera rivoluzionaria passò sulla Lombardia e sul Veneto senza apportare nuove medaglie o decorazioni di carattere militare, ma allo spirare del primo periodo della dominazione napoleonica, cioè poco prima che nel 1798-99 si ferrasse la cosiddetta reazione austro-russa, che è poi sostanzialmente una reazione legittimista, l’apparente maggiore libertà fece coniare una distinzione interessante che si direbbe l’ultimo, piccolo sprazzo mandato da una luce che sta per spegnersi.

E’ noto che Brescia fu nel 1796 sottratta dal Bonaparte e aggiunta l’anno dopo alla Repubblica Cisalpina. Scoppiata una sollevazione in quella città nella primavera del 1799, essa fu potuta domare per il valido concorso delle truppe e di alcuni volontari, onde il prefetto V. C. Cocastellio decorava i restauratori dell’ordine con apposita medaglia d’argento (vedi tav. XXXII) dal disegno e dal conio assai fini, incisa da Giuseppe Salvirch, che nel 1808 diventò direttore della Zecca di Milano.

La lontananza di Napoleone Bonaparte in Egitto non suggeriva di collocare il di lui busto sul verso, com’è in innumerevoli medaglie del Consolato, sibbene un disegno allegorico d’occasione: la Giustizia con le bilance e con la spada in atto di trafiggere un’aquila con le ali battenti. L’iscrizione che figura sull’orlo del verso richiama il disordine in cui l’Italia si trovava per la insufficiente resistenza dei presidi francesi alla ripresa austriaca: V. C. Cocastellio. Com. Praef. Italiae. Ordinandae. Nel centro, entro un ramo di quercia e di alloro le parole: Ob merita.

Subentra, col ritorno dei Francesi dopo la vittoria di Marengo, lo splendore della decorazione della Corona di ferro, e, caduto Napoleone I, la già ricordata trasformazione dell’Ordine. Nella serie delle decorazioni del Regno Lombardo-Veneto troviamo la croce austriaca di benemerenza per la campagna del 1813-1814, esemplare in bronzo forse destinato ai militari non ufficiali e recante da un lato la leggenda: Grati Princeps et Patria. Franc. Imp. Aug.; dall’altro: Europae Libertate asserta. MDCCCXIII-MDCCCXIV. Forse l’inclusione di tale croce fra le decorazioni del Lombardo-Veneto è occasionale, non sembrando possibile, che, mentre Napoleone era ancora al potere, vi fossero italiani militanti nelle file austriache, oppure riguarda il periodo d’assestamento incominciato nell’aprile del 1814, dopo la prima abdicazione di Napoleone I, quando effettivamente vi furono passaggi di soldati dall’uno all’altro esercito. In ogni modo questa decorazione, dai colori giallo nero – “colori esecrabili a un italo cor”, come cantò il Berchet nella romanza “Matilde” – è l’ultima che noi troviamo anteriormente alla rivoluzione del 1848 (vedi tav. XXXII, X e XII).

Avvenuta l’esplosione rivoluzionaria delle Cinque Giornate e iniziatasi la prima guerra d’indipendenza, vennero coniate innumerevoli medaglie e distintivi di ogni natura, che si diffusero con sorprendente rapidità in Lombardia, nel Veneto, nel Piemonte, in tutta Italia e si adattarono alle spille, ai braccialetti, agli anelli, perfino sui cappelli e sui bottoni degli abiti. L’immagine di Pio IX dominò, dal 18 marzo al 29 aprile, sulla maggior parte delle medaglie ricordo, per scomparire poi gradatamente dopo l’Allocuzione del 29 aprile. Spesso la immagine sorridente e mite del Pontefice fu coniata faccia a faccia con quella malinconica di Carlo Alberto.

Ma l’unica medaglia a carattere veramente militare, ed anzi vera e propria decorazione, fu quella conferita dal Governo Provvisorio di Venezia ai difensori della repubblica (vedi tav. XXXII). Essa era d’oro, d’argento e di bronzo, e se ne coniarono molte varietà, modificando la posizione del leone veneto e le parole impresse sul foglio destro del Vangelo vigilato dal leone. Quello che qui si riproduce è un esemplare della decorazione ufficiale, rispondente alle seguenti caratteristiche:  Dritto: il leone veneto alato, volto a sinistra, appoggia la zampa sinistra dinanzi, e tiene fermo il Vangelo aperto; con la zampa destra tiene una spada; dall’ala destra sono visibili solamente due penne; sul foglio sinistro del Vangelo si legge: Pax. tibi. Mar. ce.; sul foglio di destra Evan. geli. sta Meus., dove si osserva che l’i di geli è appena visibile; sopra il leone è la leggenda: Governo Provvisorio e, nell’ergo, la data: 1848- 49: Rovescio: dentro due rami di quercia, legati in basso da un doppio nodo, la leggenda: Difensore di Venezia. Nella medaglia originale le due parti del nodo devono avere la stessa grandezza. Il nastro è rosso scuro, orlato di giallo. Il diametro è di mm. 32,5. Minore importanza hanno le medaglie coniate in Lombardia, perché taluna fu coniata genericamente per i combattenti delle Cinque Giornate ma non dal Governo Provvisorio, e molte hanno un carattere prettamente commemorativo.

Il Governo Provvisorio di Lombardia, che ebbe tanto vivo il senso della propria sovranità da batter moneta, non credette d’istituire medaglie e ricompense ai valorosi. In questo fatto si deve ravvisare una prova della coerenza e della sincerità del Governo Provvisorio di Lombardia di fronte a Carlo Alberto. L’istituzione di Ordini e di medaglie militari o civili è indice di sovranità assoluta, pienamente esercitata col proposito di continuarla per tempo indeterminato. Ora il Governo Provvisorio, nonostante le velleità di autonomia che talvolta resero poco chiara la sua condotta – perché la vita d’ogni giorno non è sempre rettilinea rispetto all’ideale e al programma che l’uomo si propone – non si discostò mai seriamente dal presupposto che aveva informato i primi rapporti col governo piemontese e, pur facendo concessioni pericolose ai partiti democratici, orientò la sua politica verso l’ideale della fusione col Piemonte. Fin dal primo giorno pertanto esso si considerò come interinale, cioè come esercitante il governo pro tempore, finché Carlo Alberto non lo avrebbe potuto assumere in conseguenza della fine della guerra, che si sperava vittoriosa.

La coniazione delle monete, avvenuta per decreto del 27 maggio e che sarebbe indice non meno esplicito di piena sovranità, risponde in parte al bisogno di facilitare la ripresa del commercio con una moneta più “simpatica” di quella austriaca, e in parte al desiderio di consegnare alla storia un ricordo imperituro della rivoluzione militare. Più che di monete, si dovrebbe infatti parlare di medaglie-ricordo. Vennero coniate solo le monete d’oro (40 e 20 lire) e di argento (5 lire), mentre non furono coniate quelle da 2 e da 1 lira, le quali circolarono invece come grandi e curiose varietà in esemplari di saggio coniati con metallo bianco. Ma in Venezia ove il governo di Manin si muoveva con maggiore libertà, si coniarono anche le monete di rame, arrivando fino al valore minimo di un centesimo. Ben s’intende che la monetazione di Milano e di Venezia non va confusa con la carta-moneta patriottica, avente più il carattere di ricevuta per una oblazione a favore della causa nazionale, che non quella di vero e proprio mezzo di scambio. Cosa ben diversa è la carta moneta di Osoppo, che rappresentava una specie di prestito effettuato per i bisogni dipendenti dalla resistenza di quella eroica fortezza.

Abbondarono anche in Lombardia le medaglie commemorative recanti quasi tutte il busto di Pio IX entro una stella a 6 raggi e la data delle Cinque Giornate. Ben 14 ne elenca e descrive il von Heyden[1] e ciò dispensa noi dall’obbligo di dilungarci sull’argomento. È vero che il lasso di tempo intercorso tra la cacciata degli Austriaci e il plebiscito per la fusione del Piemonte fu di breve durata, reso ancor più breve dagli studi e dalle discussioni che precedettero la votazione dell’8 giugno, onde vien fatto di pensare che il Governo Provvisorio, anche nella impossibilità di individuare rapidamente i più valorosi, abbia rinunciato ad istituire una decorazione che avrebbe forse urtato la suscettibilità del governo piemontese. Ma perché quest’ordine di idee non lo trattenne dal batter moneta?

A conclusione dell’agitato biennio 1848-49 l’Imperatore Francesco Giuseppe istituì la ricca decorazione d’oro Viribus unitis, ma il motto gli recò sfortuna perché il suo impero andò in frantumi settant’anni dopo, pochi giorni dopo che si era inabissata nei gorghi del noni più “amarissimo Adriatico” la grossa nave da guerra che portava impresso lo stesso motto sui suoi fianchi poderosi. Sic transit…(vedi tav. XXXIII)

 

[1]Pag. 48 e seguenti.